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Intervista all’italiano che guida i rover su Marte
Il suo destino era scritto nel luogo in cui è nato, glielo ha fatto notare un collega quando ha saputo che è di Rovereto. «E adesso guido i "rover" su Marte». Paolo Bellutta, 61 anni, 20 anni fa è stato assunto al Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa e ora ha appena dato l’addio al robot che ha manovrato più a lungo. Dopo 15 anni sulla superficie del Pianeta Rosso, Opportunity è stato avvolto da una tempesta di sabbia e non ha più risposto alle chiamate che arrivavano dalla base di Pasadena.
Lei lo pilotava, si era affezionato a "Oppy"...
«Opportunity è femmina, una "ragazza", tutti i rover per noi lo sono. Sì, è stato un momento duro. Era da giugno che non si faceva più viva, abbiamo provato e riprovato. Adesso ci manca quell’intesa speciale nel team di scienziati e ingegneri mentre si esplorava, si capiva e si rimaneva sbalorditi per tutto ciò che Opportunity ci faceva vedere. Spesso avevamo le lacrime agli occhi».
Come si sente ora che questa avventura è finita?
«Più di tutto mi dispiace che non vedrò più foto che vengono da quella zona di Marte, un posto che amo. Per me è come essere in esilio, come se non potessi più tornare in Italia. Anche se in realtà sono ancora su Marte e guido Curiosity, l’ultimo rover arrivato su Marte, è un posto diverso. Oppy era nel Meridiani Planum, terreno piatto, sabbioso, con poche rocce e così suggestivo... come la Monument Valley, per me mozzafiato».
Cosa ci ha raccontato e mostrato Opportunity che ancora non sapevamo?
«Opportunity, ma anche la gemella Spirit, hanno fatto scoperte eccezionali, per esempio che Marte ha un’atmosfera più fitta. Hanno trovato rocce che si sono formate in un ambiente ricco d’acqua, che era un po’ ovunque. Alcune si formano solo in presenza di acqua a Ph neutro, da bere. Ambiente ben diverso dall’aridità presente ora».
Come si guida un rover su un altro pianeta a decine di milioni di chilometri di distanza?
«Con estrema cautela. Noi analizziamo le immagini e definiamo il percorso migliore da seguire per raggiungere le zone d’interesse scientifico. Poi prepariamo una serie di istruzioni per dirigerlo verso la meta, le inviamo al rover che le esegue in totale autonomia».
Momenti di tensione durante l’esplorazione?
«Quando con Opportunity ci accingevamo ad entrare nel cratere Victoria, profondo una settantina di metri. C’era tanto nervosismo. Al momento di decidere se entrare, Steve Squyres, che ha ideato coordinato tutta la missione, mi chiese: "Paolo, sei sicuro di quello che stai facendo?" Ad eccezione di quando è nato il mio primogenito Daniele, è stato il momento in cui ho avuto più paura in vita mia. Ho fatto il conto: era una missione da 420 milioni di dollari, ci sarebbero voluti più di 30mila anni per ripagarlo, per non parlare della figuraccia che avremmo fatto. Siamo entrati ed è andato tutto bene».
Lei è nel Guinness dei primati.
«Sì mi hanno chiamato quando hanno saputo che sono il driver con più chilometri percorsi su Marte. Ora siamo a poco più di 17, con tre rover diversi. Tutti fatti a piccoli passi, a volte pochi millimetri o pochi metri al giorno. Ho appeso il certificato nel mio ufficio».
Le piace raccontare come si esplora un mondo lontano?
«Quando vengo in Italia faccio conferenze, parlo con il pubblico e soprattutto con gli studenti. Le similitudini tra Marte e la Terra, ma anche quanto sia diverso il nostro pianeta vicino. È un po’ come quando si va in vacanza all’estero e si vede come vivono gli altri popoli».
Com’è arrivato al Jpl?
«Per caso. Ho visto un annuncio online e mandato il curriculum. Non ci speravo. Mi sono laureato in Fisica a Trento e in Scienze dell’informazione a Milano. Dopo aver lavorato nella grafica per computer in Italia mi sono trasferito in America. Lavoravo per aziende nel campo della medicina. Poi sono stato assunto dalla Nasa. All’inizio ho lavorato sullo sviluppo di auto a guida autonoma, fuoristrada in scenari di guerra. Dopo un po’ di tempo ho applicato queste conoscenze alla guida su un altro mondo».
E quando non lavora con quale mezzo preferisce muoversi?
«Intanto mia moglie e i miei figli dicono che cammino piano come se stessi su Marte. Quando guido invece è diverso, ho una Mustang e per ora ho preso solo una multa per eccesso di velocità. Ho anche una targa personalizzata: Rovr Drv che sta per "rover driver"».
Sarà "al volante" anche della prossima missione Nasa sul pianeta rosso?
«Preferisco lasciare alle nuove leve il piacere di esplorare Marte».
Ha mai pensato di tornare in Italia e guidare il rover europeo?
«Darei non so cosa per guidare Rosalind Franklin, il rover europeo di Exomars, solo per vedere come si guida questa macchina e cosa è capace di fare. Sono contentissimo e orgoglioso che l’Europa abbia intrapreso questa avventura».