La Stampa, 15 febbraio 2019
Wanda Nara come Yoko Ono
La strega è tornata, una strega di nome Wanda. E a chi per motivi generazionali dovesse chiedere chi erano i Beatles: (ri)ecco a voi Yoko Ono, quella che faceva litigare John Lennon e si reincarnava in ogni fidanzata capace di seminare zizzania in un gruppo di amici e staccarne uno, quello centrale, ogni domenica pomeriggio, tenendolo ostaggio altrove con ricatti e contropartite che nulla lasciavano all’immaginazione. Aggravanti di Wanda Nara rispetto a ogni precedente: una certa e indiscreta avvenenza, un interesse patrimoniale mai mascherato da alcuna causa umanitaria o ideologica, una spudoratezza che rimbomba tra pareti sottili rette dall’ipocrisia. Aggravante rispetto a Mino Raiola che pur esibisce un décolleté di panza, al padre di Lautaro Martinez che all’allenatore del figlio si rivolge con deferenza stercoraria («Cagon!»), a tutta la compagnia fatturante dei procuratori che ha trasformato il gioco del calcio in trascurabile intermezzo dall’esito scontato fra una trattativa e l’altra del calciomercato permanente, un po’ come altrove hanno trasformato la politica in campagna elettorale permanente con un voto ogni tanto per ratificare l’esito dei sondaggi, aggravante si diceva: Wanda è donna. E la trama del campione traviato dalla malafemmina, da lei fiaccato nel fisico e nella tempra morale, è un successo assicurato, dai tempi della dama bianca che sgonfiava le ruote di Fausto Coppi per arrivare al giovane Zaniolo di cui si teme ed esorcizza, ahò, la mamma.
Dunque sarebbe la strega Wanda a essersi messa tra Mauro Icardi e l’Inter, tra lui e l’etica da spogliatoio, tra lui e il gol, perfino. Così come, all’epoca del peccato originale, si era messa tra lui e Maxi Lopez, spezzando il suo matrimonio e la loro amicizia. Prima di condannarla, si ricordi un sacrosanto principio giuridico: la responsabilità penale è personale. Lo spazio in cui Wanda Nara si è infilata è quello che esiste tra Mauro Icardi e se stesso. Ogni uomo ha sempre due possibilità davanti a sé ed è avanzando un bivio dopo l’altro che arriva al traguardo della propria definizione. Tocca a lui scegliere fra la testa e il testosterone, a lui tirare di piatto o di collo, a lui darsi un prezzo o non darselo mai. Non è Wanda a cedere a se stessa. Non è Wanda a non farsi mai vedere nella propria metà campo, manco per un saluto, risultando uno stucchevole estraneo ai propri compagni di difesa e centrocampo, slavi o altro che siano. Non è Wanda a tirare fuori con piede svitato un pallone regalato dall’avversario in avvio della partita casalinga con il Bologna, segnandone il letale esito. Lei fa un altro mestiere, che consiste nel fare Wanda Nara, una delle tante figure con più parte che arte a cui, nella transizione del presente, vengono affidati ruoli di influenza e potere. Una parte senz’altro la tiene, oltre alla propria, ed è quella di Mauro Icardi, a cui ha fatto ottenere più che in passato, forse perfino più del dovuto e non solo in termini economici. Non è piuttosto lui a tradire se stesso?