Carlo Nordio per “il Messaggero” , 9 febbraio 2019
L’ALBA DEL NAZISMO? LA CONFERENZA DI PACE DI VERSAILLES - IL 18 GENNAIO 1919 FRANCIA, GRAN BRETAGNA, ITALIA E STATI UNITI DOVEVANO REGOLARE LE SORTI DELL’EUROPA MA LO SMEMBRAMENTO DEGLI IMPERI CENTRALI FU UN CAPOLAVORO DI MIOPIA E DI EGOISMO CHE TUTTI, O QUASI TUTTI, CAPIRONO CHE SI SAREBBE CONVERTITO IN CATASTROFE - CON LA GERMANIA, I VINCITORI FURONO SPIETATI MA NON PREVIDERO CHE… -
Cento anni fa, il 18 Gennaio 1919, si apriva a Versailles la conferenza che poneva fine al primo conflitto mondiale. Fu un evento pari alla pace di Westfalia, che tre secoli prima, chiudendo la guerra dei trent' anni, aveva disegnato la mappa della nuova Europa. Ma, a differenza di questa, fu soltanto una tregua, che costituì il fondamento dell' avventura hitleriana, dell' Olocausto, e del più grande sterminio della Storia. Le quattro grandi potenze vincitrici Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti dovevano regolare le sorti di tre imperi dissoltisi con l' armistizio dell' anno precedente.
L'impero ottomano lasciava immensi spazi vuoti nel medio oriente, che furono ridisegnati a tavolino con squadra e compasso, creando divisioni di cui oggi vediamo le conseguenze nelle lotte tra le varie fazioni arabe, ma che per mezzo secolo rimasero silenti. Al contrario, lo smembramento degli imperi centrali fu un capolavoro di miopia e di egoismo che tutti, o quasi tutti, capirono che si sarebbe convertito in catastrofe.
La Francia non era soltanto il paese ospitante; era stata la prima ad affrontare e fermare l'offensiva tedesca nel 1914; tra gli alleati, aveva subito il numero maggiore di perdite, e il Maresciallo Foch, aveva alla fine assunto il comando supremo. Il suo rappresentante, George Clemenceau, fu di diritto e di fatto il direttore di quel composito concerto. Clemenceau era un notabile della Vandea, una terra ingrata che nutriva con parsimonia individui di carattere duro quanto le sue rocce, e che li rendeva impenetrabili a ogni benevolenza compromissoria. I suoi abitanti non conoscevano mezze misure.
I più erano cattolici reazionari, che a suo tempo avevano dato filo da torcere ai rivoluzionari e a Napoleone; all'opposto, i pochi laici erano ferocemente atei e anticlericali. Clemenceau era uno di questi. Ultraradicale a trent'anni, nazionalista a ottanta, amava dire che chi non è socialista da giovane è senza cuore, e chi lo è da vecchio è senza cervello.
Aveva diretto la seconda parte della guerra con pugno di ferro in guanto di piombo. A Versailles, confermò con il suo vigore e la sua aggressività il soprannome di Tigre. Amico fraterno di Monet, amava le arti e gli animali, ma disprezzava le debolezze. Era un genio, ma era accecato dall' odio per i vinti.
REALISMO La Gran Bretagna era rappresentata da Lloyd George, preoccupato essenzialmente di mantenere quell' equilibrio continentale che il suo Paese, governando i mari, intendeva garantire sulla terra. Questo consolidato realismo, unito a un carattere tendenzialmente mite, lo induceva a evitare un eccessivo indebolimento della Germania, ma alla fine dovette cedere alle pressioni francesi.
Quanto agli Usa, il suo presidente, Wilson, innamorato dei suoi quattordici punti sull' autodeterminazione dei popoli, non si accorse che l' esasperazione di questo principio conduceva alle conseguenze contrarie, con vaste masse di allogeni spostate come gruppi di statuine. Infine c' era l' Italia, con il premier Orlando che mirava a ottenere Fiume, e il ministro Sonnino, che voleva la Dalmazia. Le pretesero entrambe, e non ne ottennero nessuna.
