La Stampa, 9 febbraio 2019
Laura Castelli, ovvero la casta
Palazzo di Giustizia di Torino ore 17,20. I giornalisti sono al settimo piano della procura della Repubblica. Dentro l’ex ufficio di Antonio Spataro il pm Gianfranco Colace sta sentendo il sotto segretario all’Economia Laura Castelli, persona informata dei fatti nell’ambito dell’inchiesta per estorsione che vede indagato l’ex portavoce della sindaca Chiara Appendino, Luca Pasquaretta. Improvvisamente arrivano due carabinieri che con toni educati ma perentori spiegano che su richiesta dell’esponente dei Cinquestelle i giornalisti devono lasciare non il corridoio – come qualche volta accaduto -, non il piano, ma il palazzo. Tutto questo per evitare un incontro scomodo per la deputata. In serata qualcuno dirà che i militari hanno frainteso con troppo zelo e l’ordine non era così restrittivo. Ma anche con le giustificazioni postume tutto suona male: il gesto, la scena della deputata che lascia il palazzo di giustizia sul un’auto grigia mentre i giornalisti la guardano da lontano. Tutto suona come una colonna sonora del passato. Di quando tirava un’altra aria, di quando non c’erano quelli della trasparenza e dell’onestà. Di quando c’erano gli autisti. Di quando c’era la casta.