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 2019  febbraio 10 Domenica calendario

Intervista a Jo Nesbø

Il mio primo incontro con Jo Nesbø, il creatore del personaggio di Harry Hole, protagonista di una delle serie gialle più popolari degli ultimi anni, fu in un caffè di Oslo cinque anni fa. Io ero in tour con la mia band, la Italian Surf Academy e quella fu l’occasione per parlare con questo scrittore eclettico, che è anche un musicista rock di livello, dell’idea di creare un ciclo di composizioni dedicato ad Harry Hole dal mio Acoustic Trio. Quell’idea è ora un disco, Norwegian Landscapes ed è appena uscito per l’etichetta Da Vinci Jazz. Il tour in corso in Italia (con Ken Filiano al basso, Satoshi Takeishi alle percussioni, ospiti i clarinetti di Oscar Noriega e l’elettronica di Shoko Nagai dal vivo e DJ Olive su disco) è l’occasione per ritornare con Nesbø sul suo poliziotto, sul suono che fanno i personaggi, sul suo rapporto con la musica rock. Solo conoscendo questo lato del suo passato si chiariscono le digressioni musicali dei suoi romanzi. Analisi precisissime, degne dell’Adrian Leverkühn protagonista del Doctor Faustus di Thomas Mann.
Iniziamo dalla musica. Se guarda indietro, a quando era ragazzo, che filo lega la scrittura alla sua storia di musicista?
«La musica è stata molto importante per me. Ho iniziato come ascoltatore guidato da mio fratello, che ha cinque anni più di me e mi faceva ascoltare i suoi dischi. Sia lui che tutti i miei amici suonavano in una band, ma io avevo altri interessi, e mi misi a studiare la chitarra seriamente solo sui vent’anni. A quel punto ero già uno scrittore in erba, e la chitarra era più un mezzo per scrivere canzoni pop e rock che uno strumento sul quale raggiungere il virtuosismo necessario per esprimermi come musicista. Tuttavia la nostra band, i Di Derre, suonava nei club e faceva piccoli tour, e dopo qualche anno ci fu offerto un contratto discografico. Con il nostro secondo disco avemmo un certo successo, direi che ci trasformammo in musicisti a tempo pieno. Questa esperienza si concluse intorno al 1998, quando ormai io mi stavo affermando come scrittore: la prima edizione de Il Pipistrello è del 1997. Abbiamo fatto qualche altro tour per puro piacere e tuttora suoniamo».
Quindi anche la nascita del tuo poliziotto Harry Hole è legata al piacere di comporre canzoni?
«Ad Harry ho pensato per la prima volta su un aereo per l’Australia nel 1997. A Sidney, la notte stessa del mio arrivo, mi ritrovai seduto con la macchina da scrivere in una camera d’albergo. Avevo diverse idee per il personaggio, ma in realtà lui scaturì come per magia dal dialogo che stavo scrivendo. È più o meno lo stesso processo con cui affronto la scrittura dei testi per le canzoni: comincio a suonare (o a scrivere) e mi ritrovo in un certo stato emotivo e creativo. A quel punto, se ne vale la pena, proseguo per vedere dove andrò a finire. A volte mi ritrovo in un vicolo cieco, altre volte di fronte a un intero paesaggio».
La musica di "Norwegian Landscapes", più che limitarsi a descrivere, ha l’ambizione di rendere udibile una sorta di flusso sonoro interiore dei personaggi. Un po’ come avviene nei suoi romanzi per i brani in corsivo. Penso ad esempio a " Lo Spettro". Cos’ha provato ascoltandola?
«È eccitante vedere come le mie storie, con il loro sapore e la loro atmosfera, sono state ritratte da un altro artista. Con Norwegian Landscapes ho dovuto ricominciare dall’inizio, cancellando ciò che sento come il suono dell’universo di Hole. Così mi sono trovato di fronte al tuo Harry, non più al mio. Ed è stato naturale diventare ascoltatore. Un viaggio splendido».
Mettendo in musica la sua scrittura ho pensato alla Oslo dei suoi romanzi. C’è una certa crudezza, come in uno specchio deformante della supposta perfezione di una società ricca e funzionale. Cosa c’è di vero al di là della fiction?
«Una comunità sociale presenta diversi livelli di realtà e verità, intersecati in modo tale che ogni descrizione sia una semplificazione. Questo vale anche per Oslo. Racconto la mia città non tanto per descrivere Oslo in particolare, ma per creare storie su dilemmi di ordine morale e sulla natura del libero arbitrio, se ne abbiamo alcuno. In questo senso, la saga di Harry Hole potrebbe essere ambientata ovunque. Ma c’è qualcosa nell’utilizzo di luoghi e personaggi reali che sarebbe difficile ricreare senza privare il racconto della propria organicità ed autenticità».
Un brano del disco si intitola "Marcia del Potere Marcio". Ispirato ad uno dei suoi racconti, mi fa pensare alle politiche dell’Europa, e alle vergogne italiane sull’immigrazione. Cosa pensa di quello che accade?
«È una questione complessa: per un verso ci si sente schiacciati dall’enormità del dilemma sia morale che pratico, dall’altro siamo obbligati, come cittadini, ad informarci e a formarci un’opinione. Per dare una risposta breve alla domanda, credo che la solidarietà non debba avere i confini che invece delimitano le nostre nazioni. E sono preoccupato dalla diffusa tendenza a considerare in primo luogo gli interessi di un singolo Paese, soprattutto se prospero come quelli dell’Occidente sviluppato».
Possiamo sperare di averla prima o poi sul palco con noi?
«Lo spero davvero!».