Libero, 12 febbraio 2019
La modella down conquista il Sudamerica
Occhi azzurri, carnagione diafana e chioma platinata. Potrebbero essere i connotati della nuova Miss Mondo, ma sono invece quelli dell’incantevole Georgia, una 18enne brasiliana affetta da sindrome di Down. La madre della ragazza, Rubi Traebert, animata dall’orgoglio genitoriale, ha postato su Facebook una foto della sua creatura, dando il via ad processo di condivisione collettiva che si è esteso all’intero continente. Migliaia di utenti del famoso social network hanno deciso di ospitare l’angelico viso della fanciulla in bacheca, affinché, la sua soave immagine, si rendesse portavoce di un messaggio sul quale spesso si diventa scettici: si può essere bellissimi anche con un cromosoma in più. E sembra non essere solo quest’ultimo, nel caso di Georgia, a rappresentare un esubero: ella sembra avere anche più luce, più magnetismo e più attrattiva di tante sue coetanee. Per questo motivo, quegli scatti divenuti virali, non hanno lasciato indifferenti gli addetti ai lavori ai quali sono giunti per vie traverse, ed è così che, manager dello spettacolo e case di moda, hanno pensato bene di accaparrarsela. Sono addirittura cinque le agenzie che l’hanno contattata per invitarla a far parte della loro scuderia. In breve tempo, l’adolescente, ha raccolto oltre 65.000 seguaci sul profilo Instagram, ed il suo seguito è decisamente destinato a salire, visto che è diventata testimonial dei più autorevoli fashion brand sudamericani. Un riscatto senza precedenti quello di Georgia, considerato che la sua condizione l’aveva condannata all’isolamento da parte dei compagni di scuola, i quali la emarginavano per una presunta diversità con la quale non sapevano misurarsi, come a dire che il deficit relazionale era il loro, non certo di una fanciulla che ha sempre manifestato interesse ed entusiasmo per il mondo che la circonda, e con il quale, adesso, si può finalmente aprire come non mai, esorcizzando anni e anni di solitudine che le sono pesati addosso come macigni. Non più ghettizzata, bensì ambita, e non dai dozzinali compagnetti di banco dei quali, un tempo, agognava le attenzioni, bensì dalle major fashioniste che la ergono a reginetta incontrastata delle più sontuose sale posa.
«FELICE E GRATA»
Orgogliosa dei traguardi raggiunti dalla figlia, è così che Rubi racconta il suo entusiasmo al The Sun: «Georgia ama la vita ed è sempre stata grata, ogni giorno, per quello che aveva. Dovremmo essere tutti come lei, riconoscenti per ciò che abbiamo, anziché lamentarci». E per quanto progressista possa sembrarci la storia di Georgia, essa non rappresenta neppure il primo episodio della storia volto a sdoganare una sindrome dalla quale risulta affetto almeno un neonato ogni 700/1000 nati: i pittori fiamminghi del 1500 erano soliti ritrarre, nelle loro opere di arte sacra, soggetti con sindrome di down, elevandoli alla stregua di esseri umani superiori ed avulsi alla malizia, nonché più indicati ad incarnare personaggi divini e celestiali. Ed ancora, un celebre quadro del Mantegna conosciuto come Nella camera degli sposi, raffigura un Gesù bambino i cui connotati vengono oggi ricondotti ad un pargoletto down, capace di suscitare tenerezza anche nello spettatore più imperturbabile.
IL FOTOGRAFO
Ai giorni nostri, invece, ci ha pensato il fotografo polacco Marcin Zaborowski a riabilitare questa sindrome, attraverso una serie di scatti realizzati per il National Geographic edizione polacca, i quali ritraggono decine di ragazzi consapevoli di essere distinti da un’alterazione cromosomica dalla quale non intendono farsi soverchiare. Anche la giovane Mikayla Holmgren reppresenta un emblema di emancipazione dai più ottusi e tenaci pregiudizi: ella è stata la prima ragazza affetta da sindrome di Down a partecipare ad un concorso di bellezza, arrivando prima alla manifestazione di Miss Minnesota, nel novembre 2017. Ma la storia di Georgia sembra riservare molto di più del semplice riscatto individuale: i fiabeschi sviluppi della sua rosea esistenza restituiscono fiducia a coloro che, ad oggi, combattono affinché gli venga riconosciuto il legittimo diritto di essere identificati quali persone normali o, a ragion veduta, con qualcosa in più, e che non sia solo un cromosoma.