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 2019  febbraio 15 Venerdì calendario

Cambridge Analytica un anno dopo

È passato quasi un anno dallo scandalo Cambridge Analytica. E nonostante i valori finanziari di Facebook siano tornati in ordine e le scuse di Mark Zuckerberg siano diventate per molti un flebile ricordo, quella storia ha aperto una nuova fase nel mondo dei dati. Una fase di maggiore consapevolezza, attorno al macrocosmo delle informazioni personali. 
Da Cambridge Analytica il mercato dei dati ne è uscito forse un po’ ridimensionato, più che altro in termini di credibilità. Ma un nuovo ruolo chiave, in questo senso, lo ha rivestito il Gdpr. Il nuovo regolamento europeo sul trattamento dei dati personali era in pipeline e nasce ben prima dello scandalo Cambridge Analytica, frutto della legge europea 679/2016. Per una strana combinazione del destino è entrato in vigore il 25 maggio del 2018, otto settimane dopo la bufera che ha travolto Facebook e la società londinese. E il nuovo quadro normativo ha cambiato di molto le carte sul tavolo. Tanto che è legittimo chiedersi cosa sarebbe successo, con Cambridge Analytica, se il Gdpr fosse stato già in vigore. «È impossibile dirlo con certezza» racconta al Sole 24 Ore Gabriele Faggioli, responsabile dell’Osservatorio Information Security & privacy del Politecnico di Milano. «Se un’azienda o dei manager vogliono porre in essere delle attività illecite, fanno le loro valutazioni di rischio e decidono. Con il Gdpr in vigore, che di fatto ha innalzato il rischio sanzionatorio in modo esponenziale, è probabile però che anche quelli di Cambridge Analytica avrebbero fatto qualche riflessione in più. Perché è certo che con le nuove norme le sanzioni sarebbero state pesantissime».
Secondo Faggioli, che è anche Ceo di P4I, società di Digital360, col Gdpr «si è registrato un indiscutibile cambio di marcia. Perlomeno – e questo lo dicono anche i numeri della ricerca del Politecnico – nelle aziende grandi e grandissime. L’attenzione sul tema è cresciuta notevolmente e i progetti di adeguamento sono stati avviati e in parte completati. Gli stessi numeri ci dicono, però, che lo scenario è un po’ differente quando si parla di Pmi, dove l’attenzione verso il tema è meno percepita». In questo quadro «il contesto normativo è talmente complesso e oneroso, che probabilmente per un tessuto industriale come quello italiano fortemente caratterizzato da Pmi, professionisti e artigiani è poco digeribile. Per questo credo che un po’ di semplificazione per le Pmi possa essere utile».
Ma il mercato dei dati è cambiato? Secondo Faggioli è un po’ presto per dirlo. «Di certo – afferma – c’è maggiore sensibilità sulla raccolta dei dati e maggiore attenzione sul dato che viene venduto da parte delle società specializzate. C’è più attenzione. Che poi esistano sacche di mercato illecite, è un fatto noto: ci sono e ci saranno sempre. Però nel mercato legale, quello dove i dati si possono comprare in maniera legittima e trasparente, la mia sensazione è che chi vende i dati sia più attento, proprio per i rischi sanzionatori esistenti, e anche perché chi compra dati oggi controlla di più».
Il tutto però, va detto, avviene in un mercato in crescita, che, solo in Italia, è stimato sopra i 2,5 miliardi di euro. Entro il 2020 si stima che il valore, nel mondo, possa salire sopra i 200 miliardi di euro. È evidente che sia diventato fondamentale trovare nuove regole e nuovi paradigmi di marketing, peraltro a fronte di un incremento del numero di startup che stanno investendo nel settore dei dati, concentrando il loro business sull’opportunità di ripagare gli utenti che decidono di fornire le loro informazioni (si veda altro articolo in pagina).  
Di sicuro Cambridge Analytica e l’entrata in vigore del Gdpr – tecnicamente due cose diverse ma che per tempistiche si sono intrecciate negli ultimi mesi – «hanno impattato entrambe nel nostro mondo della comunicazione», conferma Stefano Cervini, head of business intelligence di Annalect, la divisione di Omnicom Media Group che si occupa di ricerche. È vero infatti che sul versante business Facebook ha attutito brillantemente il colpo chiudendo il 2018 con ricavi da pubblicità a quota 55 miliardi di dollari in crescita annua del 38%. Ma questo, replica Cervini, «non ha escluso che da un punto di vista più “emozionale” alcuni marketers abbiano cambiato strategia di approccio ai social. Addirittura ci sono anche in Italia aziende che hanno eliminato Facebook dalle loro pianificazioni media». E il caso di Unicredit è uno di quelli che ha fatto più scalpore nei mesi scorsi. 
Quanto invece al Gdpr, «le nuove modalità di raccolta dei dati comportano un disallineamento tra vecchi e nuovi dati, con la conseguente necessità per le aziende e i partner esterni di ricostruire il patrimonio informativo raccolto sugli utenti per rendere più efficace e rilevante la comunicazione. Ad esempio alcune aziende hanno autorizzazioni parziali all’uso dei dati». In questo quadro, «procedere a un massivo aggiornamento delle autorizzazioni può essere costoso – aggiunge Cervini – e se l’azienda è una multinazionale può essere anche un processo molto lungo che dipende da uffici legali sparsi in tutto il mondo».
Insomma grattacapi in più. E, per chi si occupa di comunicazione, più dal Gdpr che da Cambridge Analytica. Lo scandalo della società inglese però, concorda Federico Capeci ceo in Italia di Kantar (realtà di Wpp che si occupa di data investment management) ha anche offerto opportunità. «È innegabile – dice – che alcuni clienti abbiano preferito scegliere la linea dura. Dal nostro punto di vista però ci sono stati sul versante pratico anche dei vantaggi. Mi riferisco al fatto che alcuni clienti hanno siglato con noi di Kantar accordi importantissimi basati sul fatto che abbiamo chiesto e ottenuto da piattaforme come Facebook, ma anche Google, di poter “entrare” nella loro piattaforma per misurare l’impatto del loro advertising». Quindi, da una parte clienti più attenti e selettivi, alcuni anche verso il muro contro muro. Ma ad altri «realtà strutturate come la nostra hanno potuto offrire possibilità che sono state accettate di buon grado. Con vantaggio di tutti».