Libero, 9 febbraio 2019
Come trovare l’aggettivo più calzante
C’è almeno una regola sicura per scrivere male: usare il primo aggettivo che viene in mente. Come sarà questo tramonto? Incantevole. Questo paesaggio? Pittoresco. Questa relazione? Tormentata. Questa pietanza? Squisita. È come usare una stessa vernice per tutte le superfici: diventano piatte e incolori. La lingua invece ha infinite sfumature. I sinonimi non esistono. Se esistessero, ci basterebbe un vocabolario di tremila parole. Perché sbattersi per cercare quella giusta se una vale l’altra? Senza contare che la lingua è mobilissima e i significati mutano insieme alla società umana che li produce. Perciò se uno vuole dilettarsi a scrivere è meglio che quei significati se li studi bene, dopo essersi chiarito a proposito di quello che desidera esporre. La casa editrice Zanichelli, nota per i suoi dizionari, lo Zingarelli in testa, tende una mano all’esercito di aspiranti scrittori, in grave apnea terminologica, quando non proprio di argomenti tout court. Ecco l’ultima edizione del Dizionario delle collocazioni, Le combinazioni delle parole in italiano, a cura di Paola Tiberii (pp. 640, euro 26,40 volume, download per Windows e Mac, app per Ios e Android, consultazione online per 5 anni). Le “collocazioni” sono in pratica combinazioni di parole entrate nell’uso comune. E sono varie. E sono sempre di più, tanto che del Dizionario è stata già stampata una seconda edizione, arricchita e giunta a oltre 6mila variazioni. Non tutte, solo quelle attualmente di uso più comune. Prendiamo una delle prime parole del vocabolario: “abbandono”. A uno viene in mente un abbandono “traumatico” o “doloroso”, ma un abbandono può essere anche: annunciato, anticipato, atteso, breve, chiaro, colpevole, comodo, completo, comprensibile, crudele, esplicito, frequente, immotivato, implicito, momentaneo, plateale, repentino, strategico, volontario, e tanto altro ancora. Tiberii le definisce «espressioni formate da due o più parole che per uso e consuetudine lessicale formano una unità fraseologica non fissa ma riconoscibile». Per esempio “donare il sangue” o “prendere uno spavento” o “lanciare un appello”.
L’APPELLO SI LANCIA
Senonché, dice, «spesso non vi è alcun nesso logico che leghi i termini tra loro, né le corrette combinazioni possono essere desunte da un ragionamento o da una regola». Si può dire “lanciare un appello”, ma non “tirare un appello”. E non “offrire il sangue” o “cedere il sangue”. Se lo si fa, è per licenza letteraria. Eppure non esiste spiegazione. Tanto che in inglese “prestare attenzione” si dice “pay attention”, che letteralmente sarebbe “pagare attenzione”, e in francese si usa “prendre une douche”, per “fare una doccia”. I polacchi dicono “restituire il sangue”. I tedeschi “incontrare una decisione”, sempre gli inglesi “fare una decisione”. In ebraico una decisione non si prende, si “riceve”.
VIA DAI LUOGHI COMUNI
«Le collocazioni sono un codice della lingua», spiega Tiberii. «Sono una rappresentazione della realtà». Poi costruisce una metafora molto interessante: chi vuole scrivere, di fronte alla pagina vuota, spesso prova la «sindrome dell’armadio vuoto». Come quelle volubili e vanitose signore che non sanno mai cosa mettere o che scarpe indossare pur avendone a centinaia, l’autore usa sempre le stesse parole: “un anno bellissimo”, o “fare un’esperienza”. In quel momento non gli viene in mente nient’altro. Il suo è un linguaggio povero, lo stesso che utilizzano i bambini di fronte a un tema scolastico, quando tendono a cavarsela così, più che altro per pigrizia (a proposito, anche “tendere a cavarsela” è una collocazione linguistica). Ma la scrittura sta quasi tutta lì, nella scelta delle parole. Èuna decisione continua, una sfida a spaziare, e non a indugiare nelle incrostazioni di significato. Quando un’espressione diventa trita e banale? «Quando tende al luogo comune», dice ancora Tiberii. «Pensiamo alla politica. Quante volte sentiamo dire “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, o “cabina di regia”? Ormai mi capita di associare a ogni politico il suo cliché. Il luogo comune è uno svuotamento di significato». L’evoluzione del lessico dipende dall’uso. L’italiano possiede combinazioni che nessuno straniero può comprendere, perché sono il patrimonio della madrelingua. La raffinatezza di uno scrittore capace sta nel conoscerle per trasgredirle consapevolmente, spingendo verso una lingua nuova, cioè un pensiero nuovo.