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 2019  febbraio 16 Sabato calendario

Lunga intervista a Vittorio Sgarbi

Vittorio Sgarbi, lei è uno degli uomini più popolari d’Italia. Eppure di lei come persona non sappiamo quasi nulla.
«Un po’ è vero». 
Il primo ricordo pubblico? 
«L’eclissi del febbraio 1961. Avevo otto anni. Dissi: “La Terra crea molti dubbi alla mente”». 
Anche poeta… 
«Un giorno l’insegnante portò in classe una rosa del deserto e ci assegnò un tema. Io scrissi versi ermetici: “Ho visto la sabbia del deserto/ Era rossa/ come gli attimi/ del suo eterno silenzio/ percorsi dal vento del tempo». 
Le avrà dato 10. 
«Mi diede “visto”. Si era sentito preso in giro». 
Come ricorda sua sorella Elisabetta? 
«Molto bellina; ma ogni volta che provavo ad avvicinarmi mi graffiava. Per spaventarla la portavo in bicicletta al cimitero, ad ascoltare gli spiriti dei morti. Da grande pensavo di fare il generale, l’imperatore o il capo indiano. Mi feci una corona di penne, e una la regalai a Elisabetta». 
Come erano i compagni delle elementari? 
«Era una scuola di campagna, non avevano mai visto un bambino con gli occhiali. Mi chiamavano “Uccialina”, con una venatura femminea. Ricordo il primo insulto che mi gridarono in faccia: carogna!». 
E i suoi genitori? 
«Mia madre disse solo: dagli più pugni di quelli che prendi. Li considerava ignoranti; non aveva capito che cultura e agricoltura sono legate, come dimostrerà poi Carlin Petrini. Purtroppo mi impedirono di imparare il dialetto e mi mandarono a Ferrara dai preti». 
Quali preti? 
«I fratelli delle scuole cristiane. Mi alzavo alle 6 per prendere la corriera che faceva il giro delle frazioni, e tenevo il posto a Sandra Romanini che saliva alla frazione Ruina». 
Primo amore? 
«Sì. Avevo nove anni». 
Precocissimo. 
«No invece. Al liceo mi mandarono in collegio dai salesiani a Este. Clima oppressivo e neanche una ragazza. Ci si masturbava l’un l’altro nei bagni». 
Anche lei? 
«Un sacerdote mi sfiorò una guancia: un’avance, non una molestia; ma l’omosessualità è una tentazione che non ho mai avuto. Al mare mi fidanzai con Ornella, le scrivevo poemi filosofici. Era tutto un gran scrivere». 
È stato uno studente brillante? 
«Mi rimandarono in quattro materie. C’era l’elenco dei libri proibiti: quasi tutti. Così nascondevo Pavese, Sartre, Svevo nel breviario o nella sintassi latina. Mi beccarono a leggere Senilità. Convocarono i miei genitori». 
E loro? 
«Si schierarono con il potere. Il prete disse: “Leggi piuttosto I dolori del giovane Werther!”. Gli mostrai che pure quello era tra i libri proibiti. Passai al liceo Ariosto, e scoprii che nel frattempo era cominciato il ‘68». 
Anche lei è stato comunista? 
«No. Anarchico insurrezionalista. Contestavamo il Pci da sinistra. Mi colpì il suicidio di Jan Palach, nel suo nome arringai una folla di 800 studenti. A Jan Palach ho intitolato una via a Sutri, dove sono sindaco». 
Ogni tanto lei si fa eleggere sindaco da qualche parte. San Severino Marche, Salemi, adesso Sutri. Perché? 
«Tutti paesi con la S. Ora sto pensando a Sirmione». 
Sia serio. 
«Fa parte della mia visione umanistica: proteggere non solo le opere, ma le città. Roma travolgerebbe anche me. Preferisco luoghi piccoli, da far conoscere. San Severino oggi vive di arte». 
Salemi fu commissariata per mafia. 
«Un abbaglio. La mafia si reggeva sull’omertà; da Buscetta in poi, in Sicilia è archeologia: non a caso ho aperto il museo della mafia. Secondo lei la mafia cosa ci sta a fare a Salemi? La mafia va dove ci sono i soldi. A Milano. A Mosca». 
Primo amore vero? 
«A 17 anni, con Emanuela, la figlia del deputato comunista di Ferrara, on. Loperfido. La scoperta delle donne fu meravigliosa». 
Quante ne ha avute? 
«La contabilità ti vede sempre perdente: le duemila di Mitterrand, le ottomila di Julio Iglesias, le diecimila di Simenon... Dicono che il record sia di Fidel Castro: al ritmo di una al mattino e una la sera, arrivò a 35 mila. Non è importante il numero. La seduzione è nella testa. È una riprova continua». 
Lei è misogino. 
«No. Maschilista». 
Lei è cattivo. 
«No. Egocentrico». 
Mette le donne le une contro le altre. 
«Fanno tutto loro. A Venezia stavo con un’aristocratica, Maria Teresa; a Milano con Anna, la nipote di Visconti. Avevo una mostra su Palladio a Vicenza, a metà strada. Pensai: faccio venire Anna il mattino e Maria Teresa la sera. Ma Anna non trovò posto in treno e tornò indietro. Alla vista della rivale, diede mano alle forbici e le tagliò la treccia». 
Perché non si è mai sposato? 
