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 2019  febbraio 15 Venerdì calendario

Biografia di Claudio Amendola

Claudio Amendola, nato a Roma il 16 febbraio 1963 (56 anni). Attore. Conduttore televisivo. Regista. «Quando ho avuto l’occasione di lavorare altrove, ho fatto in modo di non sfruttarla. Ho avuto la fortuna, in Italia, di essere subito famoso, di lavorare tanto, e mi sono detto: “Ma mo’ ’ndo vado, a ricominciare da capo? Perché?”. È un atto di codardia, se vogliamo, ma, tutto sommato, io, qua, ma che vojo di più?» (a Claudia Casiraghi) • Figlio degli attori e doppiatori Ferruccio Amendola (1930-2001) e Rita Savagnone (classe 1939). «Mamma faceva Liza Minnelli, Glenda Jackson, Sophia Loren, Claudia Cardinale. Papà Dustin Hoffman, Al Pacino, Robert De Niro. Era divertente quando venivano a casa i miei amichetti e c’erano anche degli amici doppiatori dei miei nell’altra stanza. I miei amici sentivano discussioni animate tra Sean Connery e Robert Redford, interrotte da Robert De Niro e Liza Minnelli. E dicevano: ma chi c’è in casa?». I genitori divorziarono nel 1971. «L’unica volta che ho sentito i miei dirsi “ti amo” è stato quando ho visto New York, New York. Lui era De Niro, lei Liza Minnelli» Nonostante l’estrazione sociale borghese visse un’adolescenza turbolenta, abbandonando la scuola al secondo anno di liceo e facendosi rapidamente fama di «coatto». «I miei dicevano: “Perché scrivono questo di te? Non sei un ragazzo di borgata. Sei cresciuto in una famiglia benestante, borghese”. […] Sono cresciuto in una casa piena di libri e di buonissima musica. Abbado e Pollini erano di casa, e dopo cena suonavano». «Abbado era cugino di mamma. […] Io sono stato a casa di Arturo Benedetti Michelangeli» (a Silvia Fumarola). «Com’eri da ragazzino? “Ho avuto grande libertà e indipendenza. Ho sempre dato poco retta ai consigli. E mi sono fatto molti bernoccoli. […] Ho vissuto molto per strada dai 15 ai 20 anni. Avrò cenato a casa non più di cinque volte. Non tornavo mai prima delle quattro di mattina. Ho fatto di tutto”. Droga? “Spinelli in piena e totale libertà e continuità. Ma niente altro”. […] Risse? “La rissa era alla portata quotidiana”. La prima rissa? “Tredici anni, rissa di quartiere. Avevano fregato il berretto ad un amichetto nostro. […] Ci siamo menati per tre giorni: venerdì, sabato e domenica”. Altri momenti di violenza? “Io andavo in una scuola molto politicizzata, in mano agli autonomi. Gli scontri con la polizia erano frequenti, le molotov anche. Sampietrini, manganellate, cazzotti”. Come passavi la giornata? “Uscivo la mattina e andavo a scuola. Non entravo quasi mai. La scuola era autogestita: avevamo il sei politico. […] Mio padre mi cambiò scuola. A Natale arrivò a casa un telegramma del preside: ‘Vorremmo avere il piacere di conoscere l’alunno Claudio Amendola’. […] Mi misi a fare piccoli lavoretti: il commesso, il manovale, il bagnino. Alla fine, esausto, ho fatto per un po’ l’assistente in sala di montaggio”» (Claudio Sabelli Fioretti). «Una volta, a 19 anni, avevo fatto una cazzata e ho passato una notte a Regina Coeli. Ho capito tantissime cose, quella volta: la prima, che non ci volevo più tornare, perché la sensazione di privazione della libertà non te la dimentichi più. Anche se là ho conosciuto, dalle nove persone nella mia cella, la più profonda solidarietà di tutta la mia vita». Il suo debutto come attore avvenne grazie alla madre, che, incontrando il regista Franco Rossi in cerca di «un giovanotto sui diciotto anni, fisico da pugile, faccia aperta e cordiale», propose il figlio, il quale però era inizialmente riluttante: come ha raccontato la stessa Savagnone, «Claudio, di quel provino, non voleva saperne. Ci andò con l’idea di scapparsene subito dopo. E, invece, la settimana seguente, era sul set di Storia d’amore e d’amicizia, una delle più belle fiction della nostra