Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  febbraio 14 Giovedì calendario

La prima intervista a Fabrizio Palermo, nuovo ad di Cdp

«Il piano industriale considera centrale il mondo delle imprese, soprattutto quelle medie e piccole, che rappresentano la spina dorsale del Paese. Per questo stiamo organizzando iniziative sul territorio che, in tre anni, ci permetteranno di collaborare con 60mila aziende, il triplo di quelle coinvolte attualmente nelle nostre attività». Fabrizio Palermo, amministratore delegato di Cdp, traduce così l’obiettivo principale del nuovo piano, presentato nelle settimane scorse. E spiega: «Finora Cdp ha avuto come referente i grandi gruppi. Adesso abbiamo deciso di voltare pagina andando sul territorio con prodotti che vanno dal debito alle garanzie, dal supporto alle esportazioni fino all’equity. L’offerta al mondo imprenditoriale sarà integrata e capillare. Di sicuro è finito il tempo di Cdp presente solo a Roma, in cui oggi firmiamo l’80 per cento dei contratti, e parzialmente a Milano» (dove il gruppo ha aperto una sede nuova nell’ex stabilimento Rcs di via San Marco, a fianco di quella storica del Corriere della Sera di via Solferino, ndr).
Qual è la differenza rispetto al passato?
Negli ultimi anni Cdp è stata troppo alla ribalta per gli interventi straordinari, quelli fatti e quelli immaginati. La missione del gruppo è un’altra: supportare le aziende, la pubblica amministrazione e lo sviluppo infrastrutturale del Paese. Per questo andremo sempre di più dove le imprese vivono, producono, vendono. Il tutto in complementarietà con le banche e in sinergia con le fondazioni bancarie. 
Avete un modello?
Certamente è organizzata così la francese Caisse de dépôts, attraverso la Banque publique d’investissement e la Banque des territoires. È esattamente l’approccio che stiamo seguendo. Un primo esempio è stato a Genova, purtroppo in occasione di un evento drammatico, il crollo di Ponte Morandi. Cdp è intervenuta subito con proposte concrete e coinvolgendo le società partecipate, da Snam a Fincantieri fino a Terna. Questo è il modello che stiamo replicando: prossime tappe Napoli e Milano. 
Il portafoglio delle attività di gruppo è molto diversificato. Come lo state riorganizzando?
In effetti è ampio, frutto di stratificazioni più che di scelte coerenti. Per questo stiamo cercando di mettere ordine. La presenza nelle reti è decisiva, coordinata tramite una subholding capofila, la Cdp Reti. Ora stiamo pensando di creare una seconda subholding a cui faranno capo le partecipazioni industriali.
Una sorta di Cdp industrie?
Mi rendo conto che non è molto originale ma potrebbe davvero chiamarsi così. L’idea è che in essa confluiscano le partecipazioni nel capitale delle aziende d’ingegneria meccanica come Ansaldo Energia, Fincantieri, Saipem e altre minori. Servirà a rendere possibili collaborazioni tra le società del gruppo a beneficio anche delle filiere di piccole e medie imprese fornitrici.
Può fare un esempio?
La riunione dei vertici delle grandi aziende a partecipazione pubblica convocata nei mesi scorsi dal presidente del consiglio Giuseppe Conte e dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è servita a capire su quali fronti possiamo lavorare insieme nell’interesse delle società e a supporto del Paese.
Siete un mix tra competenze industriali e gestione del risparmio postale. C’è il rischio di perdere la visione complessiva?
Risparmio postale e patrimonio industriale sono due risorse chiave del nostro Paese. L’obiettivo del nuovo piano industriale è coniugare al meglio i due elementi che, tra l’altro, sono parte del dna di Cdp. Dobbiamo salvaguardare gli interessi di entrambi: da una parte, il denaro raccolto da 26 milioni di risparmiatori e, dall’altra, le imprese sul territorio, quelle pubbliche e quelle private a cui forniamo servizi. 
In che ruolo gioca il presidente Massimo Tononi? Come sono ripartite le competenze?
Ci avvicinano esperienze professionali e valori. Il confronto è costruttivo, perfino oltre le rispettive deleghe. E a beneficiarne è il clima aziendale. Se la squadra al vertice è unita, tutti lavorano meglio. Lo conferma la rapidità con cui abbiamo preparato il nuovo piano strategico.
Due settimane fa lei ha rilanciato le trattative per una rete unica tra Tim e Open Fiber. Perché è intervenuto con tanta determinazione?
