La Stampa, 15 febbraio 2019
Breaking news? No, grazie. Il modello The Correspondent
Che cosa ha convinto quarantasettemila e ottocento ottantatré (47.883) persone di oltre centotrenta paesi del mondo ad abbonarsi a un giornale online che ancora non esiste? Che cosa hanno proposto di così dirompente gli editori di The Correspondent ai potenziali lettori da persuaderli a versare al buio oltre due milioni e seicentomila dollari in poche settimane?
È difficile trovare una spiegazione senza aver mai visto il giornale in questione, che a questo punto dovrebbe andare online a metà di quest’anno, quindi non si può che partire dalle cose che sappiamo: The Correspondent sarà lo spin-off, un derivato in lingua inglese, di De Correspondent, un analogo quotidiano online in lingua olandese nato nei Paesi Bassi nel 2013 con una raccolta fondi preventiva che allora aveva convinto diciannovemila olandesi a sborsare un milione e settecentomila euro; il sito di The Correspondent non avrà pubblicità, non inseguirà clic e sarà completamente finanziato dai suoi sottoscrittori, i quali sono invitati a pagare da un minimo di 25 fino a 2500 dollari (ma c’è anche l’opzione «altro»); sia l’originale olandese sia il nuovo The Correspondent con sede a New York promettono di «unbreaking the news», cioè di aggiustare il giornalismo, ovvero di superare le notizie che si esauriscono nello stesso momento in cui escono e che contribuiscono a invelenire il clima sociale, dividendo e rendendo cinici i lettori. «Vogliamo costruire un movimento a favore di un giornalismo radicalmente diverso», ha detto uno dei fondatori. L’idea è quella di dimenticare le breaking news, di stare lontani dalle notizie che si possono leggere ovunque e di andare invece a cercare quelle che sui giornali ci dovrebbero essere ma non ci sono, di concentrarsi sul giornalismo che spiega, che cerca soluzioni, che vuole essere costruttivo e non si limita a descrivere il pantano in cui ci troviamo, ma responsabilizza i lettori a trovare il modo di uscirne.
La risposta a questo appello promettente, ma tutto sommato vago, da parte di così tanta gente, che in media ha versato 50 dollari per l’abbonamento annuale, significa comunque che sul mercato editoriale c’è un potenziale pubblico di lettori alla ricerca di un’informazione nuova, diversa e di qualità. A garantire sulla credibilità del nuovo sbarco degli olandesi a New York hanno contribuito gli ambasciatori di The Correspondent, l’esperto di media Jay Rosen, l’ex direttore del Guardian Alan Rusbridger, il giornalista statistico Nate Silver, il fondatore di Apple Steve Wozniak, il regista Judd Apatow, lo sceneggiatore David Simon, la cantante folk Rosanne Cash e molti altri.
Il team olandese ha lavorato oltre un anno in America per ottenere questo risultato, spendendo un milione e ottocentomila dollari, prestati da tre fondi di investimento filantropico, per organizzare la campagna abbonamenti. L’aritmetica non è un’opinione, ma aver speso 1,8 milioni di dollari per raccoglierne 2,6 non significa aver investito una gran quantità di denaro per ottenere soltanto 800 mila dollari, perché se avessero impiegato l’investimento filantropico direttamente sul giornale non avrebbero convinto gli oltre 47 mila abbonati su cui possono contare adesso (19 mila dei quali sono olandesi già abbonati al sito originale che però hanno scelto di contribuire all’espansione di De Correspondent nel mercato di lingua inglese, malgrado avessero diritto di accesso al sito americano).
Grazie alla campagna di sottoscrizione, The Correspondent sta iniziando ad assumere i primi quindici membri della squadra. La redazione sarà priva di data analyst e di social media editor e conterà molto sulle intuizioni e sulle conoscenze dei lettori-editori, esperti e informati, in grado di fornire essi stessi spunti e analisi al giornale. I lettori nel modello di The Correspondent non saranno soltanto editori e finanziatori, ma anche fonte di notizie e di competenze, sentinelle sparse nella società per aiutare a «unbreaking the news», a mettere a posto il modo di fare giornalismo.
Questa versione competente di citizen journalism e di creazione diffusa e partecipata dei contenuti, sostenuta interamente dai lettori che per questo pretendono di sapere come sono investiti i soldi, in Olanda fa circa 60 mila abbonati che finanziano con quattro milioni e mezzo l’anno le operazioni redazionali dei 51 giornalisti di De Correspondent e della piccola casa editrice di libri collegata (che produce il 14 per cento dei ricavi). A De Correspondent si sono ispirati Zetland in Danimarca e Die Republik in Svizzera, quest’ultimo partito l’anno scorso con 18 mila sottoscrittori e 41 giornalisti.
Bisognerà attendere per capire se questo modello editoriale sarà scalabile o applicabile soltanto a imprese giornalistiche di nicchia, ma trasformare i lettori in azionisti del business editoriale ha certamente il vantaggio immediato di aiutare chi legge i giornali a conoscere la complessità del lavoro giornalistico e a rendersi conto di quanto costi farlo bene.
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