https://www.ilpost.it/2019/02/11/patti-lateranensi, 11 febbraio 2019
La firma dei Patti Lateranensi, 90 anni fa
L’11 febbraio del 1929, poco prima di mezzogiorno, l’allora capo del governo italiano Benito Mussolini, solennemente abbigliato con capello a cilindro e soprabito delle grandi occasioni, entrò sotto una pioggia scrosciante nel Palazzo apostolico del Laterano nella Città del Vaticano. Qui, insieme al Cardinale Pietro Gasparri, segretario di stato Vaticano, firmò tre documenti che mettevano fine alla disputa che da sessant’anni divideva la chiesa cattolica e lo stato italiano.
I documenti, un “Trattato”, una “Convenzione finanziaria” e un “Concordato”, presero il nome dal palazzo nel quale erano stati firmati e divennero noti come “Patti Lateranensi”. Inseriti nella Costituzione del 1948 e modificati negli anni Ottanta, gli accordi costituiscono ancora oggi la base del rapporto tra stato italiano, Città del Vaticano e chiesa cattolica.
Un’altra ragione della loro importanza è che prima che fossero firmati tra stato e chiesa non esisteva, almeno formalmente, alcun rapporto. Il Papa si considerava un “prigioniero politico” di Casa Savoia, la famiglia regnante d’Italia che nel corso del Risorgimento aveva invaso per ben due volte i territori dello stato della chiesa, un tempo esteso a tutto il Centro Italia, fino a ridurlo alla sola città di Roma. Nel 1870, l’esercito italiano attaccò la stessa città di Roma, difesa dai soldati del Papa e da numerosi volontari provenienti da tutta Europa, e la conquistò il 20 settembre.
La stato di “prigionia” a cui i pontefici sostenevano di essere sottoposti significava in sostanza che l’Italia non veniva riconosciuta come stato legittimo e che ai cattolici non era consentito (almeno ufficialmente) partecipare alla vita politica del paese. Negli anni il divieto venne di fatto considerevolmente attenuato. Ad esempio alle elezioni del 1913, le prime con suffragio universale maschile, i cattolici furono invitati a votare per i candidati cattolici presenti nelle liste del partito liberale guidato da Giovanni Giolitti (fu il famoso “Patto Gentiloni”, dal nome del suo principale negoziatore, il conte Vincenzo Gentiloni, avo dell’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni). Ma la riconciliazione era lungi dall’essere completa.
A concluderla ci sarebbe riuscito Benito Mussolini, capo di governo dal 1922 che, dopo il 1926, era riuscito a trasformare il paese in una dittatura a partito unico. Mussolini e i fascisti avevano sconfitto i partiti socialisti e comunisti e messo sotto controllo i sindacati: a metà degli anni Venti l’unica altra forza di massa non fascista sopravvissuta era rappresentata dalle associazioni legate alla Chiesa, come la potente Azioni Cattolica.
Tra i leader fascisti c’erano molti anticlericali convinti, che sostenevano che il Partito Fascista e le sue articolazioni non dovessero avere alcun tipo di rivale. Questi leader chiedevano a Mussolini di far piazza pulita delle associazioni cattoliche nello stesso modo brutale con cui erano state eliminate le organizzazioni della sinistra. Mussolini però non voleva andare allo scontro frontale con la Chiesa, che secondo lui era ancora in grado di orientare le preferenze di milioni di italiani, e preferì agire con prudenza.
Dal suo punto di vista era possibile addomesticare le organizzazioni cattoliche e nel contempo risanare la ferita aperta sessant’anni prima con la presa di Roma. Le trattative con il Papa iniziarono nel 1927 e, tra pause, scontri e incomprensioni, andarono avanti fino ai primi giorni del 1929. In sostanza, quello che Mussolini chiedeva alla Chiesa era di chiudere o comunque di ridurre l’autonomia delle organizzazioni cattoliche. In cambio offriva di riconoscere la Città del Vaticano come un libero stato indipendente, prometteva finanziamenti ed esenzioni al clero cattolico e confermava le misure che davano una posizione di preminenza alla religione cattolica nello stato italiano già attuate dal regime negli anni precedenti (come il crocefisso obbligatorio in tutti gli spazi pubblici e l’insegnamento a scuola della regione cattolica).
Con un misto di lusinghe e minacce, alla fine Mussolini ottenne tutto quello che voleva. Le organizzazioni giovanili cattoliche furono spazzate via per fare posto all’unica associazione consentita, l’Opera Nazionale Balilla sostenuta dal regime. L’Azione Cattolica fu sottoposta al controllo dei vescovi locali, invece che a una struttura centralizzata, e le sue attività furono limitate a quelle ricreative e spirituali. In cambio, il Papa accettò di riconoscere lo Stato Italiano con Roma come sua capitale e fu a sua volta riconosciuto dall’Italia come legittimo sovrano della Città del Vaticano (questa parte era contenuto nel cosiddetto “Trattato”). Con la “Convenzione finanziaria” vennero regolati i rapporti economici tra Stato e Chiesa (cioè la quantità di denaro che il primo avrebbe versato alla seconda). Il “Concordato”, infine, regolava i rapporti tra stato e religione cattolica, assegnando a quest’ultima una serie di vantaggi, tra cui quello di essere riconosciuta come “religione di stato”.
Con questi tre documenti e quasi sessant’anni dopo il suo inizio la cosiddetta “Questione romana”, l’ambigua situazione nella quale pontefici e governo italiano si erano trovati fino a quel momento era stata risolta. Per Mussolini fu un successo celebrato non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Considerato che tutte le parti dell’accordo sfavorevoli alla chiesa (cioè le limitazioni imposte alle organizzazioni cattoliche) erano “esterne” ai Patti Lateranensi, non stupisce che dopo la guerra la Democrazia Cristiana, cioè il grande partito cattolico antifascista, spinse con forza affinché i patti venissero riconosciuti nell’ordinamento del nuovo stato repubblicano, cosa che puntualmente avvenne (i patti furono riconosciuti all’articolo 7 della Costituzione).
L’importanza dei Patti Lateranensi è testimoniata dal fatto che il Concordato tra regime fascista e chiesa cattolica ha continuato a regolare i rapporti tra lo stato italiano per quasi 40 anni dopo la caduta del regime. Soltanto nel 1984, dopo lunghi e difficili negoziati, il governo Craxi si accordò con la chiesa per una serie di modifiche: la più importante fu la rimozione della clausola che definiva la religione cattolica la “religione di stato” dell’Italia.