Il Sole 24 Ore, 10 febbraio 2019
Nba oltre i 7 miliardi di dollari
La Nba si ferma per il consueto appuntamento con l’All Star Game, l’evento in programma allo Spectum Center di Charlotte nella prossima settimana, con i principali protagonisti del torneo di basket americano coinvolti in un weekend all’insegna dello spettacolo.
Tre giorni in cui la regular season prende una pausa e le trenta squadre cercheranno di organizzare al meglio i propri roster, con il mercato appena chiuso (almeno per quanto riguarda gli scambi) e con le ultime partite a disposizione per centrare un posto in zona playoff.
La All Star Week, oltre che una vetrina per la Nba in sé, è però un’occasione per la città che ospita l’evento. Uno studio di Micronomics dello scorso anno ha stimato infatti in circa 120 milioni di dollari l’indotto generato dall’organizzazione dell’All Star Game a Los Angeles nella passata stagione. Una cifra che per la maggior parte include le spese legate ad un maggiore afflusso di turisti e appassionati nel periodo preso in esame, mentre poco più del 20% di questo giro d’affari sarebbe legato al business generato dall’evento sportivo in sé. Chiaramente la location influisce e non poco: sempre dallo stesso studio, infatti, si evince come negli ultimi sei anni le uniche edizioni ad aver avuto un impatto economico superiore ai 100 milioni di dollari siano state quelle tenute in grandi piazze quali Houston (nel 2013, una stima pari a 100 milioni) e New York (nel 2015, addirittura il doppio) oltre a quella dello scorso anno. New Orleans nel 2014 ha superato pure questa soglia, ma facendo una media con l’impatto avuto dall’All Star Game 2017 (organizzato sempre nella principale città della Louisiana) si aggira attorno ai 90 milioni di dollari. Le previsioni per Charlotte in occasione dell’evento che si terrà dal 15 al 17 febbraio non sono distanti da quelle delle scorse edizioni, con una stima che si attesta sui 100 milioni di dollari di indotto per l’intero periodo.
Un affare per le città ospitanti, ma anche per la Nba stessa, che negli ultimi anni ha alzato progressivamente l’asticella dei ricavi. Al termine della stagione 2017/18, i ricavi collettivi che fanno da base per stabilire il salary cap annuale (i cosiddetti basketball related income) hanno raggiunto la soglia dei 7,15 miliardi di dollari, con un’eccedenza di circa 1,8 miliardi rispetto alle previsioni della stessa lega, che fissa il tetto salariale facendo fede alle proprie stime.
Quelle per la stagione in corso erano inizialmente stimati in 5,56 miliardi dollari, cifra che ha mantenuto sostanzialmente invariato il limite di spese per gli stipendi dei giocatori di ognuna delle trenta franchigie, ma la previsione è già stata ritoccata al rialzo. Il monte ricavi complessivo dovrebbe aggirarsi oltre i sette miliardi, come lo scorso anno, toccando il record di 7,3 miliardi di dollari.
Un ruolo chiave nel risultato positivo ottenuto nella passata stagione l’hanno avuto gli sponsor di maglia, introdotti per la prima volta nel 2017 e capaci di generare un giro d’affari che si aggira attorno ai 125 milioni di dollari annui solamente prendendo in considerazione il contratto firmato con Nike per otto stagioni. Basta questo per portare i ricavi da sponsorizzazioni sulla soglia del miliardo (nel 2017 la NBA otteneva complessivamente 861 milioni dagli sponsor), superandola con gli accordi siglati dalle singole squadre.
Se le casse delle trenta società sono più ricche che mai, anche le spese toccano vette mai viste prima. In totale, per la stagione in corso, la massa salariale dei giocatori ha un peso pari a 3,6 miliardi di dollari, senza considerare la luxury tax per chi sfora il tetto salariale.
In cima a questa classifica troviamo i Miami Heat, con un payroll di oltre 158 milioni, seguiti dai campioni in carica di Golden State, i cui stipendi sono pari a 145,7 milioni. Saranno proprio loro a dover affrontare la situazione più spinosa in termini di rinnovi contrattuali in estate: con Stephen Curry blindato fino al 2022 (dalla prossima stagione prenderà 40 milioni) e con Klay Thompson in scadenza, tutto ruota attorno a Kevin Durant. L’altra stella dei Warriors ha un’opzione da 31,5 milioni che difficilmente accetterà, sondando il mercato dei free agent. L’altra stella dei Warriors ha un’opzione da 31,5 milioni che difficilmente accetterà, sondando il mercato dei free agent alla ricerca della migliore offerta possibile. Per Golden State, dunque, si prospetta un’asta durissima, viste le pretendenti in corsa.
Intanto, si è appena chiuso il mercato. Tra le squadre più attive c’è stata Dallas che ha costituito la coppia di talenti “europei” il lettone Kristaps Porzingis e lo sloveno Luka Donci, e Philadelphia che in un grande affare con i Clippers a detta degli osservatori a composto il miglior quintetto più forte della Eastern Conference, con Tobias Harris (sta vivendo la sua miglior stagione) che si aggiunge a Joel Embiid, Ben Simmons, Jimmy Butler e JJ Redick.
I Clippers si sono mossi con l’obiettivo di avere spazio salalriale in estate per almeno free agent di prima fascia e hanno rivoluzionato il roster (via Marcin Gortat, Milos Teodosic e Avery Bradley, finito a Memphis in cambio di Garrett Temple e JaMychal Green). Alla fine Danilo Gallinari è rimasto (ha un contratto da 22,1 milioni per la stagione 2019/20), ma l’addio a Los Angeles pare solo rimandato alla prossima sessione.