La Lettura, 10 febbraio 2019
Intervista a Massimo Ammaniti sull’adultescenza
«Adultescenza» la chiama il professor Massimo Ammaniti nel nuovo libro Adolescenti senza tempo (Raffaello Cortina Editore). L’«adultescenza», ovvero il tempo ormai anticipato e prolungato in cui si finisce di essere bambini e non si è ancora adulti. Psicoanalista e docente di Psicologia dello sviluppo, Ammaniti racconta i figli, finendo per individuare una nuova umanità trasversale che comprende anche i genitori (difficile non riconoscersi). Dunque questo libro è molto più del ritratto di una generazione. Diventa ritratto di un’epoca. Ribalta i luoghi comuni, non nomina colpe ma problemi, non parla di adolescenti ma di famiglie adolescenti. A quel tavolo da pranzo dove i figli sono concentrati sui telefonini, lo sguardo si allarga, ed ecco comparire gli adulti: competitivi, disorientati, biondissimi, atletici, innamorati, fidanzati, terrorizzati dall’idea di invecchiare (quanto i figli di crescere?). Si fa allora necessario chiarire quali siano i ragazzi e quali gli adulti.
Chi sono i nuovi adolescenti?
«Messi fin da piccoli davanti agli schermi, in genere durante il pasto, sono ragazzi che arrivano all’adolescenza già con una dipendenza digitale a scapito dello scambio e della comunicazione».
E?
«Non sperimentano più la possibilità di stare soli con sé stessi. Vengono privati della solitudine, e della noia, tutte occasioni creative in cui il ragazzo cerca di immaginare mondi diversi. Gli adolescenti devono avere delle utopie contro l’universo degli adulti, la realtà virtuale impoverisce».
Cosa perdono?
«Prima erano stimolati a esplorare, viaggiare; ora rimangono nella loro stanza, con l’iPad sulle ginocchia».
Che cosa comporta essere costantemente connessi?
«Vivere uno stato di continua iperattivazione. Pensiamo a Snapchat: bisogna rispondere subito, sennò il messaggio scompare».
Impossibile rilassarsi?
«Nella vita ci sono momenti ad alta tensione – aspettativa, stress —, e momenti a bassa tensione, fondamentali per costruire il proprio sé».
Dunque?
«Il cervello umano è fatto in modo tale che può vivere in un gruppo sociale fino a settecento persone. Attualmente i ragazzi hanno settemila, ottomila contatti, molto al di sopra delle potenzialità cerebrali. Studi hanno verificato che il cervello si sta modificando, ha aumentato la sostanza grigia delle connessioni. Insomma, è in atto un cambiamento antropologico».
Eppure lei non ha una visione catastrofica del futuro possibile.
«Il Fedro di Platone temeva che la scrittura, considerata una téchne, provocasse dimenticanze a chi la usava, ed è stato smentito dall’evoluzione. Chissà che in futuro anche la téchne digitale non possa entrare a far parte del patrimonio umano. Il vero problema è guidare all’uso».
Più precisamente?
«Sempre più di frequente da me vengono bambini di otto o nove anni. Vedono il mio telefono, mi dicono che è molto vecchio, mi spiegano che esistono nuovi modelli in grado di eseguire questo e quello. Insomma, sanno tutto, competenza che conferisce loro un senso di efficacia e di onnipotenza».
Da quando i genitori portano i figli piccoli dallo psicoanalista?
«Un tempo erano talmente convinti dei loro valori che tendevano a svalutare la dimensione psicoanalitica. Al massimo li portavano dal parroco».
Passo avanti?
«Indice del disorientamento».
Disorientamento di fronte alla velocità dei figli?
«Prenda l’educazione sessuale: avviene nei siti dove il dominio delle immagini reali spoglia la sessualità dall’immaginazione. In passato i bambini giocavano al dottore: prime scoperte, ma anche dubbi, e curiosità, in quanto moltissimo non era svelato. Rimaneva posto per la fantasia primaria, come la chiamava Freud, la curiosità, insieme alla paura, di scoprire cosa succedesse nella camera dei genitori».
Eppure, lei dice, a questa rapidità alcuni ragazzi rispondono cercando di fermare il tempo.
«Dopo l’onnipotenza dell’infanzia, l’adolescenza spariglia le carte. Iniziano i cambiamenti: peli, brufoli. Il corpo che fin lì era stato compagno, diventa estraneo, talvolta nemico. Ricordo una ragazzina così intimorita dallo sviluppo del seno che si copriva con grandi golf».
Nel libro lei porta, tra gli altri, l’esempio dell’anoressia.
«Le ragazze anoressiche tentano un congelamento del corpo, lo desessualizzano, rendendolo marionetta che si fa vivere come vuole, con il rischio di morire, perché farlo vivere significa affrontare il distacco dalla madre, e naturalmente il sesso».
Il sesso spaventa?
«Vale la battuta inglese: “La penetrazione non è intimità”».
Ovvero?
«Per l’adolescente l’intimità è il pericolo più grande perché mette in discussione i confini del proprio sé. Molti rifiutano esperienze intime per la paura di perdere sé stessi. Di contro altri esorcizzano con la promiscuità. Ragazzini che vanno con tutti, maschi e femmine, per evitare differenziazione».
Tendenza recente?
