Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  febbraio 13 Mercoledì calendario

A proposito del romanzo di Simenon “Il sospettato”

Pierre Chave, il protagonista de Il sospettato, il romanzo di George Simenon che Adelphi pubblica a trent’anni dalla sua morte, è un anarchico francese che, avendo disertato, si è rifugiato a Schaerbeek, una cittadina del Belgio, con sua moglie Marie e un bambino piccolo. Chave, che i compagni ammirano e tengono in grande stima non solo per le sue idee, ma anche per il modo con il quale sa esprimerle («Erano tutti dei disgraziati – ed erano in buona fede! Lo ascoltavano a bocca aperta perché sapeva parlare meglio di tutti quanti e riusciva a tradurre in frasi incisive quel che loro pensavano in modo confuso»), è un vero anarchico, ma nello stesso tempo è contro la violenza e il sangue. A Schaerbeek, per sbarcare il lunario, fa la comparsa di terz’ordine in una modesta compagnia teatrale, e anche il direttore del palcoscenico, il factotum. Vive in un appartamento più che modesto: una di quelle case anguste in cui si sente l’odore del cavolo bollito, il ronzio della stufa che scalda male, il rumore lontano dei treni, l’aria soffocante di chiuso.
Una sera, quando ancora non è tornato dal lavoro, bussa alla porta un compagno che viene da Parigi, tale Barone, chiamato Baron. Deve vedere a tutti i costi Pierre. Per quale motivo? Perché il circolo anarchico parigino ha organizzato un attentato: una bomba nella fabbrica di aeroplani di Courbevoi, sulla Senna, ed è bene che lui lo sappia. Marie risponde: «Mio marito è fuori». Baron esce, va a cercarlo e lo trova. Subito, Chave abbandona il teatro, prende una bicicletta, monta su un treno, di nascosto passa la frontiera e arriva in Francia.
Poco dopo, in quella stessa casa, entra un commissario di polizia. La polizia belga, su suggerimento della polizia francese, ha seguito Baron, un individuo segnalato da vario tempo, così come lo sono gli altri anarchici del circolo, e ora il commissario sta lì, seduto nel tinello, di fronte a Marie. «Abbiamo la certezza», le dice, «che gli anarchici stanno preparando un attentato e che suo marito ha varcato la frontiera per prendervi parte». Marie, moglie di anarchico, è una donna di ferro. Nega tutto. «Se lei conoscesse Pierre», dice, «saprebbe che lui non prende parte ad attentati…». E quando il commissario insiste, sostenendo che il marito è quasi certamente a Courbevoi o a Parigi, risponde: «Meglio così…Se Pierre è davvero a Parigi non ci saranno attentati…».
Adesso, il romanzo, che fino a questo momento si è mosso più veloce di qualsiasi altro romanzo di Simenon, addirittura senza cesure, o per meglio dire, «incastrando» le due situazioni e i due luoghi (Pierre che fugge e arriva in Francia, Marie che tiene a bada l’inchiesta della polizia belga), si sposta stabilmente sulle rive della Senna e a Parigi. Ne ha bisogno. Perché se è così rassicurante da sembrare quasi incredibile la quiete che si respira sul fiume, con i pescatori che gettano le lenze e poi vanno a mangiare le salsicce e a bere il vino rosso nei bistrot; se la vita parigina prosegue serena e senza scosse, in una sorta di ottusa calma, con la gente che entra nei negozi e fa acquisti, sale sugli autobus, passeggia per strada, è anche vero che il tempo corre. È anche vero che tutta quella gente ignora che in una stanza d’albergo dalle parti di Montmartre degli esseri umani stanno preparando un ordigno per uccidere degli altri esseri umani. Ma Pierre Chave lo sa. Ed è la sua frenesia, adesso, la sua esigenza di entrare in contatto con chi dovrà compiere l’attentato, senza farsi scoprire dagli altri, a occupare per intero il romanzo. La vita che scorre normale nello sfondo, e dietro a questo sfondo, la tempesta di un uomo che può evitare una strage e deve farlo.
La bravura di Simenon, nel dipingere tale contrasto è superlativa. Non possiamo, ovviamente, svelare in che modo il romanzo si conclude. Però, una cosa possiamo dirla. Così come la vicenda comincia nell’appartamento di Schaerbeek, lì finisce. È successo tutto quello che doveva succedere, e Pierre torna. Marie, la donna dura, moglie dell’anarchico, gli chiede: «Che hai?». Lui risponde: «Non ho niente… Vorrei lavarmi, farmi la barba…». Lei gli dice. «Vado a scaldarti l’acqua…» – come avrebbe potuto scrivere Flaubert. L’altro scrittore insieme a Simenon, che basterebbe leggere con attenzione, e basta, per eliminare le debordanti scuole di scrittura.