Il Sole 24 Ore, 10 febbraio 2019
In alto i calici, ma giù la temperatura del vino!
La disattenzione alla temperatura di servizio delle pietanze basterebbe da sola a mettere in evidenza il carattere approssimativo, anzi poco affidabile, di varie rubriche televisive dedicate alla cucina e alla tavola: si ha l’impressione, tanto nelle gare fra ristoranti quanto nelle competizioni tra cuochi, che il problema non esista, giacché, ricordavo, tutte le pietanze vengono impiattate in piatti freddi (mai in cucina uno scaldapiatti né in tavola uno scaldavivande); da parte loro i giudici di gara non pongono alcuna attenzione, per esempio, alla temperatura delle salse, anzi lasciano che si raffreddino, mentre indugiano a parlarne (le tagliatelle al ragù di carne o una pizzaiola diventano immangiabili se fredde!).
Vero è che un grande chef, uno dei rari grandi, recentemente scomparso, Gualtiero Marchesi, pur dandomi pienamente ragione sulla necessità dei piatti caldi, mi faceva osservare che non si riusciranno mai ad avere, perché se il cameriere distratto servisse in piatti freddi non può essere ripreso protetto anche in questo dai sindacati. Sarebbe interessante un esame comparato nella politica dei sindacati in cucina, secondo i diversi paesi: perché, per esempio, in Francia anche nel più modesto bistrot il cameriere servirà sempre la pietanza in piatto caldo e, se si trattasse di un pot-au-feu, su uno scaldavivande, altrimenti la portata sarebbe respinta, subito sostituita con mille scuse e il cameriere rischierebbe il licenziamento.
La stessa disattenzione si presenta relativamente alla temperatura di servizio dei vini e più in generale alla cantina dei ristoranti in gara: sono elementi che dovrebbero trovare uno spazio adeguato nelle voci indicate per determinare la valutazione, mentre sono del tutto assenti. Non parliamo qui dell’accoppiamento vino-cibo, sempre largamente arbitrario, tanto che il ricordato Gualtiero Marchesi riteneva perfetto un pranzo a sola acqua e una volta a Parigi offrì una grande cena senza vini, che servì poi a pranzo finito, presentando i grandi Château e i Romanée-Conti. Parliamo invece del servizio dei vini a tavola: nelle gare televisive, del vino non si parla (anche se si beve), né mai si chiede una carta dei vini. Si conferma sempre una grande disattenzione per la temperatura dei vini (soprattutto dei rossi, serviti sempre troppo caldi) tipicamente italiana, visto che non è mai controllata non solo nelle varie trasmissioni, ma anche nelle più solenni degustazioni professionali. Eppure l’importanza del tema è tale che il Dizionario Enciclopedico Italiano (Treccani) ha ritenuto opportuno affidare a un noto enologo una voce vino con l’indicazione delle corrette temperature di servizio, in linea con gli orientamenti dei sommeliers francesi, che qui riportiamo con qualche correzione:
Grandi vini rossi di annata: 15-18 gradi; vini rossi di qualità: 14-16 gradi; vini rossi giovani o rosati: 11-12 gradi; grandi vini bianchi secchi di annata: 12-14 gradi; vini bianchi secchi leggeri: 10-12 gradi; champagnes, spumanti: 6-7 gradi; vini liquorosi: 8-9 gradi, se invecchiati 14-15 gradi.
Peraltro non è difficile assicurare e controllare la temperatura di servizio dei vini e proprio per questo sarebbe opportuno che la televisione tentasse di “educare” gli ascoltatori: se non si ha una cantina alla giusta temperatura (magari perché vicina a impianti di riscaldamento), esistono le cantinette a temperatura controllata e anche differenziata; al momento del servizio ci si abitui all’uso del termometro da vino. Per creare un costume, le gare televisive, così come le guide, dovrebbero sempre dare un giudizio sulle modalità termiche del servizio delle pietanze e dei vini. Ovviamente tutto questo può avere qualche valore se le trasmissioni televisive volessero diffondere una cultura del cibo e del vino in un paese come il nostro, ricco di tante eccellenze in questo settore come documenta, mi sembra correttamente, la trasmissione «I Signori del vino», piacevole e ben informata.