tv». «Mia madre diceva che per fare l’attore ci voleva studio. E tanta passione. Invece, no. Uno va là e lo fa». Dal padre, all’epoca, «ho avuto un solo consiglio, perché era molto discreto. Mi diceva: “Parla piano, non con un tono forzato: non c’è bisogno di far sentire tutto, se in sala si distraggono è colpa loro”». L’anno successivo, Amendola esordì anche al cinema, nella commedia Lontano da dove di Stefania Casini e Francesca Marciano, continuando poi con Carlo Vanzina (Vacanze di Natale, Amarsi un po’, Vacanze in America), Mauro Bolognini (La venexiana), Sergio Corbucci (I giorni del commissario Ambrosio) e Marco Risi, con cui, dopo Soldati – 365 giorni all’alba (1987), ebbe uno dei suoi ruoli più importanti, nel drammatico Mery per sempre (1989). «L’ho voluta coi denti, quella parte. Marco Risi nemmeno voleva sentirne parlare: gli altri attori erano tutti palermitani, minorenni, ragazzi che il carcere lo avevano fatto davvero. Feci un provino fantastico: alla fine Risi si alzò e mi disse: “Mi hai fregato!”». «Ero un ragazzino. A Cinecittà incontravi Gassman, Sordi, Tognazzi, Volonté. Ho conosciuto Stefano Vanzina, il grande Steno; avevo già fatto i film col figlio Carlo. Gli facevo raccontare di Totò e Fabrizi, gli recitavo Un americano a Roma». «Quando ha cominciato, con Storia d’ amore e d’ amicizia, "sono capitato sul set senza nessuna idea, se non quella di divertirmi. Solo dopo ho capito che otto mesi con un regista come Franco Rossi non erano solo un bel gioco. Poi ho lavorato senza troppa coscienza. Solo dopo l’ incontro con Risi, dopo Mery per sempre, ho cominciato a pensare di avere qualche qualità"» (Maria Pia Fusco). Seguirono nuove interpretazioni con registi del calibro di Ettore Scola (Il viaggio di Capitan Fracassa), Carlo Mazzacurati (Un’altra vita) e Marco Tullio Giordana (Pasolini, un delitto italiano), con Ricky Tognazzi (Ultrà, La scorta), con Giulio Base (Poliziotti) e ancora con Carlo Vanzina (I mitici – Colpo gobbo a Milano), ma anche con autori francesi come Patrice Chéreau (La regina Margot) e Jean-Paul Rappeneau (L’ussaro sul tetto). «Per anni ha interpretato poliziotti o delinquenti. "Sì, personaggi molto ‘terreni’. La svolta è avvenuta con Wilma Labate, con cui ho girato La mia generazione, ma soprattutto Domenica: forse è uscito tre giorni nelle sale, ma è il film a cui sono più legato. Nel pieno del successo, della gioia – stavo con Francesca [Francesca Neri – ndr] –, mi ha regalato un personaggio che faceva i conti con la morte. Mi ha detto ‘Tu hai un dolore nascosto’, e io, sempre ‘sampietrino’, ho tirato fuori altro. È chiaro che mettersi alla prova è lo stimolo più importante per un attore. Il protagonista di Ultrà, mi alzo la mattina e lo faccio, ma con Wilma ho scoperto un altro Claudio"» (Fumarola). In seguito è stato diretto da Paolo Virzì (Caterina va in città), Felice Farina (Senza freni, La forma dell’acqua), Sergio Citti (Fratella e sorello), e ancora da Carlo Vanzina (Il ritorno del Monnezza) e da Marco Risi (Cha cha cha), continuando parallelamente un’altrettanto importante carriera da attore televisivo, che ha raggiunto il culmine con la serie I Cesaroni (Canale 5, 2006-2014), trasmessa per sei stagioni con enorme successo di pubblico, e conseguenti guadagni per l’attore. Negli ultimi anni, Amendola ha continuato a dividersi tra la televisione, per lo più negli abituali ruoli in divisa (ispettore capo in Tutti per Bruno, maresciallo in Lampedusa – Dall’orizzonte in poi, commissario in Nero a metà), e il cinema, in film drammatici come Suburra di Stefano Sollima (nei panni di Samurai, boss della malavita romana con trascorsi nella Banda della Magliana parzialmente ispirato a Massimo Carminati) come nelle commedie Noi e la Giulia di Edoardo Leo, Come un gatto in tangenziale di Riccardo Milani e Hotel Gagarin di Simone Spada. Nel 2014 Amendola si è inoltre