Libero, 10 febbraio 2019
Ogni giorno in Italia chiudono 34 ristoranti
Siamo tutti Masterchef. Ma i ristoranti chiudono. A sostenere l’ondata di aperture di nuovi locali dediti alla somministrazione di cibo sono numerosi fattori. Da un lato la cuococrazia televisiva dilagante che ha saturato i palinsesti di gare attorno ai fornelli, show cooking, racconti di cucina. E poi l’effetto Expo, almeno su Milano e parte della Lombardia, con un interesse inatteso per la cucina etnica che si è aggiunta a quella tradizionale del Belpaese, con infinite contaminazioni. I numeri di questo vero e proprio boom culinario escono dai numerosi studi che riguardano il settore. Ultimo in ordine di tempo quello anticipato in settimana e parte del “Rapporto Ristoratore Top 2019”, che verrà presentato ufficialmente il prossimo 12 marzo in occasione del primo Forum della ristorazione italiana al Palacongressi di Rimini. Lo scorso anno si è registrato il record storico di spesa nei nostri ristoranti: 85 miliardi di euro. Ma c’è stato anche il peggior saldo negativo dell’ultimo decennio tra le attività aperte e quelle cessate. Complessivamente la spesa alimentare fuori casa, quella sostenuta nei locali, si tratti di ristoranti, pizzerie, tavole calde, o a base di cibi ordinati con il food delivery, ha raggiunto il 35% sul totale dei consumi alimentari degli italiani. Oltre due italiani su dieci, e questo è un altro record, ha pranzato o cenato fuori casa almeno una volta la settimana. Una tendenza, questa, che riguarda in prevalenza i giovani sotto i 35 anni.
SARACINESCHE GIÙ
Fin qui i dati positivi. Ma a preoccupare è la elevata mortalità dei locali. L’anno scorso, infatti, a fronte di 13.629 ristoranti aperti, ben 26.073 hanno chiuso, con un saldo negativo che rappresenta il peggiore di sempre: -12.444 attività, quasi il doppio rispetto al saldo negativo del 2008 che si era fermato a -6.796. Ogni giorno che passa ci sono 34 ristoranti in meno. La differenza fra i 37 che tirano su la saracinesca per la prima volta e i 71 che la abbassano per sempre. «L’incrocio di questi due record fa del 2018 un anno buio per la ristorazione italiana – ha spiegato Lorenzo Ferrari, amministratore delegato di “Ristoratore Top” – perché indica quanto la spesa per mangiare fuori casa sia distribuita su un numero sempre minore di locali e quanto molti ristoratori non siano stati in grado di leggere e interpretare i recenti cambiamenti economico-sociali e tecnologici, così come gli stravolgimenti nelle abitudini alimentari, soprattutto dei più giovani».
TREND IN AUMENTO
Ma la tendenza di fondo è comunque negativa. Il saldo, negli ultimi 10 anni, è di 100mila locali in meno. E con l’eccezione del 2009, quando i locali chiusi superarono quelli aperti di appena 4mila unità, con una flessione rispetto al saldo di -6.794 del 2008, il trend è sempre stato in aumento. Una crisi silenziosa, con chiusure molto frammentate, che non fanno rumore, a differenza di quelle che interessano i grandi stabilimenti. Secondo uno studio presentato dalla Federazione pubblici esercizi (Fipe) su 10 attività che aprono, quasi tre hanno buone probabilità di essere chiuse entro i primi due anni di vita. I motivi sono molteplici. Troppa burocrazia, un carico fiscale eccessivo, una struttura dei costi difficile da tenere sotto controllo, soprattutto se si ha poca esperienza. E proprio la mancanza di pratica sarebbe uno dei fattori che spiegano l’altissimo turnover del settore. Uno studio del professor Luca Pellegrini, docente allo Iulm di Milano e presidente di Tradelab, fornisce una chiave di lettura molto interessante per il fenomeno. «La ristorazione attira i giovani perché è più creativa del commercio ma il turnover è velocissimo», raccontava Pellegrini a Dario Di Vico sul Corsera. Molti fra i giovani neoimprenditori scoprono tardi di essersi infilati in un vicolo cieco fatto di scadenze difficili da onorare, fatture dei fornitori che s’accumulano, tasse e tariffe in quantità. Una ragnatela di costi imprevisti e largamente imprevedibili per un neofita del business che ruota attorno ai fornelli. Senza dimenticare le spese per il personale, quelle per le attrezzature, gli affitti e le pretese del socio più esoso di tutti gli imprenditori: il Fisco. Scrivere il business plan per un nuovo ristorante è un’operazione maledettamente complessa. In molti, troppi, se ne accorgono tardi.