«Ci sono ragazzine di 13-14 anni che usano il sesso come clava per entrare nell’adolescenza. Adescare diventa una strada per farsi valere, nonché un modo per contrapporsi alla madre».
Le madri cinquantenni del libro?
«Da una parte adolescenti nel pieno dello sviluppo, dall’altra madri in crisi per i primi segni d’invecchiamento. Ho visto figlie rivendicare: “Tu tanto non lo fai più”, sottotesto: “Sono io che detengo la femminilità in questa casa”».
Nel caso da lei descritto, quello di Ortensia e la madre, tuttavia avviene il contrario.
«Una madre a inizio menopausa che attraverso la figlia rivive la propria adolescenza fino al punto di intromettersi. Quando Ortensia lascia il ragazzo, la madre – in alleanza con lui – tenta di farli tornare insieme. Alla fine Ortensia sbotta: “La mia storia è un matrimonio di famiglia, non ne posso più!”».
Genitori che si sostituiscono.
«Con il mito del giovanilismo, spesso i genitori – più o meno consapevolmente – competono con i figli. Succede spesso che ci sia una nuova gravidanza appena il figlio entra nell’adolescenza, come a dire: “Il mio ciclo fertile non è finito”».
Lei parla anche di genitori non oppositivi, che rendono ogni cosa facile.
«Genitori spazzaneve che sgombrano la strada ai figli. Prendiamo di nuovo la sessualità che non può essere condivisa con i genitori. Quello spazio nascosto era cautelativo, permetteva che fosse il luogo della sperimentazione. Per esempio: l’adolescente sapeva che nel fine settimana i genitori partivano, quindi si organizzava, si metteva alla prova. Ora è tutto troppo semplice, e il sesso si svuota dell’aspetto personale».
Genitori che evitano ai figli le responsabilità?
«Dopo il terremoto dell’Aquila, proposi di seguire il modello Kobe dove i giovani avevano partecipato alla ricostruzione della città».
Risposta?
«“Ma poveri ragazzi, perché costringerli ad affrontare il problema?”, mi venne risposto da chi doveva decidere, che decise invece di mandare i clown nelle scuole».
Errore?
«Questo favorire il bamboleggiamento pensando che i ragazzi non siano in grado, questo creare per loro un clima artificioso».
Si prolunga il tempo di sospensione.
«Va anche detto che una volta c’era una società adulta che garantiva ai giovani l’ingresso, oggi il futuro è incerto, non offre prospettive per cui valga la pena accelerare il proprio percorso formativo. Si afferma perciò un nuovo tempo tutto al presente. Un tempo edonico, che si esaurisce nell’istante stesso in cui si soddisfano i desideri. Nel libro, con riferimento al Paradosso di Zenone, immagino la freccia ferma: suddividere il tempo in tante frecce ferme perché il tempo che passa crea ansia».
Risultato?
«Non è strano imbattersi in trentenni ancora nella fase di sperimentazione, alle prese con piccoli lavori, in attesa di costruire l’app giusta che cambierà loro la vita. La soluzione dei problemi arriverà da un evento esterno – pensano – ma poiché sono convinti di non avere sufficienti risorse personali, si mettono in una specie di attesa messianica, simile all’attesa infantile dell’intervento dei genitori».
Lei cita Erikson: «Se i genitori non sono in grado di affrontare la propria morte, il figlio non potrà entrare nella vita».
«I genitori devono essere capaci di mettersi da parte per lasciare spazio ai figli. Devono accettare che una fase della loro vita si è conclusa e ora tocca al figlio».
Quando non ne sono capaci?
«Intendiamoci, ci sono aspetti dell’adolescenza che non devono scomparire: la curiosità, l’entusiasmo, la capacità di meravigliarsi».
Ma?
«Esistono adulti che prolungano troppo».
Dunque per qualcuno l’adolescenza potrebbe non finire mai?
«Hilman diceva: “Il carattere si completa nella vecchiaia”. La vecchiaia è il momento nel quale, grazie alla distanza e a una certa saggezza, puoi ricostruire con occhi nuovi cose di te. L’eternità adolescente mi terrorizza».
Guardiamo indietro, a quando era lei padre di adolescenti, padre di colui che sarebbe diventato uno dei più grandi e immaginifici scrittori italiani, Niccolò Ammaniti.
«Freud scriveva: “Quello del genitore è un mestiere impossibile, perché non si conosce l’esito dei propri sforzi”».
Nel suo caso gli sforzi sono stati ben ripagati, di più: in base al discorso sull’immaginazione – lasciare ai figli la possibilità dell’immaginazione – possiamo dire che lei sia stato un ottimo padre.
«Mio figlio voleva diventare etologo, sognava di fare le osservazioni dei lupi in Abruzzo. Io gli dissi che capivo, ma che la biologia era principalmente molecolare. Lo spinsi così a frequentare un laboratorio».
E lui?
«Andò. Oggi mi ringrazia perché se non lo avessi mandato al laboratorio, non avrebbe mai interrotto biologia per mettersi a scrivere. Senza il laboratorio sarebbe ancora sulle montagne a osservare lupi».
Lei ci ha spiegato l’adolescenza, suo figlio ce l’ha prolungata.
«I genitori devono essere sé stessi. Tocca ai figli ribellarsi».