Sette, 14 febbraio 2019
Lunga intervista a Matteo Renzi, che torna con un libro
COME DISSE ISAIA: per amore del mio popolo non tacerò». Andiamo bene. Se qualcuno pensava (pochi) che il nuovo Matteo Renzi fuori dai giochi delle primarie (pare) e delle prossime europee avrebbe forzato la sua natura chiudendosi nel silenzio, eccolo subito smentito. Nel libro Un’altra strada. Idee per l’Italia di domani, scritto per Marsilio e nelle librerie dal 15 febbraio, l’ex presidente del Consiglio è ben deciso a non fare nessuna «kista». Ricordate cosa raccontò Maria Antonietta Macciocchi a proposito della scuola Pci alle Frattocchie? La “kista” consisteva «nell’autoconfessione spietata, nel narrare la propria vita al negativo, ovvero attraverso uno schermo autocritico scatenato per cui si scovavano, nella mente e nel cuore, le deviazioni più balorde: affezioni di egoismo, opportunismo, indifferenza verso le sofferenze del popolo». «Io penso che ci si penta in chiesa e non in politica. A differenza dei comunisti, penso che se uno si deve pentire si pente davanti a un confessore. Il pentimento è una categoria, bellissima peraltro, della Chiesa cattolica. Non della politica. E poi, scusi, certe cose più che la “kista” a me ricordano gli alcolisti anonimi».
Insomma, niente pubblico lavacro neanche stavolta.
«Perché mai dovrei farlo, scusi? Autocritica. Autocritica. Il culto dell’autocritica…».
Quella vera le rinfacciano in tanti di non averla fatta.
«Ma non la faccio neanche. Punto primo, perché non vengo dalla cultura comunista, come penso si sia visto anche sulla vicenda Maduro: che qualcuno difenda la dittatura comunista per me è insopportabile».
Punto secondo.
«Se lei mi domanda: “Ha commesso degli errori?”. Ma certo, ne ho fatti tanti, di errori. Ma se vogliono la terapia di gruppo, beh, questa cosa non l’avranno. Anche perché penso, punto terzo, che noi eravamo davvero meglio di come sono loro ora».
L’errore più grave?
«Non essermi dimesso definitivamente dopo la sconfitta, non solo da premier (nonostante avessi ancora 174 voti per la fiducia), ma anche da segretario. Mi dicevano: ma no, resta, noi siamo con te… Dovevo mollare tutto. Andare a fare conferenze in giro per il mondo. Stare fuori dieci anni».
Un altro?
«Uno clamoroso quando sono arrivato a Palazzo Chigi. Non ho investito su una comunicazione social: ho solo lavorato su Twitter, dove ancora sono primo. Pensavo che quella immediatezza… Ho trascurato i social… E intanto Twitter è morto. Per carità, i social sono pieni di fake. E su questo vorrei una commissione parlamentare, anche se Salvini e Di Maio farebbero le barricate. Ma fu sbagliato trascurare i social. Avrei potuto spiegare meglio i nostri numeri».
Quali?
«Quattordici trimestri di crescita, un milione e 200mila posti di lavoro sanzionati dall’Istat, il Jobs Act... I dati dicono che noi europei passiamo in quegli anni da 160 a 164 milioni di occupati. Di questi quattro milioni in più, 1,2 sono italiani».
Lei sa già la contestazione: intanto sotto il vostro naso i poveri crescevano…
«Ma non è così…»
Lo dicono la Caritas, l’Istat…
«Non è così. I dati vanno presi nel periodo. I poveri sono cresciuti tra il 2008 e il 2015, ma il tasso di povertà ha iniziato a diminuire quando ha iniziato a venir su la crescita. È evidente che la politica di austerity europea ha creato più poveri: evidente. Tant’è vero che il reddito di inclusione e inserimento, il cosiddetto Rei, l’abbiamo fatto noi. Quando mi sono dimesso era già legge. Certo, non posso condividere il reddito di cittadinanza perché quello è figlio di un’idea sbagliata di Davide Casaleggio. “Nel 2054 molti lavori non ci saranno più e dedicheremo solo l’1% della nostra vita al lavoro”, dice, quindi “serve un sostegno per tutti”. Ma dai! Non così! I navigator sono i forestali del terzo millennio. Come li assumi? Li fai i concorsi? O violi la legge?».
