Il Messaggero, 13 febbraio 2019
Si muore spesso a 30 giorni da un’operazione
Sono entrati in sala operatoria fiduciosi che un bisturi potesse risolvere un problema e ne sono usciti senza vita. O quasi. Perché, dopo qualche giorno o un mese, hanno sviluppato un problema ancora più grande che ne ha causato la morte. È la storia che accomuna, ogni anno, le 4,2 milioni di vittime della chirurgia. Persone che in tutto il mondo sono morte a seguito di un intervento. Sono così numerose da superare addirittura il numero totale dei pazienti con Hiv, tubercolosi e la malaria insieme. Un bilancio già pesantissimo che, paradossalmente, arriverà a oltre 6 milioni se tutte le persone con una reale necessità venissero operate.
GLI INCIDENTI
Questi i risultati allarmanti emersi da un’indagine pubblicata sulla rivista The Lancet e condotta dell’Università di Birmingham, nel Regno Unito. I ricercatori hanno calcolato che ogni anno nel mondo vengono eseguite 313 milioni di operazioni ma non si sa molto sulla qualità di questi interventi visto che solamente 29 Paesi forniscono dati aggiornati sul numero dei decessi successivi agli interventi. Dai risultati si evince che il 7,7 per cento di tutti gli incidenti mortali nel mondo si verificano a seguito di un intervento. Le principali cause di morte sono le complicanze postoperatorie, come sanguinamento e infezioni.
Dei 4,2 milioni di vittime della chirurgia, la metà si verifica in paesi a basso o medio reddito, cioè in quelle nazioni dove spesso si è costretti a sopravvivere senza un intervento chirurgico necessario. Ma anche nei paesi tecnologicamente più avanzati, come il nostro, la chirurgia uccide. Ci sono le vittime da bisturi vere e proprie, quelli cioè che muoiono sotto i ferri anche per interventi di routine, come una rinoplatica. Ma nella stragrande maggioranza dei casi le morti sono causate da complicanze postoperatorie.
IL DANNO
Nel nostro paese non esiste un registro di morti per chirurgia. Nel quinto Rapporto di monitoraggio degli eventi sentinella del ministero della Salute, tra i 1918 eventi avversi potenzialmente evitabili segnalati tra il 2005 e il 2012, si sarebbero verificati 135 casi di «morte o grave danno imprevisto conseguente ad intervento chirurgico». Ma sappiamo che ci sono alcune regioni che non inviano i dati e, quindi, il problema potrebbe essere largamente sottostimato. «Ma è bene ribadirlo: in Italia la chirurgia è un’eccellenza», assicura Paolo De Paolis, direttore della Chirurgia generale d’urgenza 3 dell’ospedale Molinette Città della Salute di Torino e presidente della Società italiana di chirurgia (Sic). «Nella stragrande maggioranza dei casi l’intervento è l’unica opzione per salvare la vita di un paziente e, nel nostro paese, ci sono centri e professionisti molto abili», aggiunge. Tuttavia, anche In Italia ci sono delle criticità che possono costare la vita. Non sono tanto i chirurghi scarsamente preparati o negligenti. Le principali cause di morte in chirurgia sono le infezioni del sito chirurgico. A fronte di un 8% di pazienti ospedalizzati che contrae un’infezione associata alle procedure assistenziali, nel 20-22% dei casi si tratta di infezioni del sito chirurgico.
«Sono infezioni estremamente eterogenee e l’incidenza varia infatti in maniera considerevole in funzione non soltanto del tipo di intervento, ma anche in funzione delle condizioni del paziente e dell’ambiente ospedaliero. Possono insorgere sia durante che dopo il ricovero e rappresentano il secondo tipo di infezione più frequente contratta in ambito ospedaliero, dopo le infezioni delle vie respiratorie e subito prima di quelle alle vie urinarie», dichiara Nicola Petrosillo, direttore del Dipartimento Clinico e di ricerca in Malattie infettive dell’ Istituto Spallanzani di Roma.
LA PELLE
«In generale, la maggior parte – continua – viene acquisita in sala operatoria e deriva soprattutto da fonti esogene al paziente come per esempio contaminazione di strumenti, guanti, etc., ma possono essere anche di natura endogena quando i microorganismi che le causano sono per esempio presenti sulla cute o sulle mucose dei pazienti stessi. Una quota rilevante, circa il 60% di queste, si manifesta dopo la dimissione del paziente». Nonostante la disponibilità di Linee Guida internazionali nel campo delle infezioni post-chirurgiche, molte delle raccomandazioni in esse contenute non vengono correttamente seguite nella pratica ospedaliera italiana. Ed è proprio per far fronte a questo problema ancora irrisolto che un gruppo di esperti italiani ha delineato una serie di regole base fondamentali per ridurre il rischio infettivo post intervento chirurgico: dalla preparazione del paziente all’intervento alla sua gestione postoperatoria.