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 2019  febbraio 13 Mercoledì calendario

Nelle profezie di McLuhan ci siamo tutti noi

Tutti conoscono Marshall McLuhan, o l’hanno sentito citare almeno una volta. Le sue formule hanno fatto epoca: il medium è il messaggio, il villaggio globale, media caldi e media freddi, e altre ancora. L’opera che il Saggiatore manda ora in libreria è il perfetto esempio di questa capacità di stabilire analogie e pensare similarità. S’intitola Le tetradi perdute di Marshall McLuhan (il Saggiatore, pagg. 283, euro 23), resa in italiano da un abilissimo traduttore: Fabio Deotto. Uscita in lingua originale nel 2017, ha come coautore Eric McLuhan, il figlio di Marshall (il padre è scomparso nel 1980, Eric è morto lo scorso maggio).
Si tratta di un libro inconsueto, fatto di appunti, frasi, numeri, lettere. Una sorta di manuale cabalistico per leggere i media. Un’opera geniale, che oggi, a quasi quarant’anni dalla morte dello studioso, è diventata perfettamente leggibile, mentre forse non lo era quando fu redatta in forma di annotazioni manoscritte. Dopo il trionfo del web questo libro è diventato l’I Ching dei nuovi media, che si può aprire a caso per identificare, anche senza il lancio delle monete, il punto in cui siamo ora, e poi quello in cui saremo tra qualche tempo, dopo le prossime rivoluzioni tecnologiche.
Invece degli esagrammi dell’I Ching, i due McLuhan usano le tetradi. Mi spiego. Il libro più importante dello studioso canadese è Understanding Media: The Extensions of Man, da noi reso con Gli strumenti del comunicare (il Saggiatore). Esce nel 1964, poi l’autore pensa di pubblicare un’edizione rivista. Nel realizzarla Marshall e figlio si rendono conto che esistono delle leggi adatte alle tecnologie umane come ai linguaggi, alle teorie come alle leggi scientifiche. Pensano a una revisione che non somigli al saggio già uscito. Basata su tetradi – quattro indicatori – espresse in forma di schemi: le quattro leggi che governano tutte le innovazioni umane, dagli occhiali alla finestra, dalla vite al jet lag, dall’anestesia alla guerra. In questo modo: ogni innovazione 1) amplifica; 2) rende obsoleto; 3) recupera; 4) capovolge qualcosa che c’era prima. Un’idea affascinante.
Naturalmente i conformisti editori americani dicono di no. Esce così in forma accademica La legge dei media: la nuova scienza (in italiano da Edizioni Lavoro, 1994) e solo lo scorso anno Le tetradi perdute, dove è mostrato il processo grezzo di invenzione, in “versi e in prosa”. Sono solo sessantacinque tetradi rispetto alle centinaia individuate dai due McLuhan; tuttavia bastano per i fuochi di artificio che fanno esplodere nella testa. Per non essere vago provo a fare qualche esempio.
Cominciamo dalla politica: «politica elettrica», cioè l’epoca in cui viviamo dalla radio a Twitter, da Mussolini a Trump. Conseguenze: amplifica la burocrazia (avete presente quante carte digitali ci tocca compilare oggi per ogni cosa?); rende obsoleta la politica (scritto nel 1974!); recupera la diplomazia (segreta) nella gestione dei conflitti (hanno ragione i complottisti?); poi si ribalta in: «l’ubiquo, l’immagine dell’Imperatore» (avete presente Trump?). Non vi convince? Allora ecco lo specchio: amplifica l’ego e il distacco; «rende obsoleta la maschera sociale e l’aspetto pubblico»; «recupera la modalità di Narciso»; la visione esteriore diventa interiore. McLuhan, in un passaggio, cita Mumford: «La personalità in abstracto, parte dell’Io reale, si scinde dallo sfondo naturale e dalla presenza degli altri uomini». Sono idee che valgono libri di sociologia del contemporaneo e dei media lunghi centinaia di pagine.
Di sicuro queste pagine sono state saccheggiate senza citarle mai, cosa che con McLuhan fanno in molti vista la genialità delle sue affermazioni che sono anche oscure, come l’I Ching, del resto. Un esempio fra i tanti: «Le lettere sono un’estensione dei denti, l’unica parte del corpo ad essere lineare e ripetitiva». Riguardo la privacy ci sono due passaggi antitetici, eppure complementari. Uno riguarda la macchina fotografica. McLuhan sostiene che rende obsoleta la privacy. Ha perfettamente ragione: ora tutto è visibile, le persone, le case, gli oggetti, le azioni. I selfie da questo punto di vista non aggiungono niente di nuovo. O meglio: uniscono lo specchio e la macchina fotografica.
Altro dettaglio: la macchina fotografica recupera il passato come presente; «recupera il concetto di caccia grossa, catturando uno zoo di esseri umani». L’automobile invece fa il contrario: amplifica la privacy. Verissimo. Poi gli esseri umani hanno usato la macchina fotografica come complemento all’automobile (o viceversa?). Due visioni opposte, ma questo è anche il segreto di McLuhan: far convivere gli opposti e unire cose tra loro non collegate.
Un’altra delle idee forti dello studioso canadese, e di questo libro inconsueto, che non si finisce mai di leggere e rileggere (più e meglio di un saggio accademico), è che «le estensioni dell’uomo, con i loro ambienti derivanti, sono l’area principale di manifestazioni del processo evolutivo». McLuhan lo aveva detto sin dall’inizio degli anni Sessanta e oggi è ancora più vera.Per concludere, senza concludere, segnalo la pagina che preferisco, dedicata al coltello, alla forchetta e al cucchiaio. Si occupa di tre cose che usiamo tutti i giorni, e di cui non ci accorgiamo più. Ecco cosa fa McLuhan: scrive del nostro visibile invisibile.