cimentato nella regia con la commedia La mossa del pinguino, ripetendo l’esperienza nel 2017 con il drammatico Il permesso – 48 ore fuori, in cui ha anche recitato. «Il mio terzo film da regista sarà in parte autobiografico» • Un David di Donatello come miglior attore non protagonista nel 1993 (Un’altra vita), un Nastro d’argento come miglior attore non protagonista nel 2015 (Noi e la Giulia) • Numerose apparizioni televisive anche nelle vesti di co-conduttore (Scherzi a parte, Canale 5, 2007 e 2009; Le iene, Italia 1, 2012), opinionista (Grande Fratello, Canale 5, 2015) e giurato (Miss Italia, La7, 2015; Pequeños Gigantes, Canale 5, 2016; Tale e quale show, Rai Uno, 2015) • Due figlie, Alessia (1984) e Giulia (1989), dalla prima moglie, Marina Grande; un figlio, Rocco (1999), dall’attrice Francesca Neri, conosciuta durante le riprese de Le mani forti di Franco Bernini (1997) e sposata nel 2010 a New York. «Alessia fa la doppiatrice, mentre Giulia vive in campagna, è un’artigiana. Rocco vorrebbe fare il dirigente sportivo» • «“La rinuncia di Francesca rispetto alla sua carriera, una rinuncia fatta con il sorriso, ha fatto sì che io di rinunce non ne dovessi fare. […] Lei ha scelto la nostra serenità e la nostra unione, facendo un passo indietro su se stessa per occuparsi di Rocco e di me”. […] È difficile la monogamia a vita. “Infatti la fortuna mia e di Francesca è che ci siamo incontrati da grandi. Quello che conta in un rapporto è la fiducia: la mia vita è nelle tue mani e io ho la tua nelle mie. È meraviglioso: chi non ce l’ha non sa che si perde”» (Marina Cappa). «Nel privato Francesca è stata la chiave di volta della mia vita. Mi ha fatto scoprire chi sono. Sono diventato padre della mie figlie perché sono diventato padre di Rocco. Ero troppo giovane quando sono nate: sono già nonno. Dico sempre: Franco Rossi mi ha fatto diventare un attore e una donna mi ha fatto diventare un uomo. All’inizio ero spaventato: Francesca era impegnativa, ma l’amavo. Mi sono detto: e se la perdo? Mi sono messo in gioco» • Un «piccolo infarto» nel settembre 2017. «Mi sono reso conto che è stata un’esperienza meravigliosa, perché all’improvviso ti rendi conto veramente del valore della vita e delle cose che hai. È stato come una secchiata d’acqua gelata. La mia vita è cambiata radicalmente: ho smesso di fumare, sono dimagrito dodici chili e ora mi sento come un trentenne» • Da sempre nettamente di sinistra (Democrazia proletaria, Rifondazione comunista, Rivoluzione civile, Liberi e uguali), non senza qualche ambiguità: intervistato nel 2004 da Claudio Sabelli Fioretti, indicò come «esempio di voltagabbana» «Alberto Franceschini, il fondatore delle Br. È il più voltagabbana di tutti. Troppo livore. Il loro era un sogno folle, utopico, ma un sogno. In lui sento solo la voglia di ripulirsi» • Grande rumore, nel marzo 2018, quando, ospite della trasmissione televisiva L’aria che tira (La7), definì Matteo Salvini «il politico più capace degli ultimi vent’anni, ma proprio senza ombra di dubbio». Ironizzò Aldo Grasso: «Punti di vista. Tuttavia, nel 2015, lo stesso Amendola lo apostrofava come “razzista”, in nome e per conto della Garbatella. […] Amendola ha sempre rappresentato l’idealtipo della sinistra, un compagno coi controca… Quando conduceva programmi come Scherzi a parte o il Grande Fratello, era a sinistra della sinistra: mai Pci, mai Pds, mai Ds, mai Pd. Ultimo macho, coatto con garbo, agli intervistatori che gli facevano notare come il suo spirito proletario stridesse un po’ coi benefits di cui si circondava Claudio, core de ’sta sinistra dura e pura, rispondeva: “Il comunismo oggi non vuol dire Lenin e Stalin. Vuol dire giustizia sociale, pagare le tasse, vivere moralmente sani, non sprecare, non sfruttare, pagare i contributi, seguire gli insegnamenti di Gesù Cristo”. E, se a Pasqua al posto del Cristo c’è Salvini, è solo