Tornando al libro…
«Si rende conto che stiamo parlando solo del passato? Io voglio parlare del futuro. Di idee. Di Steven Pinker, del suo rilancio dell’illuminismo oggi e del rifiuto del pessimismo. O di Ian Goldin, che da Oxford ci parla di un nuovo Rinascimento e dice che in realtà siamo nell’età dell’oro. Mai come in questo momento l’Italia ha delle occasioni. Mondo piatto, globalizzazione, prodotti di qualità, piccolo Paese che può andare in tutto il mondo. Tutte le 240 pagine del mio libro sono un inno al futuro. Sei punti: Europa contro nazionalismo, cultura contro ignoranza, futuro contro paura, doveri e non solo diritti, lavoro e non sussidi, verità contro fake news. Inaccettabili. Ha visto cosa c’è sul tavolo?».
Non me lo dica: il modellino dell’Air Force Renzi.
«Esatto. L’ho messo lì perché lo vedano tutti. Certi imbarazzi… Come a casa del morto: “Ma quello…”. Sì, rispondo: è il mio aereo. Una provocazione. Perché quella sull’aereo milionario (sul quale non sono mai salito, peraltro) è la fake più grossa di tutte. Come quella della legge “ad cognatum” fatta per evitare guai al marito di mia sorella sui soldi Unicef. E altri ancora. Decideranno i tribunali. Sto querelando a più non posso perché non mi scadano i termini dei cinque anni... Anzi, non querele: cause civili. Venti, ne ho fatte. Non ne potevo più. Scrivi le parole “ad cognatum”? Vediamo cosa ne pensano i giudici. Scrivi “Renzi è un incapace”? È un tuo diritto. Scrivi “Renzi è un ladro”? Ti stecco».
E le faccende di suo papà?
«Io non avrei mai e poi mai fatto ciò che hanno fatto Luigi Di Maio o Alessandro Di Battista. Non avrei mai costretto mio padre a quelle forche caudine… Anche lui, mio padre, sta querelando. Ha già portato a casa credo qualcosa come centocinquantamila euro. Nessuno potrà restituirci però quello che abbiamo subìto. Quando le tue sorelle ti dicono: “Se il babbo muore è colpa tua”. E mio figlio: “Perché non ti fidi del nonno?”».
Se l’era anche un po’ tirata…
«Senta: mio padre fino a 63 anni ha preso solo multe per eccesso di velocità, non poche peraltro. Dopodiché, improvvisamente, viene pedinato quattro anni come un camorrista. E che gli trovano? Dopo dieci indagini va a processo per una fattura da 20.000 euro. A differenza di altri genitori celebri, mio padre le fatture le faceva, le pagava, le incassava. Fanno così le persone oneste. Altri invece andavano nelle piazze a gridare onestà e poi lavoravano e pagavano in nero. Ogni riferimento alle aziende di Di Maio e Di Battista è puramente voluto…».
Lei stesso si infuriò per come si impicciava…
«L’intercettazione è lì. Gli urlo: “Oh, tu devi dire la verità, questo non è un gioco, eh!”, e lui: “Ma io la dico la verità, tu metti in dubbio la mia parola!”. “Sì, metto in dubbio la tua parola, perché non mi fido del fatto che tu dica la verità!”. Ma alla fine cosa resterà, di tutte queste indagini a tappeto? La dicitura di una fattura che forse non andava bene? Sulle intercettazioni stesse, se permette, avrei da ridire…».
Continui.
«Per quattro anni hanno passato al setaccio tutta la mia vita. Le amicizie. La famiglia. I parenti. I mutui. Tutto. Mi hanno intercettato. Non so se mi spiego: in un altro Paese ci sarebbe stata una sollevazione davanti alla intercettazione del presidente del Consiglio. Qui no. Il depistaggio, poi! Per carità, gli organismi sono sani ma l’infezione c’è stata. Ci sono carte del Csm in cui il pm Lucia Musti racconta di quando arriva nel suo ufficio il colonnello Scafarto e le dice: “Vogliamo le prove per arrivare a Renzi, dobbiamo arrestare Renzi”. Ha dovuto chiedere scusa, per questo. E la destra che fa? Lo nomina assessore alla legalità di un comune. Ecco, a Conte spero che tutto ciò sia risparmiato. Come già hanno glissato su altre faccende tipo quella del “suocero”».
Cioè?
«Ma come, non sa la storia del “suocero” di Giuseppe Conte (per carità: innocente fino a sentenza), inquisito per non aver versato al Comune due milioni di tasse di soggiorno di un grande albergo romano? Su di lui un pezzetto qua, uno là… Per mezza giornata. Se fosse stato mio suocero?»
Sta dicendo che Conte gode di migliore stampa?
«Beh, lui è l’establishment. Dice che è l’ “avvocato del popolo”: ma quando mai! Ero io l’estraneo, il barbaro, l’anti-establishment. Lui è l’establishment. Non a caso diventa professore, messo in cattedra da Alpa, sul cui concorso i dubbi sono enormi… È sempre stato dentro le cose. Ci ricordiamo i grandi complimenti che ci faceva quando eravamo al governo noi».
