Corriere della Sera, 16 febbraio 2019
Guccini non ama Dio è morto: «Testo e musica non erano granché»
PAVANA (Pistoia) «Posso bere solo un bicchiere di rosso al giorno, ho smesso di fumare, ci vedo poco e pure la schiena mi fa male. Se mi avessero detto che invecchiare sarebbe stato così duro...»: sorride amaro Francesco Guccini, 79 anni a giugno, dal suo eremo di Pavana, in mezzo all’appennino tosco-emiliano, dove si è ritirato dopo aver lasciato Bologna nel 2000. Ma se ha finito anche di cantare (lo affatica) e pure di «tirar mattino» come diceva nella «Canzone delle osterie di fuori porta», Guccini non rinuncia però a ragionare, come vedremo.
Innanzitutto però, il motivo per cui ci si inerpica fin quassù è un libro, anzi un’antologia letteraria di Bompiani, chiamata semplicemente «Canzoni», in cui la filologa Gabriella Fenocchio scarnifica i testi gucciniani come se fossero di Dante o Shakespeare, «trovando significati che io stesso ignoravo», racconta lui con la erre arrotata di sempre.
Che però ti sorprende subito: «Sa quali brani non avrei messo? Quelli che sembrano i più colti. “Auschwitz” e “Dio è morto”: se ti astrai dal contenuto, testo e musica non erano granché. Eppure “Dio è morto” è la mia canzone di cui han fatto più versioni». Ecco, l’hanno appena (ri)proposta all’ultimo Sanremo Baglioni e Ligabue. Guccini sospira e poi va giù duro: «Se il Liga ha provato a impegnarsi, Baglioni proprio no. Ha pure sbagliato a prendere la nota alta, si vedeva che non gliene fregava niente».
Il cantautore peraltro non ha digerito la presunta bocciatura comminata a un brano da lui proposto per il Festival dell’anno scorso, da far eseguire a Enzo Iacchetti «I migranti» (circostanza però negata da Baglioni). «La canzone è stata bocciata» ribadisce secco Guccini.
Ma l’ultimo Sanremo l’ha visto? «Poco, non mi piacciono quei pezzi tutti uguali, una strofa e subito il ritornello a salire». Però si sarà accorto della guerra di religione intorno a Mahmood, per molti sostenuto dalle élite, mentre Ultimo sarebbe invece “il favorito” del popolo. «Sciocchezze» taglia corto «le giurie non si parlavano, come avrebbero fatto a mettersi d’accordo?».
Salvini stava con il romano: il ministro ha confessato di apprezzare anche Guccini in passato. «Ah sì? Piacevo anche alla Meloni, mi invitò a una festa del suo partito e declinai. Siccome sembro un anarchico rivoluzionario pensano di potermi ascrivere alle loro idee rivoluzionarie. Sempre che ne abbiano, si sbagliano. E comunque piacevo anche ai cattolici, io che non credo».
Non ama neppure i Cinque Stelle: «Hanno verità assolute, come gli altri che non credono nell’evoluzionismo. Io ho sempre praticato il beneficio del dubbio, loro mi pare di no. Oltre a essere faciloni su tutto, con frasi apodittiche tipo “abbiamo abolito la povertà”, come se, chessò, si potessero eliminare i borseggiatori».
Poi Guccini si fa più serio. Ha evocato Weimar di recente, il disfacimento della Germania democratica prima del nazismo: «Sì, c’è odore di regime quando si inizia a parlare a nome di tutti gli italiani. Guardi Salvini, se qualcuno a uno dei suoi trentamila comizi dissente, lui lo addita dandogli del compagno (anche se potrebbe essere un liberale), intimandogli di portare tot migranti a casa sua: facevo anch’io così ai concerti con i contestatori e se il giochino riusciva, il resto del pubblico li metteva a tacere. Sì, è furbo Salvini...».
Insomma, l’umore non è dei migliori: quale brano di «Canzoni» lo descriverebbe meglio? «Una che non c’è – conclude – “Libera Nos Domine”, un signore immaginario spazzava via tutto quello che non mi piaceva. Ne avrei bisogno oggi».