Il tema delle reti di tlc è strategico per lo sviluppo del Paese. Era opportuno che i vertici delle due aziende si aprissero al confronto. Ora lo stanno facendo. Vedremo come evolve la situazione e aspettiamo, rispettosi dell’autonomia di entrambe. Io sono un uomo di numeri e finora di numeri non si era ancora parlato. Adesso il confronto è aperto.
Crede che Telecom possa sopravvivere senza la rete?
Di sicuro Tim rappresenta una eccellenza. Altrettanto importante, se ci sono le condizioni, è la creazione di reti convergenti. Occorre giocare su tre fronti: la rete in rame, quella in fibra ottica e 5G. Nel soppesare vantaggi e svantaggi va tenuto conto di vari aspetti, compresi quelli occupazionali. Anche per questo è intervenuto il legislatore decidendo forti incentivi per la rete unica Tim.
Siete azionisti di Tim con poco meno del 5 per cento, aumenterete la partecipazione?
Essendo una società quotata preferisco non rispondere.
Sull’acquisto delle azioni avete una minusvalenza elevata. È stato un errore?
Non facciamo trading e non dobbiamo essere giudicati sull’andamento di singole operazioni. Siamo investitori di lungo periodo. Entrare nella partita delle reti tlc è una scelta strategica per Cdp e per il Paese. Sono asset importanti per la crescita. I conti si faranno alla fine. Senza fretta. Ricordo che siamo l’unico soggetto in grado di finanziare iniziative a 30 anni, l’arco di tempo su cui siamo abituati a misurare i nostri interventi è lungo. 
La rete in rame è nei bilanci di Tim per 12 miliardi ma, secondo alcuni analisti, vale 7-8 miliardi. Qual è la valutazione giusta?
Il valore in sé è soltanto uno dei pezzi del puzzle. Un film va giudicato per la storia che racconta, non per l’efficacia di singoli episodi. Anche in questo caso i conti vanno fatti alla fine.
In Cdp Reti è presente un socio cinese, la State Grid Europe Limited, che controlla il 35 per cento del capitale. Dopo l’ostracismo degli Stati Uniti a Huawei e Zte è un azionista scomodo?
Il dna di Cdp richiede di fare operazioni utili per il Paese, che servano a trovare opportunità di sviluppo industriale aprendo nuovi mercati e migliorando il conto economico delle imprese italiane. I soldi sul mercato ci sono, si trovano, non rappresentano una necessità. Ben vengano, a queste condizioni, accordi con azionisti esteri.
Il mercato scommette da tempo su altri consolidamenti nelle torri di telecomunicazioni. Cdp è azionista di F2i che ha concluso nei mesi scorsi un’Opa su Ei Towers. C’è spazio per altre integrazioni a cominciare da Rai Way?
Non è un dossier di cui ci stiamo occupando.
Cdp è anche socio di Fincantieri e le anticipazioni sulle possibili nozze con Leonardo sono ricorrenti. L’ipotesi è allo studio?
È un argomento ciclico. Per quanto mi riguarda dico che il Paese ha due eccellenze da preservare. Certo, a livello internazionale, elementi di collaborazione ci sono già oggi e altri possono aggiungersi. Ma la scelta va fatta soprattutto dalle aziende, non tanto da noi. I matrimoni devono essere frutto di libere scelte e non di costrizioni. 
Il vostro coinvolgimento è stato evocato anche in un’altra vicenda dall’esito incerto: Alitalia. Potreste essere il possibile finanziatore per il rinnovo della flotta?
Anche questa è una materia che non è all’ordine del giorno. Del resto sia Giuseppe Guzzetti, presidente di Fondazione Cariplo e rappresentato in Cdp, sia il ministro Tria si sono espressi chiaramente nel dire che non siamo coinvolti. 
Siete pronti per il salvataggio di Astaldi affiancando Salini Impregilo? 
Per il settore costruzioni è un momento non facile e Astaldi è soltanto uno dei problemi. Noi, per esempio, siamo presenti in Trevi, altra impresa che deve fare i conti con una congiuntura difficile da gestire perché l’intero settore è in difficoltà. Per questo interventi isolati potrebbero non essere efficaci. Il nostro eventuale coinvolgimento può avere significato solo nell’ambito di una operazione di sistema, insieme a banche e partner industriali. Occorre una operazione complessiva che, a determinate condizioni, potremmo valutare. 
