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 2019  febbraio 16 Sabato calendario

Nessuno paga per l’omicidio di Sana

A questo punto la parola beffa non basta nemmeno a rendere l’idea. Perché a quasi un anno dalla sua morte rimane senza colpevoli l’efferato omicidio di Sana Cheema. 
Per il giudice Amir Mukhtar Gondal «non ci sono prove sufficienti e mancano testimoni». Per questo gli undici imputati finiti alla sbarra e accusati di «delitto d’onore», sono stati tutti assolti. La venticinquenne di origine pachistana ma residente a Brescia, era stata strangolata il 18 aprile 2018 in patria, poiché si era opposta alle nozze combinate. L’assoluzione ha provocato ieri la reazione di sdegno del ministro dell’Interno Matteo Salvini: «Che vergogna! Se questa è giustizia islamica c’è da aver paura. Una preghiera per Sana. Scriverò al mio collega, il ministro dell’Interno pachistano, per esprimere il rammarico del popolo italiano».
La giovane, residente nella città lombarda dal 2003, nell’inverno scorso si era recata in vacanza nel proprio Paese, precisamente nel distretto di Gujrat. E da qui, non era più tornata. Per la famiglia, Sana era improvvisamente morta di infarto la sera del 18 aprile 2018, casualmente alcune ore prima del suo rientro in Italia. Successivamente, i parenti l’avevano in tutta fretta, e soprattutto senza alcuna autorizzazione, sepolta lontano da Mangowal, il villaggio natale. Eppure, dopo aver visto in Rete un video del funerale di Sana, erano stati gli amici italiani della ragazza a dare per primi l’allarme. In particolare, la migliore amica, aveva fornito la sua versione al Giornale di Brescia, parlando di omicidio e indicando subito il padre come presunto colpevole.
In seguito, la notizia era stata ripresa da tutti i media nazionali e internazionali, rimbalzando sui social di mezzo mondo. Così il 23 aprile 2018 gli inquirenti pachistani avevano fermato il padre della ragazza, il fratello maggiore e lo zio. Le autorità di Islamabad li avevano bloccati in fuga. Il giorno successivo, il fermo era stato convalidato grazie alla piena ammissione del genitore che spiegò di aver ucciso Sana perché aveva «disonorato» la famiglia. In un secondo momento la confessione venne ritrattata. Successivamente fu proprio l’autopsia a confermare la morte violenta per strangolamento.
Il rapporto forense, reso pubblico il 9 maggio 2018, ha parlato di osso del collo rotto. Un mese dopo, altre due persone erano finite in cella, in quanto scoperte a falsificare i risultati dell’esame autoptico.
Intanto, da ieri papà Ghulam Mustafa Cheema, lo zio paterno, Iqbal Mazhar Cheema, e il fratello maggiore, Adnan Cheema, sono tornati in libertà. Nonostante la confessione iniziale e il tentativo di inquinamento delle prove. È stato dunque il tribunale distrettuale di Gujrat a proscioglierli da tutte le accuse insieme ad altri famigliari, tra cui la madre, altri zii e alcuni cugini. Sana aveva venticinque anni quando è stata uccisa. Impiegata in un’agenzia per pratiche automobilistiche, a Brescia, aveva frequentato le scuole dell’obbligo a Verolanuova e poi conseguito il diploma al liceo De André in città. Nell’autunno 2017 l’ottenimento della cittadinanza italiana, primo tassello nella costruzione di una vita da persona finalmente libera. Tre mesi dopo il ritorno in Pakistan. Doveva trattarsi solamente di una breve vacanza e invece si è trasformata nella sua tomba.
A detta di alcuni conoscenti la ragazza da un po’ di tempo si sarebbe invaghita di un amico, italiano di seconda generazione, proprio come lei. Da qui, la decisione di resistere a tutti i tentativi di coercizione da parte dei genitori che le avevano trovato un futuro sposo molto più grande e, soprattutto, in patria. Sana ha detto no ed è morta, strangolata con rabbia da chi, secondo l’accusa, conosceva molto bene e nella stessa casa in cui da bambina era cresciuta.