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 2019  febbraio 10 Domenica calendario

La donna che scuote l’Iran rompendo il divieto di canto

«La voce delle donne non dovrebbe essere sentita da uomini estranei», dichiarò l’ayatollah Ruhollah Khomeini dopo la Rivoluzione Islamica del 1979. Troppo sensuale: li avrebbe corrotti. Ma nel tempo le cose sono cambiate. L’ayatollah all’inizio bandì del tutto la musica dalle radio e dalle televisioni iraniane, paragonandola all’oppio: «Instupidisce chi la ascolta e rende inattivi e frivoli». Poi, negli anni successivi, allentò alcuni divieti, facendo eccezione per gli inni patriottici e religiosi. Dopo la sua morte, nel 1989, a Teheran sono tornati i concerti. E ora che sono passati quarant’anni, gli artisti iraniani non hanno smesso di spingere, per ampliare le libertà sociali. Però, una voce femminile che si leva da sola (non in coro) è ancora un tabù nella Repubblica Islamica, come dimostra un recente episodio. 
Lo scorso 30 gennaio, durante un concerto del popolare cantante pop Hamid Askari alla Torre Milad, nella capitale, la chitarrista Negin Parsa si è accostata al microfono. Prontamente, i tecnici lo hanno staccato. Askari allora le ha offerto il proprio, di fronte al pubblico incantato. Poi l’ha elogiata per la sua «bellissima voce». Il video ha fatto il giro della Rete, suscitando le ire dei conservatori, che hanno spinto il ministero della Cultura e dell’Orientamento Islamico a ricordare ai cittadini con un comunicato che «il canto di una solista» davanti ad un pubblico maschile è «una infrazione» della legge. Nei giorni scorsi, il ministero ha annunciato la sospensione a tempo indeterminato di Askari e della sua band. 
Dal 2013, sotto la presidenza del «moderato» Hassan Rouhani, le performance pop e rock autorizzate in Iran sono aumentate, anche se i conservatori non hanno mai mollato del tutto la presa. Nel 2014 l’attrice Ghazal Shakeri ha cantato «Back to Black» di Amy Winehouse e «The Winner Takes it All» degli Abba in un musical all’Opera di Teheran. Come ha fatto ad evadere il divieto? Innanzitutto il teatro è più di nicchia rispetto ai concerti, ma ha anche usato uno stratagemma già adottato nel 2012 dal direttore d’orchestra Hadi Rosat: farsi accompagnare (formalmente) da un coro. Cantare in coro, infatti, non è proibito alle donne. 
Secondo alcuni Rosat è stato il primo a mettere in scena una solista, Shiva Soroush, per due minuti esatti durante l’opera «Gianni Schicchi» di Giacomo Puccini: c’era di sottofondo una corista che mormorava qualcosa di inaudibile. Il pubblico si è commosso fino alle lacrime. Per di più, erano gli anni della presidenza del conservatore Mahmoud Ahmadinejad: un reporter avvertì il ministero della Cultura, i funzionari minacciarono di chiudere lo spettacolo, ma Rosat li convinse ad assistere all’opera. E vedendo la corista, decisero che non c’era niente di sovversivo. 
Altri iraniani raccontano che è stato già negli anni Novanta, sotto la presidenza del riformista Mohammad Khatami, che le soliste hanno cominciato a sfidare il divieto, soprattutto a teatro: se arrivava la censura a controllare venivano subito fatti degli «aggiustamenti» per coprire le loro voci con il coro, mentre i giornalisti stavano attenti a non rivelare troppo sugli spettacoli (e non esisteva ancora YouTube).
È più difficile osare ai concerti, rispetto al teatro, come dimostra il caso di Askari e della chitarrista Negin Parsa. È chiaro comunque che il grande dilemma del regime iraniano continua ad essere se concedere maggiori libertà sociali sia un modo – l’unico possibile – per restare al potere oppure se non sia in realtà un rischio che può accelerare la caduta del sistema.