un cambio d’inquadratura». Replicò l’indomani Amendola: «Quando ho detto che Salvini è il miglior politico degli ultimi venti anni, ho sbagliato: avrei dovuto dire degli ultimi trenta. […] Salvini ha preso un partito regionale, ai margini della scena politica, gravato da scandali e appesantito da un disprezzo diffuso e lo ha trasformato in un partito nazionale che governa le più ricche e produttive regioni italiane, ha conquistato la leadership della sua coalizione e si presenterà davanti al presidente della Repubblica, forse, per avere l’incarico di governo. Faccio fatica a trovare un politico che negli ultimi trenta anni abbia fatto altrettanto. […] Nella stessa trasmissione ho dichiarato di aver votato Leu. Le faccio un esempio di natura calcistica: se dicessi che la Juventus è la squadra più forte degli ultimi 7 anni, potrei essere tacciato di essere uno juventino?». Controbatté Grasso due giorni dopo: «Le parole sono commedia: io non discutevo le idee politiche di Salvini o di Amendola: cercavo solo di mettere in luce un’incongruenza. […] In soli tre anni, da “razzista” a “miglior politico degli ultimi trent’anni”, il salto mortale è triplo, con avvitamento carpiato». «Mai stato tentato di far politica in prima persona? “Hanno provato a coinvolgermi tante volte, ma credo servano un rigore e una preparazione che non ho. Ci vorrebbe almeno un diploma. Tanto più vedendo la pignoleria esagerata con cui hanno fatto le pulci al curriculum di Giuseppe Conte. Probabilmente difetto anche dell’autocontrollo necessario a non mandare a quel paese certi interlocutori nei dibattiti pubblici quando la menano troppo. E poi […] il mio mestiere è un altro”» (Maurizio Caverzan) • «Ho lavorato tanti anni anche a Mediaset, senza problemi. So che Berlusconi ha detto di me “Quell’Amendola mi piace: è un bel comunista”» • «Cosa pensa della mobilitazione anti-molestie? “Sono dalla parte delle donne: qualunque denuncia è sacrosanta. Ma bisogna educare i maschi a rispettare l’altro sesso. E lo dice uno che ne ha viste tante: uomini molestatori e donne all’assalto degli uomini”. A cosa si riferisce? “Sono stato molestato anch’io. Ho iniziato a lavorare da giovane, ero un bel ragazzetto. Una donna più grande approfittò del suo potere per saltarmi addosso”. E lei come ha reagito? “Che dovevo fare? Ce so’ stato”» (Gloria Satta) • Ecologista. «Sogno che cominciamo a preoccuparci in modo non episodico del nostro pianeta, per lasciare un mondo più sano ed equo alle generazioni più giovani». «Credo sia questo lo sviluppo di un pensiero di sinistra, l’unico modo di essere comunista oggi. Sono queste le battaglie da fare» • Ateo • Fervente romanista. «Per l’addio al calcio di Totti ho pianto come un vitello: mi ha fatto una tenerezza infinita. È stato un momento di cinema meraviglioso, che però sarebbe dovuto succedere un anno prima. Lui, la squadra e noi avremmo meritato che la sua ultima stagione fosse stata gestita con più intelligenza». Iniziò al tifo romanista anche il figlio Rocco, quando era piccolo: «Ce l’ho fatto diventare con una bastardata. Un giorno ho fatto sparire i suoi giocattoli e gli ho detto che glieli avevano fregati i laziali. Il giorno dopo glieli ho fatti ritrovare tutti. E gli ho detto: “Sono venuti i romanisti e te li hanno riportati”. Una porcata, lo so. Ma per un fine superiore. Francesca è laziale. Dovevo intervenire subito. Magari diceva “Forza Lazio”, e si macchiava la bocca per sempre». «Messo alle strette, preferiresti diventare laziale o fascista? “Pistola alla tempia? Meglio fascista che laziale”» (Sabelli Fioretti) • «Prodigo di giudizi sulla sua Roma acciaccata: “Non voglio sparare sulla Croce rossa. Io dico che pure noi romani dovremmo imparare a essere più civili. La macchina in seconda fila, chi la lascia? Il materasso in strada, chi lo butta? M’allargo: chi sfrutta i raccoglitori di pomodori, se non