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 2019  febbraio 10 Domenica calendario

Intervista a Yervant Gianikian

Il cineasta d’avanguardia Yervant Gianikian è nato a Merano, in Alto Adige, nel 1942. Suo padre era armeno, un sopravvissuto al genocidio, e sua madre metà austriaca e metà italiana. Gianikian ha frequentato il Collegio armeno a Venezia, dove poi ha studiato Architettura. Nel 1974 sulle Dolomiti ha conosciuto Angela Ricci Lucchi (1942-2018), che sarebbe diventata sua moglie e collaboratrice artistica: insieme si sono stabiliti a Milano. Il suo maestro era Oskar Kokoschka, con cui aveva studiato a Salisburgo negli Anni 60.
Come ha iniziato a lavorare nel cinema?
«Con i “film profumati” sulla nostra vasta collezione di giocattoli in legno dipinto. Abbiamo realizzato molti film con questi oggetti accompagnati da profumi in sala e li abbiamo presentati alla Biennale di Venezia nel 1976. Nello stesso anno abbiamo anche realizzato Cesare Lombroso - Sull’odore del garofano, un film sul criminologo che studiò la sensibilità olfattiva dei criminali testando le loro reazioni all’essenza di garofano. Il film veniva proiettato accompagnato dal profumo di questi fiori».
E poi cosa avete fatto?
«Con i “film profumati” siamo andati in tour negli Usa e nel 1981 siamo tornati a Milano: in un vecchio laboratorio cinematografico abbiamo trovato la collezione d’archivio di Luca Comerio, il cineasta che aveva filmato i Savoia e la Prima guerra mondiale. Scoprimmo che il nitrato era infiammabile e pericoloso, ed era impossibile realizzare delle stampe poiché i film erano in via di disfacimento. Costruimmo una stampante ottica, “la nostra camera analitica”, con la quale rifilmammo tutto quello che ci interessava in 16 millimetri: quasi 500.000 singoli scatti, come un’animazione. Ci sono voluti 5 anni. Il film, Dal Polo all’Equatore, ha come tema la violenza». 
Nel 1986 ha girato Return to Khodorciur. Di cosa parla?
«Di mio padre, che era armeno e nel ’76 tornò a vedere il suo villaggio natale, Khodorciur, Turchia Orientale, che era stato devastato. Aveva camminato per quasi 100 km per arrivarci. Girò un piccolo film in Super 8 sulla sua casa distrutta e sul cimitero dov’è sepolta sua madre. Tutta la famiglia fu uccisa nel genocidio, ma sua madre era morta prima».
Con sua moglie è autore anche di Journey to Russia (1989-2017).
«Sono 400 minuti sulla sopravvivenza dell’Avanguardia russa degli Anni 20, 30 e 40».
Nel 2001 ha fatto Images d’Orient: Tourisme vandale.
«Abbiamo portato questo film in India, alla Tate e al Moma. È un film francese sul viaggio di un gruppo di italiani a Calcutta nel 1926. Era nello stesso laboratorio di Milano dove abbiamo trovato gli altri lavori di Comario. Mentre lo realizzavamo, fotogramma dopo fotogramma, notai che la donna più importante assomigliava a Mussolini: era la figlia Edda».
Ha mai parlato con Edda Ciano?
«No. La incontrai nel 1983: eravamo a Predappio durante la cerimonia per il centenario di Mussolini e la fotografai. In un bar chiesi un bicchiere di vino rosso ma mi dissero: “Qui si beve solo vino nero”».
Qual è l’ultimo film che ha fatto con sua moglie Angela?
«Journey to Russia. Nel 2018 abbiamo presentato I diari di Angela alla Biennale di Venezia. È un film lunghissimo, due ore e 5 minuti. Angela teneva sempre un diario e io filmavo tutto. Ora che lei non c’è più sto cercando di portarlo ovunque. E sto lavorando a un film sulla Repubblica di Vichy e sui treni che trasportavano gli ebrei ad Auschwitz».
Il 14 gennaio I diari di Angelaè stato proiettato a Milano.
«Elisabetta Sgarbi ha riaperto la Milanesiana per proporlo al Cinema Mexico. Angela aveva segretamente dedicato il rotolo di dieci metri sulla sua vita a Umberto Eco e Sgarbi in occasione della nascita della casa editrice La nave di Teseo»
Il fascismo la preoccupa?
«Tutto il nostro lavoro è sulla violenza del ’900. Abbiamo fatto un film, Pays Barbare, sulla guerra in Etiopia, il razzismo, il fascismo. Inizia da piazzale Loreto con le immagini di Mussolini. I materiali originali furono sequestrati e li abbiamo trovati in una macchina fotografica. Non è tagliato, è come se fosse stato girato sul momento. Racconta come abbiamo trattato le donne dell’Africa Orientale, come si sono comportati soldati e lavoratori italiani».
Pensa che il fascismo stia tornando?
«Non è finito. È rimasto sotto traccia per anni e ora sta riemergendo con forza. Pays Barbare si riferisce alle persone che sono morte nel 2012 e nel 2013 nel Mediterraneo. È un film sul passato che parla al presente. Abbiamo una missione da continuare».
Come si considera?
«Un artista con la missione del ricordo della violenza. I giovani non sanno chi fosse Mussolini. Sto usando vecchio materiale per mostrare cosa succede oggi: guardando al passato scopriamo ideologie e comportamenti nascosti».
Dopo 43 anni di collaborazione con Angela è rimasto solo. Come si sente?
«Ho la sensazione di continuare la nostra missione attraverso i suoi scritti e i suoi disegni. Avevamo molti altri progetti e ho giurato di portarli avanti». 
(traduzione di Carla Reschia)