Corriere della Sera, 10 febbraio 2019
Russofobia, mito o realtà?
I pregiudizi nazionali esistono e ne è stata vittima, in molte circostanze, anche l’Italia. Appaiono quando due Stati bisticciano e i nazionalisti dei due campi ricorrono a vecchie storie e leggende per riscaldare le rispettive tifoserie. Bisogna combatterli, ma occorre anche cercare di comprenderne le origini. Il caso più recente è quello della russofobia a cui parecchi russi attribuiscono i sentimenti di ostilità con cui alcuni Paesi occidentali giudicano la loro patria. Hanno qualche motivo per lamentarsi? Siamo davvero, anche se in diversa misura, russofobi? Fra la Russia e l’Europa Occidentale esiste una frontiera temporale. Quando le popolazioni tataro-mongole occuparono le pianure slave dei grandi fiumi, fra il 1237 e il 1240, nei Paesi del Sacro Romano Impero le invasioni barbariche erano ormai storia passata. I conquistatori (ostrogoti, visigoti, normanni e altre tribù germaniche o scandinave), avevano assorbito l’influenza dell’Impero latino ereditandone costumi e istituzioni. Nelle pianure russe, dove sarebbero rimasti per due secoli, i mongolo-tatari dell’Orda d’Oro, invece, avevano portato con sé soltanto costumi asiatici di popolazioni nomadiche. Fu necessario attendere la fine del XIV secolo perché un esercito russo, comandato dal principe Dmitrij Donskoj, li sconfiggesse nella battaglia di Kulikovo. Nel frattempo i russi erano diventati un popolo guerriero battendosi contro polacchi, lituani, cavalieri teutonici e cavalieri portaspada. Quando i mercanti occidentali raggiunsero il Granducato di Moscovia, scoprirono un popolo indurito dalla storia, marcato dalla sua esperienza mongola e incline a una sorta di dispotismo asiatico, ma ansioso di apprendere tutto ciò che l’Occidente poteva insegnare. Non è sorprendente che, tornando in patria, quei mercanti abbiano vantato la loro superiorità diffondendo lo stereotipo di una Russia barbara e incivile dove il potere dello zar poggiava su una montagna di cadaveri. Stalin disse un giorno, forse per giustificare se stesso, che Ivan il Terribile era stato fin troppo clemente. La storia russa è una sequenza di modernizzazioni tardive e imposte dall’alto. I modelli sono sempre occidentali: Olanda e Inghilterra per Pietro il Grande; la democrazia parlamentare anglo-francese per i rivoluzionari del 1904; le due Rivoluzioni francesi (1789, 1870) e il pensiero marxista per Lenin; una prudente economia di mercato per Gorbaciov; un presidenzialismo più o meno autoritario per Eltsin e Putin. Ma la Russia che qualcuno si ostina a considerare barbara è anche lo straordinario atelier culturale dove sono nati la poesia di Pushkin, i romanzi di Tolstoj, Dostojevskij e Gogol, il teatro e i racconti di Cechov e Turgenev, la musica di Mussorskij, Chaikovskij e Shostakovic, le avanguardie del primo Novecento, i balletti di Djaghilev, l’epica testimonianza di Solzhenitsyn. Come è possibile detestare la Russia?