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 2019  febbraio 12 Martedì calendario

Birrai e sarti resisteranno ai robot

Molte spariranno, tutte cambieranno. Parliamo di professioni e l’orizzonte è quello del 2030. La doppia profezia è contenuta nello studio Il futuro delle competenze che Pearson, preminente gruppo editoriale britannico specializzato in istruzione, ha commissionato poco più di un anno fa al centro studi sull’innovazione Nesta e alla Martin School di Oxford e che ora esce in italiano, per circolare nelle scuole e innescare un dibattito politico. Più in dettaglio i ricercatori concludono che il 10% delle professioni esistenti vedrà una crescita della domanda, il 20% una diminuzione e sul restante 70 non si pronunciano perché non ci sono indizi sufficienti. «Tuttavia» si legge «i nostri risultati suggeriscono che la ridefinizione delle mansioni, unitamente al riaddestramento della forza lavoro, potrebbe promuovere la crescita di queste occupazioni». E qui l’autorevole studio scricchiola.
Perché preferisce ai dati (i suoi, che prevedono evoluzioni negative doppie di quelle positive) un’aspirazione. Come quando il governo assicura che reddito di cittadinanza e quota 100 faranno ripartire l’economia. Lo speriamo, ma intanto si registra una recessione. Le competenze che renderebbero i mestieri a prova di futuro sono: percettività sociale (ascolto e comprensione), capacità cognitive superiori (originalità, prontezza di idee, apprendimento attivo), pensiero sistemico (analisi e valutazione di insiemi complessi). In una parola: quelle che ci rendono quintessenzialmente umani, in grado di apprezzare un’infinita scala di grigi rispetto al dualismo bianco/nero delle macchine. La ricerca è interessante per differenza rispetto al citatissimo The future of employment per cui quasi metà delle 702 occupazioni censite negli Stati uniti sarebbero state ad «alto rischio» di automazione entro vent’anni. I due autori Carl Frey e Michael Osborne sono diventate star accademiche e quest’ultimo è anche co-autore dello studio attuale. Cos’è cambiato? «Non molto» ci dice «ma lo studio del 2013 prendeva in considerazione solo l’automazione mentre qui analizziamo più fattori, tra cui l’invecchiamento della popolazione, la globalizzazione o la green economy, che incidono sulle prospettive occupazionali».
Anche il metodo è diverso. Le competenze sono state individuate dagli esperti. Ma la valutazione su quali professioni incorporano quelle competenze, dando loro una migliore aspettativa di vita, è (paradossalmente) demandata all’intelligenza artificiale. Lo studio rilancia un’obiezione classica: oltre ai lavori attuali che andranno distrutti bisogna calcolare anche quelli che non esistono e saranno creati. Se n’era occupato lo stesso Frey calcolando però che la quota di manodopera americana impiegata oggi in aziende nate dopo il 2000 è pari allo 0,5% del totale. «Google non sarà la prossima General Motors» concede Osborne «ma non ci sarà neppure un’apocalisse di lavori.
Soprattutto nei servizi il potenziale è illimitato. Molte cose che facevamo per conto proprio, come portare a spasso il cane o pulire casa, le facciamo fare ad altri, magari via app». Tra le occupazioni in rialzo in Gran Bretagna figurano barbieri, creatori di tessuti e birrai artigianali contro infermieri, badanti e insegnanti negli Stati Uniti. Mentre un vero boom potrebbe riguardare pet sitter, massaggiatori, artisti, vetrinisti, fiorai e sarti. Dunque quale facoltà consiglierebbe a un giovane? «Le materie scientifiche sembravano la chiave, ma anche alcuni ingegneri verranno rimpiazzati. Mentre restano le competenze umanistiche, la cultura, a differenziarci dai computer. Direi: fate ciò che vi piace e sforzatevi di trovare lì delle nicchie prospere».Non fa una piega.