Con la Germania, i vincitori furono spietati. Questo paese aveva grandi responsabilità nello scoppio del conflitto, ma era una responsabilità largamente condivisa con gli altri. Inoltre il suo esercito era quasi intatto, e al momento della cessazione delle ostilità occupava ancora parte della Francia. I tedeschi credettero in un armistizio, ed invece subirono un diktat inflessibili, senza nemmeno partecipare alle trattative. Dovevano cedere, oltre all' Alsazia- Lorena, altri territori, perdere milioni di abitanti, pagare risarcimenti colossali, e dare in pegno intere regioni con le industrie relative. Alla fine gli Alleati concessero qualche dilazione nei risarcimenti: umiliarono la Germania abbastanza per inferocirla, ma non abbastanza per neutralizzarla.
NOVELLI L'Impero asburgico fu smembrato, e gli stati novelli litigarono subito tra loro. La Jugoslavia pretese persino Gorizia e Trieste. Orlando, che continuava a piangere per Fiume, aveva sdegnosamente abbandonato la conferenza. Poichè nessuno l' aveva richiamato, se ne ritornò alla chetichella, rassicurato da Wilson sulle pretese Jugoslave. Ma il ruvido Clemenceau, prostatico, ringhiò perfidamente che avrebbe voluto orinare con la stessa facilità con cui il nostro primo ministro lacrimava.
La Pace di Versailles fu firmata nel Gennaio 1920, e scontentò tutti; la Francia lamentò l'attenuazione delle sanzioni agli sconfitti, e l'Italia, delusa per la mancata concessione della Dalmazia e di Fiume, parlò subito di vittoria tradita. La Germania annichilita e fremente, pensò subito alla rivincita. L'America si ritirò nel suo magnifico isolamento e riprese a pensare ai suoi affari, mentre Wilson, colpito da ictus, veniva tenuti in piedi come un pupazzo.
La Gran Bretagna allargò il suo già vastissimo impero: ma l' enormità delle perdite umane e il prosciugamento delle risorse finanziarie indusse il suo popolo, e i suoi governi, a rifugiarsi in un cieco pacifismo che nemmeno Hitler con il suo rapido riarmo e Churchill con la sua preveggente eloquenza riuscirono a scuotere, fino a quando, nel 39, i nazisti invasero la Polonia.
IDEALISMO I vizi congeniti di questa pace erano tre. L'eccesso di idealismo di Wilson, che creò un'aspettativa messianica di pace, giustizia e libertà fondati su una visione utopistica della natura umana. L'impossibile conciliazione tra diritti dei popoli all' autodeterminazione e la creazione di nuovi stati entro confini strategicamente sicuri: la Cecoslovacchia infatti ottenne la frontiera dei Sudeti, e la Polonia ebbe Danzica, ma entrambe erano a fortissima maggioranza tedesca.
E infine il trattamento miope e crudele nei confronti della Germania mutilata nel territorio, nelle industrie e nell' orgoglio, ma intatta nelle sue immense capacità di ripresa. Quando un esaltato profeta, reduce di guerra, impastò questi elementi in modo diabolico, e ne fece un nutrimento per la nuova Germania operosa, intelligente e disciplinata, creò la macchina da guerra più impressionante della storia, assistita, per disgrazia dell' umanità, dall' ideologia più perversa e dalla tecnologia più efficiente.
Senza Versailles non ci sarebbe stato Hitler, e senza Hitler non ci sarebbe stata la seconda guerra mondiale. Quando anche questa finì, i vincitori avevano imparato la lezione: che la vittoria, come disse Churchill, dev' essere coronata dalla magnanimità. E l' Europa, o almeno quella non occupata dall' Armata Rossa, si aprì al suo periodo più lungo di prosperità e di pace.