16 febbraio 2019
In morte di Adriano Ossicini
Umberto Gentiloni per la Repubblica
Ha concluso la sua lunga traversata all’ospedale Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina dove era ricoverato per una caduta da qualche giorno. Lo stesso luogo dove Adriano Ossicini (classe 1920) era riuscito a nascondere e isolare decine di ebrei romani colpiti da un non meglio definito “Morbo K”, con sfrontata ironia preso dalle iniziali di Kappler e Kesselring nella lunga notte dell’occupazione nazista della capitale. Si era inventato una scorciatoia, una sorta di tranello per evitare che dopo la grande retata del 16 ottobre ‘43 altre vite potessero finire nei terribili ingranaggi della soluzione finale.
Ossicini non aveva avuto dubbi: partigiano nella lotta di liberazione dai primi passi della Resistenza in città. Dopo l’armistizio combatte a Porta San Paolo e nelle settimane successive si muove tra culture e sensibilità differenti cercando di costruire ponti, occasioni di dialogo e collaborazione tra ispirazioni religiose e forze organizzate nel terreno d’incontro tra cattolici, comunisti e sinistra cristiana. Sente il peso della minaccia nazifascista, unisce l’approccio critico di un combattente per la libertà con una spiritualità profonda, la fede nel cattolicesimo come scelta di vita e di libertà. Non si risparmianelle tappe successive che attendono una vita ricca di occasioni di militanza e partecipazione. Un percorso originale e intenso: psicologo e psichiatra, medico impegnato in prima fila con lo sguardo rivolto all’impegno politico. Un’identità composita: cattolico e comunista, docente di psicologia alla Sapienza, parlamentare della sinistra indipendente, vicepresidente del Senato, ministro della Famiglia e della Solidarietà sociale nel governo Dini nello scorcio conclusivo del ‘900. La sua storia è quella di una generazione che attraversa gli anni del fascismo e la tempesta della seconda guerra mondiale: le radici affondano nelle inquietudini del mondo cattolico, nell’associazionismo diffuso che lo caratterizza, nella radicalità del messaggio delle Scritture fino a trovare nell’antifascismo una dimensione esistenziale, coinvolgente e irriducibile.
Ossicini è stato un protagonista di stagioni diverse, fino alle fasi successive del lungo dopoguerra, spesso controcorrente, mai banale o scontato nelle sue apparizioni pubbliche o nei tanti scritti che hanno segnato una produzione continua e qualificata. Dagli spunti di un diario personale nella stagione della Resistenza ai problemi di psicologia clinica, dalle dense pagine di un colloquio con Giuseppe De Luca alle riflessioni sul valore della politica e sulla distinzione per lui irrinunciabile tra cattolici e democristiani. Un cammino rilanciato dalle ragioni di fondo del Concilio Vaticano II e dalle critiche che hanno accompagnato le sue posizioni «da sovversivo». Non si nascondeva, preferiva argomentare con puntualità a fronte delle obiezioni di chi chiedeva fedeltà di partito o di corrente. Una ricca e generosa attenzione alle novità del mondo contemporaneo lo ha visto partecipe e interessato alle ultime stagioni del centrosinistra al governo della capitale. Si è occupato con passione di cose diverse in contesti modificati senza perdere di vista le sue convinzioni più profonde, un lascito non consumato. L’idea della Resistenza come base preziosa della convivenza civile in una stagione nella quale forze diverse, culture distanti e conflittuali hanno prodotto un risultato alto, un bene prezioso. E su un altro versante una moderna concezione della laicità, una costante tensione nella coerenza di un principio di libertà inteso come «non mancanza di fede, ma modo di vivere una fede, un orientamento filosofico o ideale in termini non integralistici».