Vuol dire che conoscevate già lo sconosciuto?
«Sconosciuto? Conserviamo ancora i messaggini di lode per il nostro governo…».
Ma se vi accusa di aver lasciato un buco nei conti!
«Mi sa che i grillini coi buchi nei bilanci e le buche nelle strade non hanno un gran rapporto. Conte è l’arci-italiano classico. Sta nei salotti romani, nel sistema della giustizia amministrativa, negli studi che difendono l’Aiscat e i finanzieri che scalano le banche… Io ero il barbaro, che non usciva mai, non frequentava i salotti, stava chiuso a Palazzo Chigi a lavorare fino a mezzanotte. Poi ne facevo troppe, probabilmente. Ne avessi fatte di meno forse sarebbe stato meglio».
Vuol dire che si era messo contro Roma?
«Lo racconto nel libro: mai fatto parte del sistema romano».
Aveva il giglio magico fiorentino…
«Fiorentino, padovano, milanese: non è una questione geografica. Il tema è che Roma è Roma. Città stupenda ma dopo tre millenni di potere inghiotte chiunque. Il sistema romano è che tutti hanno un amico al Consiglio di Stato, tutti un parente in Corte dei Conti, tutti un funzionario che lavora lì e che conosce quello là. Dov’è che a Roma si risolvono i problemi? A cena. Tant’è che Dagospia parla di “attovagliati”. Ecco, io non mi son mai “attovagliato”».
Così Roma si è inghiottita anche lei?
«Mi ha inghiottito il referendum. Punto. Anche se si è sempre sottovalutato il contesto. L’autunno 2016 fu come uno strike al bowling, quando cadono tutti i birilli in fila. Prima andò giù Cameron sulla Brexit, poi il presidente della Colombia sull’accordo con le Farc, poi Hillary contro Trump… Vuol saperne una divertente?»
Ovvio.
«Quella sera ero a Cagliari. Tentai di chiamare il neopresidente. Niente da fare. Canali diplomatici in tilt. Idea, chiamo Briatore: “Flavio, non è che hai il numero di Donald?”. E mi ritrovai a essere il primo, tra gli europei che contavano, a parlargli. Non ci si crede. Ma tornando al potere romano, mi è stato rimproverato davvero di avere “frequentato” poco. In mille giorni non sono mai uscito la sera a cena. O tre volte forse, con mia moglie. Mi mostri una sola foto mia in un salotto romano. Vita mondana zero. Non dico che mi facesse paura ma ho sempre visto Roma come una città più grande di me. Capace di mangiarsi i sassi. E anche me».
Quanto ha pesato la guerra dichiarata alla casta burocratica?
«Moltissimo. Nei palazzi del potere la notte del referendum brindavano tutti. Non solo al Cnel».
Forse non le hanno perdonato di aver messo quel tetto agli stipendi di 240mila euro. Anche se era lo stesso stipendio della Merkel…
«Era lo stipendio del capo dello Stato. Non ci sembrava proprio una forzatura estremista… Ne parlammo mentre discutevamo degli 80 euro. Quattro giorni di discussione: “Sentite”, dissi, “io mi rendo conto che qui dentro, in questa stanza, c’è chi ci perderà 70 o 80mila euro, ma lì fuori c’è un Paese in difficoltà… Come sia finita, via voi, si sa».
E la scelta di portare ai vertici di Palazzo Chigi l’ex comandante dei vigili di Firenze?
«Ma l’Antonella Manzione è una secchionissima laureata a Pisa! Litigava con tutti ma era bravissima! Un pitbull. Chiedete a Cantone chi ha risolto, con lui, i problemi all’Expo».
Fatto è che per dimostrare la loro ostilità all’estranea ci fu chi infilò 181 errori su 220 articoli nel nuovo Codice degli appalti per mandare a dire: senza di noi non andate da nessuna parte…
«Ma no, non andò così… Lì erano state messe delle trappoline ma… Mi creda, non andò così. In ogni caso non me la giurarono solo gli alti burocrati. Pensi ai consiglieri regionali, ad altri settori pubblici… Pensi soprattutto alle “deviazioni”, ai depistaggi».
E adesso?
«Adesso faccio il mio lavoro di senatore. Sto più tempo in famiglia. Giro il mondo a fare conferenze. Guadagno bene. Vado in Cina, in America, in Europa, a Dubai… A Stanford vedo Fukuyama che sta ragionando sul populismo. Il populismo non è Di Maio e Salvini, è una corrente mondiale che va da Trump a Bolsonaro in Brasile a Duterte nelle Filippine…».
Eppure sotto sotto spera che un giorno…
«Non sotto sotto: sopra sopra. Io sono tranquillo. So che la ruota gira. E che il tempo è galantuomo».