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 2019  febbraio 12 Martedì calendario

Tremonti e la tassa sulle plusvalenze sull’oro

La disputa sull’oro delle riserve della Banca d’Italia ha passati illustri. Dieci anni fa, quando il valore dei lingotti e delle monete di metallo giallo viaggiava attorno ai 49 miliardi, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, arrivò a proporre un’imposta sulle plusvalenze sull’oro non industriale di società ed enti. Nella seconda metà di luglio del 2009, presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il governo infilò la norma in un decreto anti-crisi che prevedeva l’applicazione di un’imposta del 6% sulla rivalutazione non realizzata delle riserve auree di Bankitalia, una misura una tantum che avrebbe dovuto garantire un gettito di 300 milioni nella sua versione più soft. 
L’iniziativa incontrò subito difficoltà e obiezioni, la più grande delle quali fù che con quel prelievo si metteva in discussione l’indipendenza finanziaria e istituzionale di Bankitalia, in prima battuta, e dello stesso Eurosistema. Tra una votazione di fiducia e l’altra sul dibattutissimo testo all’esame del Parlamento, arrivò dall’Eurotower un parere «non vincolante» del vicepresidente Lucas Papademos, che confermava la contrarietà al provvedimento nonostante nel frattempo l’Esecutivo lo avesse riformulato. Anche il testo emendato, secondo la Bce, risultava incompatibile «con il divieto di finanziamento monetario del settore pubblico da parte della banca centrale» e «non in linea» con le regole stabilite dalla Bce «ai sensi dell’articolo 26.4 dello Statuto del Sebc».
Giulio Tremonti cercò di difendere fino all’ultimo la norma, assicurò che il governo non voleva fare alcuna forzatura sulle riserve auree. Anche allora le polemiche e i contrasti furono numerosi e il ministro arrivò a dire che «l’oro appartiene al popolo», evocando un’altra questione di interpretazione giuridica sulla proprietà delle riserve che oggi viene agitata dalla Lega. Alla fine, tuttavia, l’imposta venne depotenziata. Sotto l’attenta regìa del Colle, il presidente del Consiglio il 1° di agosto diede una sorta di «interpretazione autentica» della norma approvata, spiegando che non si sarebbe applicata senza il “sì” esplicito della Banca centrale europea e senza il consenso di via Nazionale. Ma quei “sì” non sono mai arrivati.