la Repubblica, 11 febbraio 2019
Arabia Saudita, l’amore ai tempi di Mbs
Quando scende il tramonto e il sole concede una tregua, il lungomare di Gedda prende vita. Ragazzi e ragazze si inseguono sugli skateboard, amici in bicicletta si sfidano, coppie camminano sfiorandosi. Se non fosse per le abaya, le lunghe vesti che qui tutte le donne devono indossare, sembrerebbe di essere a Beirut, dove le teste velate si mischiano senza problemi ai capelli al vento. Bisogna stropicciarsi gli occhi per capire che questa è l’Arabia Saudita, uno dei Paesi più conservatori del mondo, a lungo chiuso a ogni forma di modernità e divertimentoUna delle conseguenze meno raccontate del programma di riforme sociali ed economiche avviato da Mohammed Bin Salman detto Mbs, l’erede al trono 33enne che di fatto governa il Paese, è il profondo cambiamento nei costumi e nella vita quotidiana che hanno innescato. Prima di tutto per i giovani sotto i 30 anni, il 70% della popolazione qui.
In una nazione dove fino a due anni fa era proibito ascoltare musica o farsi vedere in pubblico con una persona di sesso diverso che non fosse un familiare, a dicembre ragazzi e ragazze hanno ballato scatenati al ritmo di David Guetta, dj di fama mondiale. Assistono fianco a fianco a piece teatrali e mostre d’arte. O chiacchierano seduti allo stesso tavolo nei caffè.
«Solo qualche mese fa avremmo potuto essere arrestati – sorride Bayan Jamal, 26 anni, che insieme a un gruppo di colleghi, uomini e donne, tutte le mattine si riunisce al Medcafè, uno dei bar più popolari della città, per creare un magazine Instagram – quando sono tornata dai miei studi a Dubai e ho iniziato a venire qui temevo che la polizia religiosa facesse un raid ogni secondo. Ci ho messo mesi a capire che non sarebbero venuti». Bayan si passa la mano fra i capelli: lunghi, neri, ricci e sciolti. La sua abaya da sola racconta la rivoluzione che questa città, da sempre una delle più aperte e moderne del Paese, sta vivendo: è corta, azzurra, aperta sul davanti. Più un abito lungo che una veste austera destinata a coprire le forme come per decenni è stato. Fino a due anni fa se fosse finita sotto gli occhi dei Muttawa, la polizia religiosa, avrebbe portato la proprietaria in cella: ma privare i custodi della morale pubblica del loro potere è stata una delle più importanti riforme di Mbs.
Bayan accetta di buon grado di fare da guida virtuale fra i tavoli.«Quella coppia è nel mezzo di un appuntamento – dice guardando un paio di tavoli più in là – quegli altri invece sono solo colleghi».
Per capire la portata rivoluzionaria di queste parole bisogna sapere che per decenni in Arabia Saudita ‘appuntamento’ è stata una parola proibita: un tabù assoluto. Per i giovani incontrarsi lontano dal controllo delle famiglie era impossibile, tantomeno pensare scegliere da soli un marito o una moglie. Tale era la disperazione, che ad una ragazza bastava accendere il bluetooth in un centro commerciale per ricevere decine di messaggi dai cellulari vicino: numeri di telefono, richieste di incontro. Nonostante le lunghe vesti e i veli neri che coprivano i volti non lasciassero trasparire nulla di chi li riceveva.
«Appuntamento significava vedersi da lontano nelle corsie del supermercato», sintetizza Rakan Felemban, amico di Bayan. Lo dimostra il fatto che nel 2005 “ Le ragazze di Riad”, un libro che raccontava i tentativi di un gruppo di amiche di uscire da questi schemi fece scandalo nell’intero mondo arabo.
«Quell’era è superata – spiega Salwa al Hafiz, 30 anni, specializzanda in medicina – io e mio marito ci siamo incontrati a un seminario di lavoro. Lui ha cercato il mio numero e abbiamo iniziato a frequentarci. Prima di uscire da soli abbiamo avvertito le famiglie, ma nessuno ci ha imposto vincoli: potevamo non piacerci e lasciarci, invece ci siamo sposati». Salwa sorride prima di concludere: «Ormai siamo superati. Le coppie si formano su Instagram o su Twitter: iniziano con il seguirsi, poi si frequentano nella vita reale…e poi chissà».
«Incontrare persone non è più impossibile: il ‘no’ delle famiglie può ancora essere un ostacolo insormontabile a un matrimonio, ma ci sono stati cambiamenti impensabili solo fino a qualche anno fa. C’è molta più libertà», conferma Fatima al Banawi.Attrice, Fatima è la protagonista di “Barakah meets Barakah”, la prima commedia romantica del regno, che nel 2016 divenne un successo mondiale raccontando l’amore versione saudita.
Al Banawi sa per esperienza diretta che non tutto è semplice: il protagonista maschile nel film, Hisham Fageeh, è stato a lungo una delle voci più famose della scena artistica saudita, ma da qualche tempo è quasi scomparso dalla scena, come tutti quelli che in un modo o nell’altro criticavano o punzecchiavano il governo. «Stiamo scambiando le libertà sociali per il diritto di espressione o di pensiero? – si interroga Mohammed, 28 anni, uno dei soci di Bayan, al Medcaffè – se non scrivi il mio cognome ti dirò la verità: sì. Io non sono d’accordo con quello che hanno fatto a Jamal Khashoggi – il giornalista assassinato nel consolato di Istanbul a ottobre ndr - né con tante scelte del governo. Ma ho paura a parlare. Così cerco di prendere quello che di buono questa fase offre».
Molti sono certi che presto o tardi l’ubriacatura passerà. E che anche oggi tocca solo le aree più progressiste, come Gedda, non il cuore del Paese: «Le riforme sono palliativi per coprire un governo repressivo e brutale – dice Hala al Dosari, studiosa e attivista saudita attualmente ad Harvard – Quando i giovani si abitueranno ai cinema, alla libertà di guidare e di poter parlare con le ragazze alzeranno lo sguardo. E se non avranno un lavoro, possibilità di crescita, non potranno parlare né discutere capiranno di volere qualcosa di diverso». Sarà davvero così? Di fronte al tramonto di Gedda, uno dei tanti interrogativi della nuova Arabia Saudita targata Mohammed Bin Salman resta tutto aperto.