Nelle infrastrutture avrete un ruolo nella politica del governo di rilancio degli investimenti pubblici?
Certo. L’obiettivo è allargare il nostro intervento alla programmazione e progettazione oltre che al finanziamento di progetti, sia pubblici sia privati. E questo lavorando insieme alle aziende partecipate dal gruppo. Interverremo non solo come finanziatori ma in tutte le fasi degli investimenti. Per farlo stiamo organizzando una unità dedicata, fatta da professionisti del settore. 
Nascerà il polo dei pagamenti tra Sia, di cui siete azionisti, e Nexi?
Si tratta di altre due eccellenze italiane. Attendiamo il piano industriale di Sia che sicuramente individuerà le soluzioni migliori per valorizzare ulteriormente la società, che già riveste un ruolo di primo piano, anche oltre i confini nazionali. 
State pensando di acquistare azioni di società partecipate dal ministero dell’Economia? L’andamento dei conti pubblici potrebbe rendere necessario l’intervento in Enel, Eni, Enav. Cosa ne pensa?
Di questa eventualità si è parlato più volte. La premessa è che il primo passo tocca al Mef. Poi, nel caso, valuteremo le varie possibilità nel rispetto pieno delle regole del mercato e della normativa europea. 
Con l’approvazione dei bilanci 2018 arriveranno a scadenza i vertici di alcune partecipate della Cassa come Fincantieri, Snam, Italgas, Sace, Simest, Ansaldo Energia. Come vi muoverete? 
Come sempre, cioè facendo gli interessi delle aziende.
Il 2019, grazie ai provvedimenti approvati dal governo, sarà l’anno del venture capital. Cdp sarà protagonista? Acquisterete Invitalia Ventures sgr da Invitalia, controllata dal ministero del Tesoro?
Faremo leva su filiere industriali, università, incubatori di start up portando il corporate venture capital sul territorio.
La Cassa ha come punto di forza il patrimonio immobiliare. Lo state valorizzando?
È una priorità che mi sono dato da subito. In particolare smobilitando partecipazioni e investimenti fermi da tempo.
Quanto valgono i vostri immobili? 
Un paio di miliardi.
Può fare un esempio di investimenti bloccati?
Metà del patrimonio immobiliare è nel Comune di Roma, inferiore come consistenza solo a quello della Santa Sede. Su questo punto ho aperto da tempo un confronto con l’amministrazione della città e, a breve, siamo nelle condizioni di sbloccare gran parte delle situazioni.
Può stimarne l’entità?
Direi 500 milioni di euro circa. Si tratta, per Roma, di una bella cifra. Era incredibile che una istituzione come Cdp non riuscisse a far partire gli investimenti. Lo stiamo facendo ma sono dovuto intervenire nei cantieri in prima persona, rispolverando la collezione dei caschetti che ho da quando visitavo i cantieri navali lavorando per Fincantieri. Ogni società immobiliare aveva problemi con soci, fornitori, banche, pubblica amministrazione. Spesso non riusciva neppure a chiudere i bilanci. Un po’ alla volta ne stiamo uscendo.
Il 28 febbraio scadrà il termine per la presentazione della domanda da parte delle amministrazioni interessate ad accedere all’anticipazione di liquidità introdotta dall’ultima manovra. Qual è stata finora la risposta degli enti allo strumento nato per accelerare il pagamento dei debiti verso i fornitori?
È ancora presto per dirlo perché tradizionalmente le domande vengono consegnate l’ultimo giorno. Mi ha fatto piacere vedere che la prima richiesta ci è arrivata da un piccolo comune campano, ma ci sono già alcuni casi significativi come il Comune di Torino. Si tratta di uno strumento che abbiamo reso disponibile, credo importante. Non è peraltro l’unico. Ricordo, per quanto riguarda l’amministrazione pubblica, la fornitura dei servizi di tesoreria ai comuni, d’intesa con Poste italiane. Oppure gli interventi alle regioni per contribuire a smontare le posizioni sui derivati. Stiamo valutando, in proposito, se fare altrettanto con i comuni.
In Cdp devono prevalere le scelte politiche o quelle economiche? 
Ho sempre ritenuto che debba prevalere la tutela della Cdp, che significa quella del bene più prezioso: il risparmio degli italiani. Poi, se è compatibile, va considerato l’interesse del Paese. Per tutti, qui in Cdp, vale una regola: siamo tecnici che lavorano al servizio dello Stato. E per questo, 170 anni dopo la fondazione della Cassa, siamo ancora qui.