La Stampa, 8 febbraio 2019
Michelangelo nei clip di Bill Viola
Se in Italia fossimo un minimo più smaliziati e sapessimo fare marketing culturale come in Inghilterra, la cultura diventerebbe la voce principale del Pil. A Londra invece sono smaliziatissimi con questo tipo di cose. Ma qualche volta esagerano, come nel caso di Life Death Rebirth, la mostra della Royal Academy che accosta le installazioni video dell’artista americano Bill Viola con l’arte di Michelangelo. Ora, senza niente togliere a nessuno dei due artisti, presi singolarmente, l’operazione è così azzardata da risultare così astrusa che alla fine danneggia entrambi.
Non è un tentativo di elevare Viola al livello di un moderno Michelangelo, dicono alla Royal Academy. Andrea Tarsia, uno dei curatori dell’esposizione, puntualizza che Viola non si è ispirato a Michelangelo, ma ha iniziato un dialogo immaginario nel 2006 durante la visita del videoartista alla Print Room del Castello di Windsor per vedere i disegni di Michelangelo. Peggio quindi, perché se almeno Viola avesse fatto un lavoro dedicato a Michelangelo apposta per la Royal Academy, l’operazione poteva stare in piedi. Così invece è un’accozzaglia di opere di cui non si capisce bene il senso.
Nelle intenzioni la mostra sarebbe un tentativo di sottolineare le affinità nei soggetti e la comune ispirazione spirituale. Ovvero Viola sarebbe «l’erede di una lunga tradizione di arte spirituale e affettiva che usa l’emozione come mezzo per collegare gli spettatori con le sue tematiche». E qui arriva l’obiezione principale all’operazione: tutta l’arte che si voglia fregiare di questo titolo, dovrebbe usare l’emozione per collegare gli spettatori. E quindi, seguendo questo ragionamento, l’accostamento potrebbe essere fatto con qualsiasi artista. Anche perché Vita e Morte, come temi di indagine artistica, non sono propriamente un’esclusiva né di Bill Viola né di Michelangelo, ma piuttosto universali, oseremmo dire. E lo stesso dicasi per la commozione che un’opera d’arte dovrebbe suscitare, per i sentimenti di elevazione spirituale, ricerca del mistero e indagine interiore.
La mostra si svolge in un dedalo di stanze nere e buie, illuminate di piccoli spot. In tutto sono 12 installazione video di Bill Viola e 15 disegni di Michelangelo, provenienti dalla raccolta della famiglia reale (dal Royal Collection Trust) più il Tondo Taddei, che appartiene alla Ra.
Fatte queste premesse, bisogna dire che in un paio di occasioni l’effetto di commozione e introspezione voluto è pienamente raggiunto e di forte impatto. Essendo la mostra concepita come «un viaggio immersivo attraverso i cicli della vita, che esplora la transitorietà e il tumulto dell’esistenza e la possibilità di una rinascita», una delle più riuscite, a mio avviso, è la sala dove nascita e morte sono messe in relazione diretta. Su una parete il trittico di Bill Viola Nantes Triptych (opera del 1992), un grande video diviso in tre schermi. A sinistra l’ansimare e le grida di una giovane partoriente, un dolore che porta alla nascita. Sul pannello di destra una vecchia donna sul letto di morte (che poi è la madre di Viola), intubata, giace in una asettica stanza d’ospedale ed emette rantoli e gorgoglii nel respiratore. Sulla parete opposta il tema è indagato grazie a vari disegni e dal Tondo di Michelangelo che rappresentano la Vergine e il Bambino. Prima Gesù bambino e poi il Cristo dopo la crocefissione, il figlio morto delle Pietà, che la madre tiene ancora in braccio. Lasciando la sala (il video dura 29 minuti) si porta con sé l’idea della fisicità della carne destinata a rifarsi polvere, della nascita che è solo l’inizio della morte.
Per il resto è meglio guardare le opere singolarmente, senza cercare di fare il parallelo e di capire la logica con la quale sono state accostate. Immergetevi nei suoni e nei video monumentali, come il respiro e il rumore dell’acqua di The Messanger che apre la mostra, o Tristan’s Ascension (il suono è quello di una cascata sotto la montagna) o Five Angels for the Millennium, una gigantesca installazione a cinque schermi per finire con Fire Woman, una figura di donna che appare da uno sfondo di fiamme. Si apre con l’acqua e si chiude con il fuoco. Nel mezzo materia e corpo, destinati a tornare polvere.
E molti biglietti venduti, perché i nomi sono di richiamo e i visitatori hanno la bocca buona, come il marketing ben sa.