Corriere della Sera, 11 febbraio 2019
Il fascino dei paesi illiberali
La politica estera è, per lo più, politica interna con altri mezzi. Coloro che si sono meravigliati per il nostro isolamento in Europa, per l’appoggio al venezuelano Maduro, per l’annuncio unilaterale di ritiro delle nostre truppe dall’Afghanistan, eccetera, eccetera, fanno apparire la Vispa Teresa come una donna sofisticata ed esperta delle cose del mondo. Se scegli una postura illiberale in relazione al tuo regime interno (svalutazione della democrazia rappresentativa, ostilità al mercato) non puoi che scegliere una corrispondente postura illiberale in politica estera. Nel senso che manifesterai, ovunque possibile, la tua affinità con i regimi autoritari e la tua ostilità alle democrazie liberali. Simpatizziamo solo con quegli Stati i cui governi vantino una ideologia simile alla nostra. Certamente, le grandi potenze, anche quelle liberali, possono benissimo appoggiare Stati che hanno regimi diversi per esigenze di realpolitik (gli Stati Uniti sostennero varie dittature in funzione antisovietica durante la guerra fredda) ma riserveranno comunque le loro simpatie ai Paesi i cui regimi politici assomiglino al proprio. Dimmi come sei fatto o che cosa aspiri a diventare al tuo interno e ti dirò dove si indirizzeranno le tue solidarietà all’esterno.
Punto di incontro di due forze che hanno affinità ma anche differenze, il governo giallo-verde è un interessante esempio di corrispondenza fra identità politiche, ideologie, scelte di politica interna, e il modo di agire sulla scena internazionale.
B isogna distin guere fra 5 Stelle e Lega. I 5 Stelle sono più facilmente decifrabili. Si tratta del movimento che condensa in sé tutto ciò che di affine c’è (e c’è sempre stato) fra la tradizione politico-culturale italiana e certi aspetti delle culture latinoamericane. Per capire i 5 Stelle servono forse di più gli studiosi dell’America Latina (dei suoi movimenti populisti) che non quelli dell’Europa. L’ormai «storico» viaggio in Sud America di Alessandro Di Battista è stato, da parte sua (e dei suoi sponsor), un colpo di genio. Lo ha naturalmente candidato alla guida dei «nostri» latinoamericani, del «nostro» movimento di riscatto dei descamisados. L’anticapitalismo, l’anti-istituzionalismo, l’ostilità per la democrazia parlamentare e il favore per quella plebiscitaria, sono tratti che i 5 Stelle condividono con i movimenti latinoamericani dello stesso segno (peronisti argentini, apristi peruviani, chavisti venezuelani, eccetera). Forse una differenza è che, almeno in certe fasi, alcuni di quei populismi si erano posti (ancorché in modo sbagliato, fallimentare) il problema del desarrollo, dello sviluppo economico dei loro Paesi. I 5 Stelle sono invece fautori tutti d’un pezzo della decrescita (come conferma l’odio per le grandi opere): ostili al mercato e fautori della statalizzazione più o meno integrale dell’economia, sono soliti nascondere la loro ideologia dietro foglie di fico: difesa dell’ambiente, lotta alla corruzione. Ma sono solo pretesti.
Il suddetto programma interno «latinoamericano» è coerente con gli atteggiamenti di politica estera: dall’anti-americanismo (oggi provvisoriamente mitigato dalla presenza di Trump) all’anti-europeismo, dall’anti-semitismo di alcuni esponenti alla simpatia per Russia e Cina, al sostegno a ogni dittatura in lite con l’Occidente (dal Venezuela all’Iran). Aggiungo che la coerenza anti-occidentale dei 5 Stelle era visibile fin dai primi vagiti del movimento. Chi oggi si sorprende deve avere dormito senza interruzioni dal primo dei Vdays di Beppe Grillo fino a pochi giorni fa.
Il caso della Lega è un po’ diverso. Qui ci sono più contorsioni, meno coerenze, che nel caso dei 5 Stelle. Riflesso del fatto che la Lega, a differenza dei 5 Stelle, è, geograficamente e sociologicamente, molto più presente fra i ceti produttivi. Dei populismi classici mantiene l’ostilità per il Big Business, per il grande Capitale, ma non può permettersi di essere davvero anticapitalista. Non lo consentono le sue connessioni con l’imprenditoria del Nord. Anche il suo sovranismo, quindi, deve essere qualificato e ha obbligato Salvini a molte contorsioni. Per esempio, si è dovuto rimangiare i velleitarismi anti-euro. Non potevano essere accettati dal Nord del Paese. Il suo sovranismo si vende bene agli italiani (simbolicamente e nel breve termine; sul piano pratico è tutto da vedere) quando si tratta di chiudere le frontiere all’immigrazione clandestina. Ma gli crea problemi in altri ambiti. L’alleanza sovranista in Europa propugnata da Salvini può servire forse come slogan elettorale ma difficilmente potrà dare, nel futuro Parlamento europeo, molti frutti, contestazione delle forze europeiste classiche (popolari e socialisti) a parte.
Una diversa base sociale e differenze ideologiche spiegano i maggiori margini di manovra rispetto ai 5 Stelle di cui dispone Salvini e che egli sfrutta con una certa abilità: vedi la presa di distanza dai 5 Stelle (nonostante i perduranti legami con la Russia) sulla vicenda venezuelana.
Leghisti e 5 Stelle condividono la necessità di avere «nemici esterni» per nascondere i fallimenti interni. La contrapposizione alla Francia va messa in relazione alle cattive notizie sull’andamento dell’economia italiana (Federico Fubini sul Corriere di sabato). Serve al governo né più né meno degli attacchi alla Banca d’Italia.
Non per dire che i francesi siano angioletti. Non lo sono, come non lo siamo noi. Né per dire che il nostro governo sia il primo che usi la tensione con un altro Stato per coprire, agli occhi degli elettori, i disastri interni. Lo hanno sempre fatto tutti, a tutte le latitudini (governi francesi inclusi). Ma c’è una differenza. Solo dei sovranisti, in quanto tali interessati a ridurre il grado di interdipendenza del Paese rispetto all’esterno, pur sapendo che il costo sarebbe altissimo, possono permettersi un conflitto di questa intensità (c’è stato persino l’incontro con un estremista che invoca la guerra civile in Francia) con un Paese al quale siamo legati da mille fili e che dispone di molti strumenti per farcela pagare.
Nonostante le differenze, leghisti e 5 Stelle sono solidali sulle cose che più contano. Calcolano che la debolezza dell’opposizione garantisca loro l’impunità. Oggi è così ma non lo sarà per sempre.