il Fatto Quotidiano, 8 febbraio 2019
L’arte di leccare natiche secondo l’ex deputato Cesaro
La prevalenza dell’homo lingens. Da lingere, leccare in latino. La professione più antica del mondo, senza offesa per le altre, ovviamente.
L’uso della lingua è sempre volontario nell’uomo, a differenza di un cane che lo fa per necessità.
Un muscolo volontario, lei scrive.
Chiarisce la natura ontologica ed etica del lecchino.
Che non è un diminutivo. Lecco come sostantivo non esiste.
È un nome fortemente alterato, un finto vezzeggiativo. Secondo Musil, il lecchino nacque nel settimo giorno della Creazione, quando Dio non creò proprio nulla. Il lecchino rappresenta quel nulla in forma esistenziale.
Il professore Antimo Cesaro è un colto meridionale che insegna Filosofia Politica all’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. Nella scorsa legislatura gli è capitato in sorte di fare il deputato e il sottosegretario alla Cultura, con i civici di Mario Monti. Poi i montiani si sono dispersi e lui ha rifiutato di ricandidarsi. Dopo un lustro di praxis politica, è tornato alla teoria.
La Camera è stata un osservatorio magnifico per studiare l’arte del “leccar natiche”, come scriveva Catullo. Lingere culum, per la precisione.
Sì, ma io mi fermo volutamente alle soglie del Novecento, sine ira et studio. Ho voluto fare un piccolo trattato di antropologia culturale, scritto nei lunghi tempi morti di Montecitorio, mentre gli altri sonnecchiavano oppure giocavano con lo smartphone. E poi per la modernità c’è il suo direttore Travaglio con Slurp.
Siete complementari.
Certamente.
Però la drammatica eredità del Porcellum dilata la patologia del lecchino. Pensiamo a Berlusconi.
Quando un capo carismatico decide le liste procede per affiliazione e la lingua gioca un ruolo fondamentale. Gorgia di Lentini ne diede la definizione migliore a mio giudizio: “Artista della mendicità”.
C’è anche Dante che immerge Alessio Interminei da Lucca nel girone dei fraudolenti. “Vidi un col capo sì di merda lordo”. Immagine inequivocabile.
È la conseguenza dell’atto di mettere il capo nel deretano. Gli americani chiamano i lecchini brown-nose. Naso marrone.
Altra immagine chiara.
È il terzo tipo di bacio, che indica abiezione e depravazione morale. Era anche una pratica satanica e della stregoneria. Il lecchino è uno che vende l’anima.
L’osculum infame.
Baciare le terga.
Gli altri due baci?
Il primo, sulla bocca, indica un rapporto paritetico. Il baciamano è invece sottomissione.
Ad Afragola, nel napoletano, c’è stato un baciamano a Salvini, modello Gava d’antan, il vecchio boss dc.
Attenzione però, quel bacio è dettato dal bisogno e dalla povertà. Il lecchino di professione usa le masse per emergere, tanto più quando c’è molta confusione.
Lingere culum è tipico del populismo?
Non sto dicendo questo. Il lecchino è trasversale da sempre, attraversa tutti i regimi. Ma la proliferazione dei lecchini è un campanello d’allarme per la democrazia, significa che il popolo vuole seguire un capo, sceglie la servitù volontaria.
Addirittura.
È il formidabile Discours de la servitude volontaire di Étienne de La Boétie, l’uomo si acconcia alle peggiori dittature anzichè desiderare la libertà.
Quindi si rischia sempre.
Sono tempi di post-democrazia. I partiti non esistono più, ci sono i capi politici che fanno le liste dei buoni e dei cattivi.
Il lecchino è pura teoria politica, oltre che letteratura. Larcio Licinio, lei scrive, fu l’inventore della claque.
Questo è il lecchino imprenditoriale, che progetta il suo futuro. Si lecca oggi per incassare domani.
Adulatore, lacchè, ruffiano, cicisbeo. I sinonimi sono vari. Poi c’è il verbo strisciare. Nel suo libro c’è la traduzione del Saggio sull’arte di strisciare a uso dei cortigiani di Paul-Henri Thiry d’Holbach.
Il lecchino non è un quadrupede, abbiamo detto, ma può strisciare come un verme.
Sempre immagini efficaci, eh?
La mia è una rigorosa classificazione tassonomica.
Lei ha mai leccato?
Chi è senza leccaggio scagli la prima saliva.
Ha ceduto, allora.
Ma in politica ho rifiutato le lusinghe di vari partiti che volevano ricandidarmi. Sono un uomo verticale.