Il Sole 24 Ore, 8 febbraio 2019
Aerei e musei per chi ha già tutto
Eventi per pochissimi, esclusivi, irripetibili, da raccontare ad amici e parenti per vantarsi, più o meno sfacciatamente, della propria condizione di privilegiati. Esperienze pensate e riservate agli happy few, come dicono gli americani, una (esigua) minoranza, felice, si spera. Esperienze offerte come riconoscimento di fedeltà a un marchio o a un servizio di alta gamma. Per rafforzare il legame con clienti molto speciali, che spendono almeno centomila euro nello stesso negozio in un solo anno o si rivolgono al medesimo servizio su misura in maniera assidua. In casi eccezionali queste esperienza esclusive anziché essere un “premio fedeltà” possono essere offerte a pagamento a chi non rientra, per ora, tra gli happy few, ma promette bene. Magari spende “solo” 5omila euro all’anno e con un piccolo incentivo si spingerà oltre, per entrare a pieno titolo nella ristretta cerchia di clienti ai quali vengono offerte esperienze che non hanno prezzo.
Sempre di marketing si tratta, perché per sorprendere chi apparentemente può dare un prezzo a tutto – e pagarlo – bisogna inventarsi qualcosa che non si misura in denaro. Qualcosa che lasci ricordi indelebili e, possibilmente, scateni l’invidia delle persone alle quali viene raccontata. L’idea non è nuovissima: è da quando l’aristocrazia ha lasciato il posto a una ricca o ricchissima borghesia che si è perso il pudore dell’esibizione del denaro e delle differenze tra stili di vita: si pensi – come estremo – ai vari reality sui rich kids di Paesi come Russia e Regno Unito, dove l’espressione understatement sembra essere stata definitivamente rottamata.
Nel bellissimo Green Book, film ora nella sale, ispirato a una storia vera e candidato a cinque Oscar (speriamo li vinca tutti), si racconta del viaggio nel sud degli Stati Uniti del buttafuori italoamericano Tony Vallelonga come autista dell’afroamericano Don Shirley, pianista di straordinario talento e virtuosismo, che si esibisce per gli happy few di Stati come Mississipi, Louisiana, Kentucky insieme al suo trio (gli altri due musicisti, bassista e violoncellista sono bianchi). Eventi super esclusivi, con programmi musicali diversi a ogni serata e usati, ad esempio, da locali di grandissimo successo, per offrire un concerto da “una sola volta nella vita” ai clienti più fedeli e alle rispettive mogli. Green Book è ambientato nel 1962, ma in fondo racconta di una forma di “marketing esperienziale di lusso” ante litteram.
Ai giorni nostri però la componente culturale è passata, per così dire, in secondo piano, nella maggior parte dei casi. Assistere ai concerti di Don Shirley, dice il protagonista di Green Book, «fa sentire questi super ricchi persone migliori o almeno un po’ più colte». Oggi il legame dell’esperienza con l’acquisto fatto serve anche a promuovere un acquisto futuro. I clienti che spendono di più per un brand (non necessariamente nello stesso negozio, visto che spesso viaggiano molto) di marchi come Louis Vuitton, Dior, Chanel, vengono invitati alle sfilate più esclusive in assoluto, quelle dell’alta moda. Nella maggior parte dei casi si tratti di eventi organizzati a Parigi e naturalmente non si vola in Francia solo per vedere lo show (20 minuti massimo). Questi specialissimi viaggi premio includono visite private a musei, incontri con lo stilista, momenti nel backstage, cene in ristoranti stellati e altro ancora. Quasi sempre le clienti si presentano con capi del marchio all’altezza dell’evento e poi comprano qualcosa di nuovo (gli abiti di alta moda possono costare anche un milione di euro).
Lo stesso vale per i clienti dell’alta gioielleria: in questo caso a organizzare viaggi a tema e spesso lontano da Parigi sono maison come Bulgari e Tiffany, che ogni anno presenta a New York il Blue Book, con clienti da tutto il mondo. Il privilegio, oltre all’anteprima dei gioielli, è quello di conoscere celeb e star hollywoodiane, che non comprano gioielli Tiffany (anche qui parliamo di pezzi unici da milioni di euro o dollari), ma li indossano e si prestano a cenare e intrattenere clienti “vere”, delle quali forse non conosceremo mai nomi e volti, ma che per una sera vivono l’esperienza del red carpet ed entrano in contatto con le donne (e gli uomini) più conosciuti del pianeta.
L’alta orologeria adotta un approccio diverso, anche perché gli acquirenti di capolavori meccanici sono ancora in gran parte uomini. Più interessati – paiono convinte le maison del settore – a esperienze avventurose. Da qui il coinvolgimento in viaggi su aeroplani d’epoca, quando si tratta di marchi legati all’aviazione, come Iwc. O in immersioni con campioni di apnea, quando la maison è legata al mare, ad esempio nel caso di Panerai. Anche in vista della Coppa America aumentano poi le possibilità di salire a bordo delle imbarcazioni super tecnologiche che contenderanno il più antico trofeo velico al mondo ai neozelandesi. Altre maison di alta orologeria svizzera, a volte in partnership con i partner retail, preziosa antenna sulle esigenze dei clienti finali, organizzano serate o giornate nelle rispettive sedi per insegnare come si monta o si ripara un orologio. Alle ore programmate in manifatture, a seconda delle stagioni, si possono abbinare escursioni tra le Alpi, sciate nei comprensori più famosi, esperienze eno-gastronomiche. In alcuni casi c’è un “ladies program”: mentre gli uomini sono impegnati a diventare apprendisti orologiai (illudendosi che bastino poche ore per padroneggiare un’arte così antica), le mogli o compagne possono fare altro. Negli alberghi 5 stelle lusso ci sono ad esempio trattamenti estetici che promettono risultati miracolosi, soprattutto a chi viene dal grigiore cittadino.
La cultura non è del tutto snobbata: ci sono anche marchi di abbigliamento o accessori di lusso che, individuando gruppi davvero piccoli di clienti dei quali conoscono gusti e abitudini, pensano a viaggi musicali con annessa stretta di mano ai direttori d’orchestra più famosi. Pronti a cogliere queste opportunità di “interazione” con il mondo dell’alta gamma sono i musei americani, che vivono, da sempre, a loro volta di marketing. Il Whitney Museum di New York, ad esempio, con l’inaugurazione della sede disegnata da Renzo Piano, ha potenziato l’attività di private dining: è possibile organizzare cene in sale dedicate, circondati dalle opere dei maggior artisti contemporanei. Se sono viventi, è persino possibile averli come ospiti d’onore. Anche perché forse chi è abituato a spendere milioni per un abito o un orologio, potrebbe diversificare nell’arte o è già collezionista. È un circolo virtuoso, in fondo (o vizioso, potrebbe dire qualcuna): vengo al museo con il mio abito migliore, invitata dal mio brand preferito. Mi prenoto per un’opera dell’artista del momento e comincio a pensare al nuovo abito da comprare e poi sfoggiare alla prossima inaugurazione o private dinner.