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 2019  febbraio 14 Giovedì calendario

Le squadre che giocano sempre in trasferta

Un club che gioca in un Paese che non è il suo. Nel prossimo futuro, con la Superlega che le “grandi” d’Europa stanno ormai da anni cercando di introdurre tra le ire della Uefa e i progetti più o meno concreti di tornei sovranazionali, potrebbe diventare una consuetudine. Ma nel Vecchio Continente le squadre sempre “in trasferta” esistono già. È il caso del Monaco, che dopo l’Olympique Marsiglia e il St. Etienne è insieme al Nantes il club più titolato di Francia. Anche se nel Paese transalpino i biancorossi non hanno né stadio né sede, ma ci giocano dal 1924, anno della loro fondazione. A metà Anni Venti la Federazione monegasca non esisteva (verrà creata nel 2000 senza essere riconosciuta da Uefa e Fifa) e i dirigenti iscrissero il club alle serie minori francesi. Nel 1953, anche grazie al sostegno crescente della casa reale, il club conquistò per la prima volta la promozione in Ligue 1 e nel 1961, dopo aver messo in bacheca una Coppa di Francia, arrivò il primo scudetto con l’ex Venezia Lucien Leduc in panchina e Michel Hidalgo, il futuro ct dei Blues di Platini in campo. Da lì il Monaco, che in Europa rappresenta il suo Paese “d’adozione”, non uscirà praticamente più dall’élite del calcio d’Oltralpe. Tanti titoli, otto, due finali europee raggiunte nel 1992 e nel 2004 (entrambe perse) e molte stelle che hanno calcato tra campo e panchina il prato dello stadio Louis II: uno su tutti, Arsène Wenger, che tra Monaco e la Francia ha cominciato a costruire il suo mito in panchina lanciando campioni come Weah e Henry.
Come i biancorossi, anche i club di un altro Principato, quello del Liechstenstein, giocano all’estero. Anche nel piccolo Paese infatti non esiste un campionato riconosciuto dalla Uefa ma solo una coppa nazionale e per questa ragione le squadre locali, come i Balzers, dove è cresciuto l’ex Verona e Siena Mario Frick o il Fc Vaduz, disputano i tornei in Svizzera. Lo fanno però come club “ospiti”, che nel caso di un piazzamento utile per le competizioni Uefa (il Vaduz ha militato fino al 2017 nella massima divisione) non potrebbero andare in Europa al posto delle formazioni elvetiche. Una situazione simile a quella che vivevano al 1992, le squadre del Galles. Nel Paese che ha dato i natali a Gareth Bale, fino a quella data nonesisteva un campionato locale e i club, a partire dal primo Dopoguerra, militavano nelle serie professionistiche britanniche. E alcuni di loro come Cardiff e Swansea, che dal ’95 insieme alle altre “emigrati” non possono più partecipare alla Coppa del Galles, si sono tolti diverse soddisfazioni al di là del confine, come quella di essere rispettivamente l’unica squadra non inglese ad aver vinto la prestigiosa FA Cup (nel 1927) e il primo club con base in Galles a qualificarsi alle coppe attraverso competizioni inglesi (la vittoria della League Cup nel 2013). Come il Cardiff e lo Swansea, dove aveva esordito Giorgio Chinaglia, hanno fatto diversi club, qualche società inglese ha fatto il viaggio contrario, mentre una si è fermato a metà strada. Sono i New Saints, che giocano e vincono in Galles, ma che rappresentano due villaggi a cavallo del confine, Llansantffraid e Oswestry.
A volte però emigrare non è un “obbligo” ma una scelta. Come per esempio quella fatta dal San Marino Calcio e dal FC Andorra. Il primo, nato come S.S Serenissima nel 1959 per volontà della Federazione sanmarinese, decisa a creare una squadra per disputare le serie dilettantistiche in Italia, non disputa la massima divisione della Repubblica, ma la Serie D italiana, dopo essere arrivata anche in Serie C1. Alla stessa maniera il Fc Andorra, nato nel ’42 e recentemente acquistato dalla holding che fa capo a Gerard Piqué, milita nella quinta serie spagnola, nel 1994 ha anche vinto una Copa Catalunya, eliminando il Barcellona B in semifinale e nel 1996 è arrivata al terzo turno di Coppa del Re. Un’emigrazione per scelta è anche quella dell’AP Campionese l’unica società italiana a giocare all’estero. La formazione dell’ exclave di Campione d’Italia, nata nel 1978, infatti sta lottando per la promozione in 3.Lega, la settima serie del calcio svizzero.
Giocare in un altro Paese può anche essere il segno di qualcosa che accade fuori dal campo. Come i club campioni di Cipro che tra il 1967 e il 1974 nel massimo momento di tensione con la Turchia venivano ammessi alla Serie A greca, o come le formazioni delle comunità serbe del Kosovo, che non disputano i tornei del giovane Stato, o come fanno i nordirlandesi del Derry City. I biancorossi, già campioni dell’Ulster nel 1965, giocano infatti nella vicina Repubblica d’Irlanda. Un trasferimento, quello del club, presieduto dal Premio Nobel per la Pace John Hume ed espressione soprattutto della comunità cattolica, arrivato nel 1985 dopo 13 anni di attesa. Nel 1972, al culmine di un periodo di violenze settarie e il tentativo di giocare lontano da Derry, infatti il club si era ritirato dal torneo dell’Irlanda del Nord, giocando solo nel calcio amatoriale. Per più di un decennio i vertici della società avevano richiesto la reintegrazione, ma era sempre stata rifiutata. A dire sì invece, a metà Anni Ottanta è la Federazione dell’Eire, che dopo il parere positivo di Uefa e Fifa, ammette il Derry City. I biancorossi, tifati anche da Martin Mc-Guinness, l’ex alto dirigente dell’Ira morto nel 2017, vinceranno quattro campionati e cinque coppe d’Irlanda. Di un Paese, che sulla carta, ma non nel calcio, non è il suo.