Il Messaggero, 9 febbraio 2019
A Cogne non vogliono la Franzoni
MONTEACUTO VALLESE «Cosa faceva Annamaria Franzoni? Faceva delle feste, metteva la musica». No, sulle colline bolognesi non vogliono tutti bene alla donna condannata per l’uccisione del figlio, il piccolo Samuele, e quando si è lontani dagli occhi e dalle orecchie della potente e unita famiglia Franzoni, qualcuno traccia un ritratto meno addolcito delle solite frasi degli altri abitanti del paese tipo «per noi è innocente, qui fa una vita normale come tutti». Ma anche a Cogne dicono: «Era pronta ad accusarci tutti, qui non la vogliamo».A Ripoli Santa Cristina, dove Annamaria fino a settembre era ai domiciliari e dove abitava in una casa del centro ora in vendita, a tre chilometri da quella nuova di San Rocco assediata dalle telecamere, qualcuno descrive la sua nuova vita iniziata con i domiciliari e ora suggellata dal ritorno in libertà, con parole taglienti: «Quando stava qui organizzava sempre delle cene, venivano i suoi familiari, in totale sono undici tra fratelli e sorelle, hanno moltissimi nipoti. Se mi fosse morto un figlio io non riuscirei a essere così sereno. Boh». Un’altra signora a Monteacuto Vallese, il vero paese dei Franzoni anche se in realtà sono tutte frazioni di San Benedetto Val di Sambro, è più benevola: «Ma no, nessuna stranezza, ora che si è trasferita nella nuova casa ed è libera, la vediamo spesso in macchina accompagnare il figlio più piccolo a scuola. È una di noi». Poi, però, il viso della signora impallidisce, urla «oddio, è Franzoni» e in pochi secondi scompare, volatilizzata. È passato alla guida della Panda 4x4 il patriarca, Giorgio Franzoni, a capo di un piccolo impero di imprese e proprietà, in cui sono coinvolti anche i figli, di fatto cuore pulsante del paese. Senza i Franzoni, non c’è Monteacuto, non ci sono le frazioni vicine. La signora scappa, i giornalisti provano a inseguire lui nella sua casa, ma Franzoni li ignora, finge di non vederli anche quando lo chiamano dalla finestra. A un paio di chilometri, a San Rocco, in una zona molto più isolata, va in scena un altro assedio surreale. Lì c’è la villetta bianca acquistata a dicembre dove Annamaria, insieme al marito Stefano Lorenzi e al figlio più piccolo Gioele (15 anni, è nato un anno dopo la morte di Samuele) si è trasferita a dicembre. Antonio Bignami, fotografo in pensione, abita in una casa proprio di fronte: «Una decina di giorni fa ho visto Stefano che cambiava l’etichetta del campanello, ora diventiamo vicini mi ha detto sorridente. Annamaria la conosco da quando aveva 15 anni, si prendeva cura dei miei figli piccoli, era la baby sitter number one, la più brava. Le affiderei ancora i miei figli». Giovedì sera, quando è stata rilanciata la notizia che Annamaria da qualche mese è tornata in libertà, si vedevano movimenti e tende che si spostavano. Per tutta la mattinata invece la casa appare senza vita, vuota, tutti pensano che Annamaria sia fuggita nella notte, anche se dal camino per mezz’ora esce del fumo. Ma Annamaria è dentro, assediata, tanto che a metà pomeriggio qualcuno chiama i carabinieri, che identifica i giornalisti, dopo essere entrati in casa. Apre il cancello una ragazzina, qualcuno dice che sia una nipote di Annamaria. Ma dopo un’ora passano due signore che allungano, rapidamente, delle buste con dei generi alimentari. Corre a prenderle la stessa ragazzina, sono le provviste per la serata, visto che Annamaria e il marito non vogliono essere intercettati dalle telecamere.
Lei vuole continuare la sua seconda vita, quella che dimentica l’orrore di Cogne, il dolore, la condanna, e che vorrebbe ricostruire i paesaggi di un tempo, del suo paese, dove Annamaria continua a cucinare crescentine come una volta, dolci da portare alle feste, a curare il giardino. Non c’è Davide, il figlio più grande, che ai tempi della tragedia aveva sette anni e oggi ne ha 24: qui tutti sostengono che si sia trasferito in Romania, con una ragazza; alle medie era il più bravo della scuola, ma la cattiveria dei coetanei in alcune occasioni gli ha rinfacciato il passato, «era un ragazzino taciturno». Di certo Annamaria a novembre, ormai libera, è tornata a Cogne, dove tutto è cominciato e tutto è finito. Ma lì nessuno la difende: «Durante l’inchiesta era pronta ad accusarci tutti», ricordano. Annamaria resterà nelle colline bolognesi, a preparare crescentine e dolci, accompagnare a scuola Gioele, dare una mano nell’agriturismo di famiglia. La sua seconda vita assomiglia molto alla prima, in mezzo resta l’orrore di Cogne.