il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2019
Il Canada tra mafia e affari
Sempre strano il sentirsi siciliani. Eccoli: “Insulari del Sud, decisamente irrecuperabili”. Così scrive il gesuita François Hertel, tra i padri dell’identità cosmopolita del Canada. E i siciliani, per questo prete-poeta, amatissimo – già mentore di Pierre Elliot Trudeau il padre di Justin – arrivano da “una sovrappopolazione che però è cara ai merdosi; più il coito è puzzolente”, spiega, “più è fecondo”.
La prosa è datata 5 ottobre 1971, è tratta dalla rivista L’information médicale et paramédicalee, non senza un’intima pena mista a ribrezzo, l’ha riportata alla luce nel gennaio scorso Claudio Antonelli. Professore di letteratura, già responsabile bibliotecario della McGill University di Montréal, Antonelli è istriano, originario di Pisino – fratello di Laura, la compianta diva – e non si dà pace per quel che vi legge.
Nel Canada del multiculturalismo dove infinita è la stucchevole geremiadi del mea culpa del passato – il Primo ministro canadese, Justin Trudeau, che chiede il perdono della comunità Lgbt, quello della popolazione di colore e quello di qualsiasi minoranza, magari sorvolando sullo sterminio dei Nativi –nessuno chiede scusa di questo “ributtante scritto razzistico”, per come lo definisce Antonelli.
Ecco un passo: “Vi fu un tempo in cui gli emigrati italiani si reclutavano nel nord del Paese o nel centro e divenivano cittadini tranquilli del paese adottivo; tutto è cambiato da quando i siciliani si sono messi a emigrare; questa gente, che parla un dialetto talvolta completamente incomprensibile per un milanese o un romano, è profondamente incolta di padre in figlio, di origine molto dubbia, di onestà discutibile”. Ed ecco un altro assaggio di pura disumanizzazione dei siciliens: “Sudici, rumorosi, senza la minima educazione; essendo sfuggiti alla condizione di bisognosi, hanno fretta di diventare miliardari; senza dubbio non ignorano che la Mafia americana sono loro”. Strano, appunto.
Bad Blood, la serie tivù di Netflix, sono loro. E sono loro i picciotti che si fanno carico degli appalti sui marciapiedi di Montréal. Le continue bufere di neve e di pioggia ghiacciata spaccano l’asfalto, sembrano le strade di Roma tanto sono bucherellate – il sale provoca voragini –ma è un continuo lesto cantiere. Al passante che capita di stare per scivolare i manovali montrealesi francofoni oanglofoni che siano, come voce dal cuor sfuggita, dicono comunque “bedda Matri!”.
E sono loro. E sapessi, dunque, com’è strano. Sciascia e Borsellino in Canada, infatti, non sono come per noi – in Italia – Leonardo e Paolo. Non sono i due monumenti che sappiamo perché tutti, in Québec, pensano ad altro: a un Gerlando Sciascia – ufficiale di collegamento tra le cinque famiglie mafiose di New York e la sesta, quella di Montréal – o a un Giuseppe Borsellino. Detto Joe, in verità mai condannato, Borsellino è uno degli imprenditori più in vista nelle terre dei Grandi Laghi cui la Charbonneau – la Commissione d’inchiesta su mafia, politica e infiltrazioni negli appalti – nel marzo 2014 ne ha mascariato la rispettabilità con le intercettazioni registrate dall’investigatore Eric Vecchio: telefonate tra il magnate e Vito Rizzuto, il capo dei capi, e altre conversazioni con il figlio di questi, ossia Nick Rizzuto Jr, giusto quello di cui tutti – in Canada, in Italia e nel mondo intero – ricordano l’ultimo cappotto indossato: una bara d’oro.
Nick Jr è portato alla morte da sei colpi di pistola messi a segno in pieno giorno tra Lachine Road e Wilson Ave. È il 28 dicembre 2009. Poco prima delle molotov devastano il Pirandello Bar Sport nel quartiere di St. Michel e tutta quella Sicilia, di questo si tratta, torna al momento in cui il patriarca della famiglia Rizzuto, Nicolò, si prende la città delle belle donne: Montréal.
È il 1954, arriva dall’agrigentino e con un pizzino con sopra scritto solo un indirizzo Nicolò presto diventato Nick Senior, getta il seme, anzi, innesta quel germoglio che fa del proprio paese, Cattolica Eraclea, il nucleo fondante di una solida avventura di piombo, cemento, emancipazione, dignità e oro. E tutto questo non è solo Mafia, è capitalismo. Ed è il Giano bifronte il cui sudore, da un lato, guadagna i piani alti della legalità e dell’onestà, come con Lino Saputo, il magnate dei formaggi –eccellente anche nella produzione e nel commercio, tra i più munifici filantropi – mentre dall’altro, nella faccia torva, rimanda a quella lotta per la vita per cui quella stessa lupara che in Sicilia produce miseria, qui, a 30 gradi sotto zero, genera ricchezza.
Ed è oro, appunto. Perfino quello con cui si fabbricano le bare di casa Rizzuto coperte dalla neve candida nel cimitero di Mont Royal.
Nel Canada dove la perversione del voler essere cool arriva al punto di decidere col ministro dell’Istruzione, Maryam Mansef, una campagna inquisitrice e discriminatoria contro gli insegnanti che portano segni religiosi chissà cosa deve sembrare la processione della Madonna con la vera Cattolica Eraclea che non è quella in provincia di Agrigento, ma questa di Montréal perché qui il paese, dagli anni ‘50 del secolo scorso in poi, ha conosciuto lo sviluppo possibile. E tutti qui sono. Tutta la Cattolica Eraclea che esce dalla Sicilia, riesce nell’isola del fiume San Lorenzo. Un corso d’acqua così imponente da sembrare il mare con il quale la vita di tutti i siciliens, trova sorgente nel fatato ricordo del sapersi strani, mai estranei.
Ecco Francesca Lo Dico, docente di letteratura inglese, editor e scrittrice: “Mi svegliavo al mattino e parlavo siciliano con i miei, accendevamo la radio ed era in italiano, mi mettevo in macchina ed ascoltavo il notiziario francese quindi arrivavo a scuola e parlavo l’inglese”. Insulari del Sud, decisamente strani.