la Repubblica, 14 febbraio 2019
Caccia al cervo nel parco giurassico degli ambientalisti
OOSTVAARDERSPLASSEN (OLANDA) S’è aperta in Olanda la più grande caccia al cervo della storia: milleottocento capi da abbattere entro il primo aprile in una piccola riserva naturale che si pronuncia come uno starnuto, Oostvardenplassen, e che fu creata una ventina d’anni fa in un vecchio polder a mezz’ora di macchina da Amsterdam. È qui che Frans Vera, zoologo e ambientalista visionario, ha realizzato il sogno di una vita, ossia ricreare un ecosistema che ricordi quello del Paleolitico introducendo poche decine di buoi, cavalli e cervi il cui Dna s’avvicina di più a quello dei loro avi primordiali, ormai estinti: tori simili al mitico Uro, grassi cavalli delle pianure polacche al posto del Tarpan che visse verso la fine dell’ultima glaciazione e robusti cervi scozzesi invece dei loro preistorici genitori dal maestoso palco di corna.
Ora, nel polder di Oostvardenplassen questi animali si sono riprodotti in modo vertiginoso e in pochi anni sono diventati migliaia, raggiungendo lo scopo di Vera. Anzi, superandolo. Infatti, la riserva conta appena 6mila ettari e l’inverno non c’è abbastanza cibo per le sconfinate mandrie che ospita, e non essendoci neanche predatori naturali quali il lupo o l’orso, gli esemplari più piccoli e quelli più anziani muoiono di fame. Perciò, sollecitato dagli animalisti, dai cacciatori e dagli agricoltori che vorrebbero recuperare il polder, il tribunale di Amsterdam ha decretato di ridurre la popolazione dei cervi a soli 480 esemplari. E a nulla sono servite le proteste di tre associazioni secondo le quali l’ecatombe degli ungulati, con la presenza dei cacciatori e il frastuono delle loro doppiette in un’area dove l’impatto umano è ridotto al minimo, può creare stress anche su altre specie, quali l’aquila marina, la lontra, la volpe e il castoro, ormai stanziali nel polder.
Con 900 cervi già abbattuti, la mattanza è a buon punto. Alcune carcasse sono lasciate sul posto a decomporsi; altre invece vengono macellate per poi venderne la carne online. La caccia è chiusa soltanto il weekend, e si può sparare per ben 19 ore al giorno.
Intanto, per contenere quest’estasi venatoria, il ministero della Difesa ha indetto un divieto di volo su tutta l’aerea per via dei troppi droni ed elicotteri che hanno cominciato a solcare il cielo di Oostvardenplassen al fine di localizzare le prede dall’alto. Cinque anni fa, Frans Vera mi fece da guida nel suo Eden selvaggio, dove per decenni s’erano coltivate solo patate. E quando ci addentrammo nella riserva con la sua 4x4, percorrendo i pochi sentieri sterrati ebbi l’impressione che c’era perfettamente riuscito a modellare un ambiente arcaico: reintroducendo animali il più possibile somiglianti ai loro antenati, Vera aveva rinselvatichito questa terra creando un esempio virtuoso che tra i conservazionisti ha fatto diversi emuli. Inspirate al modello Oostvaardersplassen, sono infatti state create riserve in India, Messico, Stati Uniti, Polonia e Ungheria, perché il rewilding è un’ottima soluzione per ricreare scampoli del mondo che fu.
In Italia ci provò lo zoologo Bernardino Ragni. L’anno scorso, poco prima di morire, Ragni stava varando il suo coraggioso progetto “Wildlife Economy – Il Nuovo Paleolitico”, che ricorda l’idea di Frans Vera ma con una variante di peso. Una volta ripopolato un terreno in disuso con starne, fagiani, cinghiali e lepri, Ragni sosteneva che oltre a svolgere attività scientifiche e didattiche vi si dovesse cacciare sia per scopi ludici sia alimentari, dimostrando così che l’ambientalismo può anche rivelarsi un’attività redditizia.