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 2019  febbraio 09 Sabato calendario

Capire l’antica Cina danzando su gusci di tartaruga

Un uomo nel 1934 volle vincere le forze invisibili che così tenacemente difendono le segrete della mentalità cinese. Era sinologo provetto, era vissuto due anni in Cina, scriveva e pensava in francese con stile... Si chiama Marcel Granet; tutta una vita conversò con i Maestri del quinto secolo prima di Cristo; divenne un loro contemporaneo, forse un loro adepto». Così si esprimeva il grande J. Rodolfo Wilcock parlando di Granet. Quest’ultimo, allievo di Émile Durkheim e amico di Marcel Mauss, nella prima metà del Novecento ha dominato la Cina come si domina un territorio: vi ha regnato, sovrano. E l’ha fatto senza essere un sinologo. O meglio, senza la pedanteria filologica e le restrizioni degli steccati disciplinari. La Cina era l’oggetto del suo studio e del suo interesse: a partire da qui gli interessava ricostruirne il passato, anche quello più remoto, attraverso la sua organizzazione sociale, il pensiero, la mitologia, la religione – il tutto volto però a una comprensione profonda che andasse al di là dei testi e di un approccio letterale. 
Lo dimostra questo libro, Danze e leggende dell’antica Cina, apparso nel 1926 e oggi meritoriamente proposto in italiano dall’editore Adelphi – nella felice traduzione di Elena Riva Akar e la cura editoriale di Carlo Laurenti. Nonostante sia passato quasi un secolo dalla sua stesura, è un testo che conserva tutt’oggi un vivace interesse al di là della storiografia. Ha ragione l’editore quando, sulla bandella, scrive: «Questo libro, il più audace di Granet, si distanzia da tutte le opere maestre della sinologia (incluse quelle dello stesso Granet) perché non è una esposizione analitica, ma una messa in scena delle primordiali immagini del mondo cinese, come se le vedessimo incidersi sul guscio di una tartaruga… Se un giorno si dovesse fare una lista molto severa dei libri essenziali del Novecento – di tutti i generi – Danze e leggende dell’antica Cina non vi potrebbe mancare».
Il motivo della ricchezza del libro l’aveva colto già Georges Dumézil, che aveva seguito i corsi parigini di Granet diventandone infine amico. Dumézil sosteneva che di Granet era fondamentale il modo in cui egli affrontava e usava i testi, le leggende, le manifestazioni culturali intese nel loro senso più ampio della tradizione cinese: li scorticava, scrive Dumézil, li analizzava e comprendeva come fossero singoli pezzi di una «ideologia illustrata», decisiva per la comprensione della Cina – un metodo che avrà un ruolo fondamentale nelle ricerche sulla mitologia indoeuropea dello stesso Dumézil, e che sarà influente anche nelle analisi etnografiche di Claude Lévi-Strauss. 
Volendo fare il torto a Granet di riassumere con un’espressione il suo metodo dovremmo parlare di «archeologia»: attraverso i testi ricostruisce la società cinese antica a partire dalle rappresentazioni sociali dei miti, dei rituali, dell’organizzazione sociale, delle istituzioni e delle rappresentazioni. Ecco perché Granet stesso avverte il lettore sin dalla prima riga: «Non commetterò l’errore di voler ricostituire anche una sola leggenda cinese. Decomposte, ridotte alla condizione di concrezioni letterarie, forse ancor più degradate – di lì è passata la storia – per essere servite a diverse imprese di ricostruzione erudita, di esse non restano che brandelli irriconoscibili, amalgamati, ritagliati, mutilati. Una polvere di centoni: ecco la sola eredità che rimane per chi desidera vedere da dove viene la Cina feudale. Documenti poveri e preziosi! Ho tentato l’azzardo di usarli». 
Grazie a questo azzardo Granet non sarà soltanto un  passeur, uno di quei grandi traghettatori di culture dell’Asia che in quell’epoca hanno popolato l’Europa. Sarà, per bocca di Marcel Mauss (così si esprimeva nel 1934) «il più grande storico vivente e insieme anche uno dei migliori sociologi». Non soltanto ha ricostruito un’epoca, ma ha avuto la capacità –  avis rarissima – di mostrarne le produzioni intellettuali, la cui comprensione è la sola via d’accesso per quella sfera che è la sfera del «pensabile» di una società. Non resta allora che abbandonarsi alle pagine di Granet e farsi accompagnare fra danzatori e divinità, animali e dinastie, rituali («Tutte le dinastie iniziano con un sacrificio»), mostri, draghi ed emblemi – scoprendo quel fascino delle origini capace ancora oggi di irretire.