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 2019  febbraio 13 Mercoledì calendario

«Così abbiamo ricostruito l’identikit dei buchi neri»

Fatti a pezzi da un buco nero. È questa la fine violenta di stelle e pianeti che si avvicinano troppo a uno di questi mostri cosmici. Sono eventi catastrofici e rari, ma se abbiamo la fortuna di vederli possiamo imparare molto sui buchi neri. È quanto successo il 22 novembre 2014, quando i telescopi del progetto All- Sky Automated Survey for SuperNovae (Asassn) hanno captato il lampo di luce prodotto dalla distruzione di una stella a 300 milioni di anni luce da noi. L’evento ha permesso di fare l’identikit del buco nero e misurarne la rotazione, pari a metà della velocità della luce. La scoperta, guidata da Dheeraj Pasham del Massachussets Institute or Technology (MIT), è apparsa su Science (poche settimane fa) e ha coinvolto gli italiani Giuseppe Lodato e Alessia Franchini. Dall’Università di Las Vegas la Franchini, 29 anni, nata a Milano, ci racconta i retroscena di quella catastrofe cosmica.
Cosa abbiamo imparato da quel lampo di raggi X?
«L’osservazione di questo brillamento nei raggi X ci ha insegnato che gli eventi di distruzione mareale di stelle da parte di buchi neri supermassivi possono generare questo tipo di segnali, detti oscillazioni quasi periodiche, da cui si possono misurare parametri fondamentali dei buchi neri come la massa e lo spin, cioè la velocità di rotazione su sé stessi. Questi eventi sono visibili in tutto lo spettro elettromagnetico, con un intenso brillamento quasi periodico di raggi X che dura da alcuni giorni fino ad alcune settimane. Per questo evento, chiamato Asassn- 14li, l’emissione quasi periodica di raggi X è durata 450 giorni con oscillazioni di 131 secondi, caratteristiche mai osservate prima».
Perché studiare come ruotano i buchi neri?
«Possiamo sapere la massa dei buchi neri dalle orbite degli oggetti circostanti ma non si può misurare direttamente lo spin e quindi bisogna ricavarlo. E lo spin dei buchi neri è un fattore determinante nell’evoluzione delle galassie».
Come siete arrivati alla scoperta?
«Vari telescopi possono individuare eventi simili, caratterizzati da emissione di luce visibile o raggi X. In particolare i telescopi Asassn possono identificare questi eventi dalla luce visibile e infrarossa. Il mio collega Dheeraj Pasham ha iniziato a lavorare sui dati di Asassn- 14li identificando una oscillazione quasi periodica nei dati del telescopio spaziale per raggi X Xmm- Newton, e ha analizzato anche i dati del telescopio X Chandra per avere una conferma».
Quando è iniziata questa collaborazione?
«Durante il mio dottorato ho partecipato con il mio supervisore Giuseppe Lodato a una conferenza internazionale a Kathmandu in Nepal. Ho tenuto un seminario sui miei studi degli eventi di distruzione mareale e ho avuto occasione di parlare con Dheeraj che stava lavorando sulle osservazioni di questi eventi. Dopo qualche mese Dheeraj mi ha contattato comunicandomi la scoperta e chiedendo di lavorare a una interpretazione teorica del fenomeno, che ha portato alla pubblicazione su Science».
Come sei arrivata a lavorare negli Stati Uniti?
«Mi sono trasferita a Las Vegas esattamente un anno fa. Ho studiato Fisica a Milano e lì ho conseguito la Laurea Triennale, Magistrale e il Dottorato di Ricerca all’Università degli Studi di Milano. Durante gli ultimi anni di Dottorato ho trascorso dei periodi in Gran Bretagna per varie collaborazioni scientifiche e ho cominciato a maturare l’idea di trasferirmi all’estero per fare ricerca. Dopo il Dottorato ho mandato domande per lavorare come postdoc all’estero e ho accettato l’offerta a Las Vegas».
Che differenze vedi rispetto alla ricerca in Italia?
«La principale differenza è la presenza di fondi di ricerca, e sfortunatamente la situazione italiana non sta migliorando sotto questo aspetto. La presenza di fondi dedicati alla ricerca permette più collaborazioni e interazioni tra i ricercatori, favorendo la costruzione di un ambiente più stimolante. Sono stata tuttavia molto fortunata durante il mio Dottorato ad avere fondi sufficienti a partecipare a diverse conferenze internazionali».
Ti piacerebbe tornare?
«Sì, mi renderebbe molto felice poter tornare per continuare a fare ricerca nel mio Paese e contribuire a stimolare e a formare nuovi fisici. Purtroppo la carenza di posti a tempo indeterminato in Italia per i ricercatori in Università, unita alla mancanza di fondi per la ricerca rende questo processo un po’ complicato».