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 2019  febbraio 12 Martedì calendario

Come procede la caccia ad al-Baghdadi

È caccia al califfo Abu Bakr al-Baghdadi, più volte dato per morto negli ultimi anni e recentemente resuscitato attraverso le confessioni estorte ai suoi tagliagole fatti prigionieri durante l’ultima offensiva delle forze americane, siriane, curde e irachene nello scampolo di ciò che resta dello Stato islamico, al confine tra Siria e Iraq. Malato di diabete, con gravi problemi di pressione arteriosa e probabilmente ancora debilitato per i bombardamenti che lo costrinsero a fuggire prima da Mosul e poi da Raqqa, l’inafferrabile al-Baghadadi è di nuovo l’uomo più ricercato del pianeta. Anche perché, secondo i generali statunitensi, le sue truppe sono sul punto di essere definitivamente sconfitte, e perché – una volta catturati – i suoi fedelissimi hanno cominciato raccontare nei dettagli le ultime, travagliate peripezie della loro guida. «Il Califfo ha ormai i giorni contati e presto finirà nella rete anche lui: sarà o catturato come Saddam Hussein oppure ucciso come Osama Bin Laden», ci dice un militare americano recentemente rientrato a Washington dalla Siria. Il mese scorso il leader dell’autoproclamato Stato islamico sarebbe scampato a un attentato ordito da una sua guardia. Sarebbe accaduto il 10 gennaio, nei pressi di Hajin, un malconcio borghetto diventato una delle ultime roccaforti islamiste nella valle dell’Eufrate.
Secondo agenti dell’intelligence locale, dopo l’attacco, dal quale al-Baghdadi si sarebbe salvato per poco, si è scatenata una violenta battaglia tra un gruppo di foreign fighters e i suoi gorilla, che gli avrebbe permesso di dileguarsi nel deserto. Il giorno dopo, senza spiegarne il motivo, l’Isis ha posto una taglia sulla testa di Abu Muath al-Jazairi, veterano delle legioni del Califfato e personaggio molto vicino ad al-Baghdadi, che oggi tutti considerano il cervello dell’attentato. Il tradimento da parte di un combattente appartenente alla cerchia più stretta del Califfo la dice lunga sullo stato di decomposizione dell’apparato jihadista. Ormai gli effettivi del suo esercito si contano in poche centinaia di uomini: secondo un’ultima valutazione sarebbero al massimo 500, quando avevano raggiunto le 70mila unità nel 2015. La superficie del Califfato, allora grande come quella della Gran Bretagna, s’è oggi ridotta alla centesima parte di ciò che fu, poiché consiste ormai in piccole oasi di un deserto più o meno urbanizzato nella provincia orientale siriana di Deir Ezzor. Questa situazione ha scatenato i segugi dell’antiterrorismo, su entrambi i lati del confine: le truppe curdo-siriane appoggiate dagli americani da una parte e le milizie sciite irachene dall’altra.
Ma queste forze assediano un fantasma. Infatti, se l’ultima apparizione in pubblico di al-Baghdadi risale al 2014 nella moschea Nuri di Mosul e il suo ultimo messaggio audio sui social islamisti all’estate scorsa, le sole informazioni recenti che lo riguardano provengono da confessioni verosimilmente estorte sotto tortura e quindi non per forza attendibili. A questo proposito, il portavoce delle Forze democratiche siriane è stato lapidario: «Non abbiano nessuna notizia della presenza di al-Baghdadi in Siria e, per essere più precisi, pensiamo addirittura che si trovi altrove». Certo, persiste la speranza che tra le centinaia di jihadisti che in questi giorni si arrendono e vengono fatti prigionieri ve ne sia uno pronto a tradire il suo Califfo.
Tra questi, molti sono foreign fighters, alcuni dei quali avrebbero dichiarato che assieme a ciò che rimane dello Stato maggiore dell’Isis ci sono numerosi ostaggi stranieri, tra i quali l’italiano padre Paolo Paolo Dall’Oglio, il giornalista britannico John Cantlie e un’infermiera neozelandese.
Purtroppo si tratta di informazioni quasi di certo fasulle, smentite da più fonti. Due giorni fa, tuttavia, il ministro dell’Interno inglese Ben Wallace ha detto di credere che Cantlie sia ancora in vita, probabilmente informato dai suoi servizi d’intelligence. Questo ridarebbe forza all’ipotesi secondo cui al-Baghdadi e il suo clan avrebbero mantenuto in vita gli ostaggi occidentali per usarli come carta estrema: un lasciapassare per fuggire dall’ultimo assedio.