La Stampa, 9 febbraio 2019
Una super-Opec per Mosca e Riad
Quando al G20 di Buenos Aires il 30 novembre scorso Vladimir Putin e Mohammed bin Salman si sono scambiati un caloroso «cinque» il pensiero è andato al giornalista Jamal Khashoggi, ucciso nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre. Sembrava una complicità fra due autocrati che non tengono in considerazione i diritti umani ma dietro c’era una intesa più profonda. Quella sul greggio e per la nascita di una Super-Opec. L’idea, che sarà discussa al vertice di Vienna del 17 febbraio, è creare una alleanza fra i 13 Paesi dell’organizzazione guidata dall’Arabia Saudita e altri dieci esportatori, a partire dalla Russia, che non ne fanno parte. Parliamo di pesi massimi. Mosca, con 11,1 milioni di barili al giorno è il secondo produttore e il secondo esportatore al mondo. Ma nel pacchetto ci sono anche il Messico, 1,74 milioni di barili al giorno, e il Kazakhstan, 1,7 milioni. Gli altri sono ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale e del Caucaso, come l’Azerbaigian, e africane, a partire dal Sud Sudan.
La perdita del potere
L’Opec e il gruppo dei dieci collaborano già dal 2016 ma ora l’azione diventerà più organica e ha un obiettivo preciso. Riprendere il controllo del mercato. L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio ha perso gran parte del potere che aveva negli Anni Settanta, quando era in grado di mettere in ginocchio le economie occidentali. Allora Arabia Saudita e alleati fornivano il 55 per cento della produzione di greggio e oltre i due terzi delle esportazioni. Lo choc del 1973 ha però spinto le nazioni occidentali a sviluppare tecnologie per aumentare la produzione e ridurre la dipendenza. Oggi l’Opec provvede ancora al 44 per cento della produzione mondiale di greggio, al 61 per cento delle esportazioni e ha l’81 per cento delle riserve provate. La rivoluzione dello shale oil negli Stati Uniti ha però cambiato gli equilibri. In una decina d’anni gli Usa sono passati da 5 a quasi 12 milioni di barili al giorno. Con l’arrivo di Donald Trump, poi, la battaglia è diventata sanguinosa.
La produzione Usa
Trump ha eliminato ogni vincolo ambientale all’estrazione del petrolio di scisto e il punto di pareggio per i produttori si è abbassato. Oggi è stimato attorno ai 40 dollari al barile. È questo il nuovo «pavimento» verso il basso dei prezzi, sul quale l’inquilino della Casa Bianca vuole schiacciare le quotazioni. Per i due maggiori esportatori, Riad e Mosca, è un problema. Si tratta di far quadrare i bilanci pubblici e mantenere il consenso. Un primo choc è arrivato fra il 2014 e il 2015, quando i prezzi si sono dimezzati da 100 a 50 dollari. Allora gli analisti calcolavano che Riad avesse bisogno di una quotazione vicina ai 100 dollari per un bilancio pubblico in pareggio, Mosca attorno agli 80 dollari. Con l’arrivo di Re Salman al potere, e poi del figlio Mohammed, le due potenze petrolifere si sono avvicinate come non mai. Il 10 ottobre 2017 Re Salman è arrivato al Cremlino, per un vertice storico con Vladimir Putin. Il patto fra i due ha riportato i prezzi verso i 70-80 dollari ma un nuovo balzo della produzione americana li ha rispediti a 50.
Nel braccio di ferro l’Opec è sembrata sempre più marginale. A novembre ha perso un pezzo importante, il Qatar, per via della rottura con l’Arabia Saudita e altri Paesi del Golfo. Doha, con 700 mila barili al giorno è un peso medio nella produzione di greggio ma il segnale è stato forte perché l’Emirato vuole le mani libere, soprattutto nell’estrazione di metano, e rischia di far saltare gli equilibri. Ha appena ordinato 60 navi metaniere ai cantieri sudcoreani per inondare di gas liquido il mercato e tutto ciò avrà un impatto al ribasso sui prezzi degli idrocarburi, che si aggiunge al fiume di shale oil e shale gas in arrivo dall’America. Di qui la necessità per Mosca e Riad di consolidare e dare una cornice ufficiale allo loro alleanza.
La Super-Opec punterà a imporre tagli generalizzati alla produzione e a far risalire i prezzi. Le due potenze si sono combattute in Siria una guerra per procura, Mosca è un alleato di ferro dell’Iran, l’arcinemico sciita dei Saud custodi dell’ortodossia sunnita. Ma il petrolio è più importante. Il «cinque» scambiato fra lo Zar e il principe ereditario, con quello sguardo canzonatorio, è lì a dimostrarlo.