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 2019  febbraio 10 Domenica calendario

La Cina stringe l’assedio attorno all’India

Con pazienza e perseveranza la Cina continua a tessere la sua collana di perle attorno all’India. Più che una collana, sembra un cappio attorcigliato da una strategia politica e militare mirata a contenere il sub-continente. Pechino piazza le sue pedine per un controllo sempre più stretto in una zona che parte dal Sudest asiatico e termina in Africa, passando per il Pakistan a ovest, il Bangladesh a est, le nazioni dell’Himalaya a nord e, a sud, Maldive, Sri Lanka, Seychelles e Mauritius.
Le alleanze
Tira di nuovo un brutto vento tra i picchi ghiacciati delle montagne più alte del mondo. L’ambasciatore cinese a New Delhi è andato in visita nel Bhutan proprio questa settimana, mettendo in agitazione gli indiani. Difatti, meno di due anni fa a Doklam ci fu un mezzogiorno di fuoco tra l’esercito popolare cinese e i militari indiani ai confini del Sikkim. La questione pareva risolta, ma oggi le foto satellitari mostrano che cresce lo spiegamento di caccia da guerra cinesi, nei due aeroporti a nord del Bhutan, e di quelli indiani nei due aeroporti a sud della frontiera. La Cina ha poi sfoggiato il suo drone armato da alta quota, il GJ-2, facendolo volare sull’Everest. Individua e uccide terroristi uiguri, ha detto Pechino. Ma stabilisce anche controllo di intelligence e una superiorità nelle battaglie d’alta quota che preoccupano New Delhi. Tant’è che il governo Modi ha appena annunciato, in risposta, la costruzione di 44 strade strategiche lungo il confine di 2100 km con la Cina.
In Nepal, l’alleanza di governo comunista vede con favore gli accordi appena firmati con Pechino su carburante e trasporti, in risposta a un’eccessiva dipendenza dagli aiuti indiani. Nel Tibet occupato, la Cina costruisce dighe che rallentano il flusso del fiume Brahmaputra verso l’Assam indiano. E allora New Delhi firma un nuovo progetto ferroviario per consolidare l’apertura verso il Sudest asiatico attraverso il Bangladesh. E l’Afghanistan resta il secondo beneficiario di aiuti indiani per stabilire un passaggio a nord del Pakistan filo-cinese, aggirando il nemico, e raggiungere il porto iraniano di Chabahar. 
I Paesi più piccoli approfittando di questo gioco di scacchi tra colossi. Maldive e Sri Lanka sono l’esempio perfetto per capire come funziona questo “smart game”: si ottiene assistenza militare ed economica dalla Cina, magari all’interno dell’iniziativa cinese Belt and Road che mira a finanziare progetti di infrastrutture e sviluppo, e poi l’India è costretta ad alzare la posta e offrire di più. Come ha dichiarato il ministro per i progetti speciali dello Sri Lanka: «L’India è nostro fratello, ma la Cina è il nostro amico». 
Il prezzo politico di questo gioco è alto, come s’è visto nel mezzo colpo di stato un anno fa alle Maldive, ora con governo pro-India, e nel fallito colpo di stato autunnale nello Sri Lanka, dove a dicembre è tornato al potere, per ora, un premier pro-Occidente.
Ma l’Oceano Indiano, secondo i più pessimisti, rischia di divenire sempre più un Oceano Cinese: protetto a ovest dalla base militare cinese a Djibouti, passando per la base prevista in Pakistan e arrivando nei porti commerciali di Sri Lanka, Maldive, Bangladesh e Birmania. 
La risposta di Delhi
Cosa farà l’India? Si appoggerà sempre più al Quadrilatero voluto da Trump, con Giappone e Australia? Opterà per un ritorno all’antico non-allineamento di Nehru, mettendosi alla guida dei Paesi più piccoli per salvarsi da uno scontro Cina-Usa? 
Per ora Delhi allunga le mire verso l’Africa, aumentando gli aiuti economici a Seychelles e Mauritius. Nella gara per il mare nostrum asiatico al momento la lotta è impari, però gli scenari di un’improbabile, ma non impensabile, guerra navale sino-indiana non sono netti. Vero, la Cina spende tre volte tanto l’India in armamenti e difesa, ha 73 sottomarini da guerra contro i 17 indiani, 92 fregate e corvette, contro le 32 indiane. Se scoppiasse una guerra in questi mari, sarebbe Godzilla contro Bambi. Ma il Bambi indiano è una potenza nucleare che ha dalla sua la vicinanza geografica del possibile teatro di battaglia, l’appoggio di partner potenti e una marina protetta da un’aviazione di piloti esperti. 
«Solo i numeri possono annientare» diceva l’ammirevole ammiraglio Horatio Nelson. Ma in questo punto caldo dell’Asia, la partita è ancora aperta.