imprenditori italiani? Basta predicare bene e razzolare male”» (Laura Martellini) • Vari tatuaggi, tra cui un grande seno, un Colosseo con gladiatore («Un indigeno si fa il tatuaggio della sua tribù, un romano si fa il Colosseo»), un indiano e un delfino • Volto delle campagne pubblicitarie del sito di scommesse sportive Bet365. «Sono un giocatore, moderato come mio padre. Forse per autogiustificarmi distinguo tra scommesse sportive e casinò online. Se discutiamo le scommesse discutiamo anche il lotto, la Lotteria Italia, il Totocalcio e i casinò che fruttano milioni allo Stato. Non sono ipocrita: il dibattito è giusto, ma, pur avendo molto rispetto per chi soffre di ludopatia, non mi sento in colpa per loro». «Fare spot non è certo un reato, come non lo è disquisire di reality. Ci sarebbe solo un piccolo aspetto, odiosamente moralista e forse ormai anacronistico: è “giusto” che un attore – più o meno impegnato, ma comunque amato e quindi seguito da migliaia di persone che si fidano di lui – esorti allegramente a scommettere, per quanto nel rispetto delle regole vigenti? […] Vederlo nella veste dello scommettitore compiaciuto, che pare cercar proseliti con aria da guru ieratico, un po’ di rabbia la mette. Rabbia, sì. E pure un po’ di malinconia» (Andrea Scanzi) • «Lei fa di tutto, sta in un film impegnato come Suburra e sta anche a Miss Italia. Perché? “Primo, perché mi diverto. Secondo, perché mi pagano bene. […] Io faccio quasi tutto per soldi. E sarebbe sbagliato non farlo. Perché, se non li danno a me, i soldi li danno a un altro, mica vanno in beneficenza. Guadagno tanto, da tanti anni, e sono abituato a guadagnare tanto. Non mi vergogno di parlarne, perché pago tutte le tasse che devo pagare”. Sfizi da ricco che si è tolto? “Grazie ai Cesaroni, una barca. Non ce l’ho più, e forse il mio rapporto con il denaro negli anni è cambiato. Averne tanto e presto è stato bello, ma anche un po’ inutile. Esiste un livello di benessere oltre il quale a me non interessa andare”» (Paola Jacobbi). «Una cosa non ho mai capito, da ingenuo: se uno è comunista, perché non vive da comunista?» (Aldo Grasso) • «Come attore non applico un metodo per interpretare una parte. Il mio unico metodo è non vestirsi del proprio personaggio. Personalmente diffido di quegli attori che entrano troppo nella parte e che poi fanno fatica ad uscirne. Quelli che si calano nella psicologia del proprio personaggio fino a portarselo fuori dal set. Per me l’unico buon metodo è seguire un regista che ti mostra come fare la scena. […] La cosa migliore del nostro lavoro è proprio la diversità, ed io sono davvero felice di aver potuto lavorare nella mia carriera tanto con Patrice Chéreau che con Carlo Vanzina. Se non ci fosse questa diversità di impegno e di atteggiamento, sarebbe un lavoro di una noia mortale». «Io ho interpretato, nel 70% della mia carriera, il ruolo del coatto. Nel 30% restante, però, sono riuscito a fare altro: il politico con Virzì, ad esempio. In generale, direi che mi piace fare ruoli disturbanti, che lascino nello spettatore il peso di aver visto qualcosa che l’ha fatto star male». «Lei non fa teatro. È una sua scelta? “Non ce la faccio. Lo so, è un’ottima scuola, ma non amo la ripetitività. Adoro la televisione, a cui sono grato”» (Antonella Silvestri) • «Un ricordo di suo padre? “Quando recitavamo insieme temeva non ricordassi le battute e non riusciva a non ripeterle sottovoce. In quel labiale c’era tutta la sua protezione e il suo incoraggiamento”» (Caverzan). Una volta è stato doppiato dal padre: «È successo in una scena del film Soldati – 365 all’alba in cui correvo. Il respiro nell’audio originale si sentiva male, e nel montaggio ebbi difficoltà. “Vabbè, la faccio io”, disse mio padre, direttore del doppiaggio. Sei secondi in cui ansimava!» • «“Ricordo una Domenica in con Pippo Baudo: io, diciottenne, ridevo, Massimo Bonetti