«Sono stato fedele per 700 terribili giorni a una donna che mi marcava stretto come un terzino. Si addormentava dopo di me e si svegliava prima. Vede queste cicatrici, qui, sulla mano sinistra? Sono le sue unghie. Presi un raffreddore che non passava mai. Ancora oggi ogni mattina mi sveglio con uno starnuto: un memento che mi ricorda di non sposarmi». 
Perché rifiuta anche di fare il padre? 
«Sono stato un po’ il padre dei miei genitori. Li ho ri-educati, avvicinandoli all’arte e alla letteratura. Non li ho più chiamati mamma e papà, ma Rina e Nino». 
Quanti figli veri ha avuto? 
«Riconosciuti, tre. Sono contrario all’aborto, ho sempre incoraggiato la madre a tenere il bambino, ma non ho mai fatto promesse che non avrei mantenuto. Quando la mamma di Carlo morì di leucemia, mi presentai al funerale deciso a fargli da padre. Ma lui aveva già 15 anni, non volle seguirmi a Roma, se ne andò a Varese. Peccato, si sarebbe divertito. Ho anche due figlie, quasi coetanee: Evelina da una torinese di buona famiglia, Alba da una cantante lirica albanese». 
Qual è il segreto della sua lunga unione con Sabrina Colle? 
«Non facciamo l’amore dal 1999. Lei non ne sente l’esigenza, con mio grande sollievo. Nella mia apparente incontrollabilità, Sabrina detiene il controllo assoluto. Il potere sulle anime». 
Sabrina è bellissima. 
«Appunto. Non ha quella volgarità che a me piace». 
Perché disse che voleva morto Federico Zeri? 
«Siamo stati molto amici. Veniva a dormire dai miei, a Ro Ferrarese. Rompemmo per un quadro, un trittico di Antonio da Crevalcore. Il miliardario di Federico offrì 600 milioni; il mio un miliardo. Zeri per la prima volta si sentì scavalcato. E si vendicò». 
«Vecchio Sgarbone, quanti libri hai rubato, e quanti quadri non si trovano più...». È una canzone, da cantare sull’aria di Vecchio Scarpone, che le dedicò Roberto D’Agostino, grande amico di Zeri. 
«Una leggenda nata da un banale episodio a Londra: uscii da una biblioteca con qualche libro, e uno suonò. Zeri rilanciò la diceria. Mi mise in un cono d’ombra. Guadagnavo 15 milioni al mese – degli anni 80 – in collaborazioni: me le fece togliere tutte. Fui salvato dal Costanzo show». 
Ora che è morto davvero, cosa pensa di Zeri? 
«Pur essendo pazzo, o forse proprio essendo pazzo, è stato il più grande critico del dopoguerra». 
E chi è stato il nostro artista più grande? 
«Domanda irricevibile. I giudizi cambiano. Nell’800 Guido Reni era considerato molto più grande di Caravaggio». 
Nessuna domanda è irricevibile. 
«Ercole de’ Roberti. La sua Pala Portuense a Brera, con quel cielo tempestoso, è il quadro più bello del mondo. Un Piero della Francesca inquieto». 
Il nostro scrittore più grande? 
«Nessuno come Guicciardini ha penetrato l’animo degli italiani». 
E il poeta? 
«Ovviamente Dante. Che però parla all’umanità. Gli preferisco Petrarca che, come Leopardi, parla all’uomo». 
Lei vide nascere Forza Italia. 
«Berlusconi non aveva una grande passione politica. L’idea era usare un democristiano, Segni o Martinazzoli, come D’Alema poi avrebbe usato Prodi. Alla fine decise di giocarsi la partita in prima persona». 
Berlusconi ha tentato davvero di cambiare il Paese? O ha sempre badato solo ai suoi interessi? 
«Mai stato un rivoluzionario. Ricostruì il blocco moderato che governava l’Italia da quarant’anni. Fini e Bossi lo ostacolarono. Due donne lo distrussero: Veronica e la Boccassini». 
Fallirà anche Salvini? 
«No. È stato geniale nello spostare il nemico più a Sud: non più il terrone ma il nero. Salvini è un cristiano nel senso della Fallaci. Il futuro è suo». 
Lei invece continua a collezionare condanne per diffamazione. 
«Poca roba: non arrivo a sei mesi. Il problema sono i risarcimenti. Il record è di Scalfari: 150 milioni». 
Sei mesi li prese anche per truffa allo Stato, quando (non) lavorava alla sovrintendenza di Venezia. 
«Ma se ero in aspettativa non retribuita!». 
Lei crede in Dio? 
«Credere è una forma di presunzione; al massimo si può credere di credere. La ragione non ne darebbe motivo: Dio è indimostrabile, quindi non c’è. La dimostrazione che Dio esiste è una sola». 
Quale? 
«L’arte. C’è della divinità nell’uomo, perché l’artista aggiungendo bellezza al mondo continua la creazione. Attraverso l’arte l’uomo si immortala. Dante direbbe che “s’etterna”». 
Cosa c’è nell’aldilà? 
«Nulla. Di Leonardo non resta l’anima; resta la Vergine delle Rocce». 
E di lei cosa resterà? 
«Il museo dove riunirò i miei 280 mila libri e la mia collezione, compresa la Cleopatra di Artemisia Gentileschi». 
Ma se lei si è schierato con il suo stupratore, Agostino Tassi! 
«Tassi è colpevole. Lei però gli rimase accanto per un mese; lo denunciò solo quando lui rifiutò di sposarla».