la Repubblica, 10 febbraio 2019
Farage fonda un nuovo partito
Se non fosse per lui, il Regno Unito non avrebbe avuto un referendum sull’Unione Europea e di conseguenza non ci sarebbe la Brexit. Ritiratosi da leader dell’Ukip e poi anche da membro del partito, adesso Nigel Farage torna in campo, alla testa di una nuova formazione politica, il cui nome dice tutto: Brexit Party. Con il quale promette di ricandidarsi alle elezioni europee di maggio per continuare la battaglia contro l’Europa unita.
La sua motivazione è semplice: Theresa May sta tradendo il risultato del referendum. Secondo Farage la premier conservatrice, avallata dall’opposizione laburista, si prepara a rinviare l’uscita dalla Ue, originariamente prevista per il prossimo 29 marzo, con la prospettiva di approvare una Brexit molto soft, che continuerebbe a tenere la Gran Bretagna legata a Bruxelles, o addirittura di cancellarla con un secondo referendum. «In tal caso il nostro paese dovrà partecipare alle europee», avverte, «e sarò io con il mio nuovo partito a vincerle».
Buffonate? David Cameron lo definì” un clown”, ma se ne pentì amaramente: perché Farage, vincendo a sorpresa le elezioni europee del 2014, costrinse l’allora primo ministro a indire il referendum sull’appartenenza alla Ue, per timore di perdere voti a vantaggio dello United Kingdom Independence Party, il partito da lui guidato. Mossa che permise a Cameron di prevalere nelle elezioni britanniche dell’anno seguente, ma poi il referendum ha dovuto farlo e lo ha perso, insieme al posto a Downing Street. Il nuovo partito ha un obiettivo ancora più chiaro: se l’Ukip mirava a ottenere una generica” indipendenza” dalla Ue, il Brexit Party vuole ottenere, beh, è chiaro, la Brexit, anzi una Brexit hard, senza compromessi, meglio ancora se con il” no deal”, ovvero un divorzio senza accordi, la prospettiva che spaventa tutti ma non Farage.
Folle o folletto della politica, Farage si è dimesso nel dicembre scorso dall’Ukip accusandolo di essersi spostato troppo a destra dopo l’alleanza con Tommy Robinson, un ex- leader dell’English Defence League, gruppo anti-musulmano estremista ripetutamente protagonista di xenofobia e violenze. I maligni commentano che si è stancato presto della vita privata a cui diceva di aspirare dopo la vittoria nel referendum, come dimostra la separazione nel 2017 dalla seconda moglie ( tedesca, la prova, amava ripetere, che il suo nemico «non sono gli europei, è la Ue» ). Qualcuno ipotizza che gli dispiace separarsi, viceversa, dal lauto stipendio di parlamentare europeo, a cui dovrà rinunciare se la Brexit si realizza prima delle elezioni di maggio.
Di certo c’è che il 55enne ex- broker non va sottovalutato. Con la sua predilezione per il pub e il suo carisma da tribuno di piazza ha fatto breccia nel cuore dell’uomo della strada. Le tivù fanno a gara ad invitarlo ai talk show perché ha sempre la battuta pronta. Infine dimostra un’innegabile tenacia: è sopravvissuto a un incidente aereo e al cancro. Non per nulla l’ondata populista che continua ad aggirarsi per il mondo è partita da lui, tanto che Donald Trump ne ha fatto un interlocutore privilegiato, suggerendo perfino alla premier May di nominarlo ambasciatore a Washington. Di simpatizzanti ne ha pure da questa parte dell’Atlantico, inclusi Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle con cui si era alleato al parlamento di Strasburgo. Ora tocca di vedere anche questo: il ritorno di Nigel Farage con un” partito della Brexit”. Ma non l’avevamo già visto, in questo ruolo, tre anni fa? Il tormentone dell’uscita della Gran Bretagna dall’Europa somiglia sempre di più al film Ricomincio da capo.