La Stampa, 16 febbraio 2019
I sessant’anni di McEnroe
Uno splendido, insopportabile sessantenne. «Se mi allenassi batterei Serena Williams anche oggi», dice John McEnroe, nato per caso il 16 febbraio 1959 a Wiesbaden, in Germania, dove suo padre lavorava in una base Nato, moccioso newyorchese per sempre. La quintessenza di Manhattan e del tennis anni ’70 e ’80, Forest Hills e Studio 54, servizi mancini, volée sincopate, molti riccioli. Troppe cattive maniere per un tennis che si fingeva ancora educato. Il ribelle che sapeva infiammarsi senza bruciarsi, anzi, incenerendo la concorrenza. Dicono che si sia ammorbidito, con gli anni. Imborghesito. Cinque figli da due mogli, l’attrice Tatum’O Neal e la cantante Patty Smith (con la y), passionaccia per la chitarra rock e l’arte moderna. Ma se lo incontri, la camicia da rock star, il passo molleggiato, ti pianta sempre in faccia lo spillo degli occhietti da folletto irlandese, sarcastico, insofferente. Altro che lo sguardo da vittima di Shia LaBeouf, nel film che ha provato a celebrare la sua rivalità con Borg: Mac ti scioglie vivo. «La Coppa Davis è morta», ha detto in Australia, nel suo ruolo di finto commissioner del tennis per Eurosport. «Il prossimo passo sarà giocare nudi per la tv». Un po’ ci fa, Johnny Mac, l’antipatico più amato di sempre. Un po’ ci è rimasto. Vederlo recitare la caricatura di se stesso nei tornei per veterani, lustrando un repertorio di frasi memorabili («You cannot be serious!») ormai buone per stamparci le t-shirt, è stato a tratti malinconico e irritante. La differenza è che lui la Storia del tennis l’ha fatta davvero. Sette titoli del grande Slam, e 77 tornei vinti. Le rivalità al curaro con Connors e Lendl, l’amicizia scalena con Borg, quelle 14 partite di cui appena 4 grandi finali, la più celebrata nell’80 a Wimbledon, il tie-break più famoso di sempre. Un genio anche in doppio: 72 centri. L’ultimo a 47 anni, a San Josè nel 2006, in coppia con Bjorkman. Tanto per dare ragione al suo vecchio compagno Peter Fleming: «La miglior coppia possibile? McEnroe e un altro».
Antesignano
A rete sul servizio altrui, rapinando tempo tempo, ci andava 40 anni prima di Federer. Ma Roger è la classicità infilata nel post-moderno, Mac è Borromini, la vertigine di un tennis impossibile. Chi è venuto dopo ha vinto di più, nessuno è stato capace di impallarlo. Anche oggi che usa il microfono invece della racchetta sono quelli che intervista - Federer, Nadal, Djokovic - a sentirsi i brividi addosso. Numero 1. Per sempre.