e Barbara De Rossi tremavano”. Lei quando ha tremato? “Al primo ciak con Scola. Non sono neanche riuscito a dire la battuta. Apparivo in Capitan Fracassa con lo schioppo, sparavo e partiva il monologo. Me la facevo sotto: c’erano Massimo Troisi e Ornella Muti. Ho finto che il botto mi avesse assordato, Ettore gentile: “Sì, Claudio, anche a me ha dato fastidio”. Ero emozionato, perché era bellissimo stare al Teatro 5 di Cinecittà”» (Arianna Finos). «Era sicuro del mestiere che aveva scelto? "Sono stato ore fuori dalle roulotte a guardare: ‘Famme vedé che mestiere posso imparare, perché non so quanto durerà’. Chi se l’immaginava, che avrei fatto davvero l’attore? Sono stato zitto dieci anni ad ascoltare registi e attori, oggi dopo dieci minuti sul set so come finirà la giornata. Ho imparato moltissimo dai registi incartati, quelli che fanno, fanno, per tornare al punto di partenza. Una sera Mastroianni a cena, fra tante cose, ne disse una che mi colpì: "Quando ti capiterà di incontrare un regista pippa, statte zitto, sennò s’incarta, e non finisci più"» (Fumarola) • «Errori di gestione nella carriera? “Uno molto grave, ma di cui non sono affatto pentito perché si è rivelato la scelta più giusta della mia vita”. Racconti. “Ero il protagonista di Nostromo, serie per la Bbc, e stavo andando a Londra alla conferenza stampa e alla prima. All’aeroporto, con la carta d’imbarco in mano, mi accorsi che al gate accanto partiva un volo per Madrid. A Madrid c’era Francesca. Mi ci ero fidanzato da venti giorni. Sono andato da lei. Ho fatto la figura meno professionale e più da stronzo della mia carriera, ma era giusto così”» (Jacobbi) • «Soddisfatto della sua carriera? “Certo, ho interpretato i personaggi giusti al momento giusto. Sono stato fortunato”» (Satta). «Porte in faccia, ne ha prese? “Eccome. L’ho presa male solo quando Marco Risi, con cui avevo girato due film, mi disse, dopo il provino per Il muro di gomma: “Sei stato strepitoso, ma non ti prendo”. Ho rosicato, anche perché c’era il caso Ustica, e ideologicamente volevo farlo”. Il più grande rimpianto? “Bagno turco: non ho capito che occasione poteva essere per me il ruolo che poi interpretò Alessandro Gassman. Non mi sono fidato di me né di Ferzan, che mi diceva: ‘È questa la scelta che devi fare: che ci vuole, a infilare un altro coatto?’”. […] Il prossimo sogno? “Un western. Bufalo Bill è venuto a fare il circo qua, ha incontrato i butteri, sa? Ma chi me la fa fare, la storia di Bufalo Bill e i butteri? Altrimenti un action, un poliziottesco con i soldi: sennò fai ridere”» (Finos) • «Che cosa è la coattitudine? “I coatti veri non esistono più. I coatti veri sono quelli anni Settanta: arrivavano in centro dalle borgate con la coperta sulla sella della Vespa, fieri di essere coatti, di avere l’ombelico di fuori. Mettevano paura. Oggi i coatti si sono imborghesiti, ‘imparioliniti’. Si comprano le marche migliori, vestono Versace. Sono solo cafoni”» (Sabelli Fioretti) • «Claudio ha una presenza e una fisicità che si adatta ad ogni ruolo, dal buon padre di famiglia al personaggio ambiguo e oscuro» (Felice Farina). «Curioso il destino di Claudio Amendola: comunista duro e puro (“l’opposizione è la nostra vocazione”), attore impegnato, passerà alla storia dello spettacolo principalmente per la sua interpretazione ne I Cesaroni» (Aldo Grasso) • «Vorrei avere un contratto con il quale fare due film l’anno da regista, e non fare più l’attore. Quello del regista è un lavoro tanto creativo quanto faticoso. Sono quarant’anni, però, che faccio l’attore, e ci sono cose che mi hanno ormai stufato: certi tipi di attese, certi orari. E non è che io non voglia alzarmi presto, per carità. È che capita, spesso, che l’attore sia segregato in una roulotte per ore. L’attore aspetta, sempre. Se un giovane aspirante attore mi chiedesse un consiglio, gli direi: “Si procuri una sedia”».