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Nel Milan che insegue la Champions, Cutrone incarna la tenacia della squadra. Ha scalato da neofita le gerarchie, dietro Bacca, Kalinic, Silva, Higuain. Ora c’è Piatek e lui non smette di cercare spazio, non necessariamente in alternativa al neoacquisto. La sua è anche battaglia dei giovani calciatori italiani: con i fatti, senza proclami.
Cutrone, ovvero: questo ragazzo ha fame.
«Voglia di sfondare. Di non uscire dal campo pensando: oggi non ho dato tutto».
Si dice: i giovani italiani non hanno fame.
«Non tutti arrivano: magari qualcuno si sente appagato, si accontenta».
Viziati dall’iPhone e dalle scuole calcio?
«Forse i bambini stanno di più a casa al video. Quando ero piccolo io, la tecnologia non era ancora esagerata. Al mio paese, in provincia di Como, giocavo all’oratorio o in piazza, se era chiuso».
L’ultima volta?
«A 14 anni. Ero nelle giovanili del Milan, ma due passaggi con gli amici me li facevo».
Si ferì per prendere un pallone.
«In un villaggio vacanze, in Puglia.
Per scavalcare, mi faccio un taglio sotto l’ascella. Continuo a giocare. Un mese dopo mi viene l’infezione a Manchester, durante un torneo».
La opera un medico sikh, in anestesia totale.
«E io mi metto a pregare De Vecchi, l’allenatore: "Mister, mi dia qualche minuto in finale". Non potevo mancare all’Old Trafford, stadio mitico».
Come San Siro?
«Spero che Milan e Inter non si spostino. Si respira la storia: sensazione indescrivibile, fin dalla prima volta».
Altra prima volta a Manchester: all’Etihad in Nazionale, con l’Argentina.
«Un sogno. Ho fatto tutta la trafila e gli Europei Under 17 e Under 19. A giugno spero di giocarlo con l’Under 21».
Carriera azzurra inaugurata a Bruxelles col Belgio, poi 3 gol alla Germania a Pordenone, sei anni fa.
«Ne avevo 15, quei 3 gol non me li scordo. Cantare l’inno in campo: non si può spiegare».
Tanti talenti cresciuti insieme Donnarumma, Chiesa, Barella, lei, Locatelli, Zaniolo, Tonali rimandano all’era Vicini: per cancellare il Mondiale mancato?
«Nessuno si sente predestinato a vincere: se le generazioni non cambiassero, finirebbero le Nazionali. Certo, vogliamo vincere: è il nostro lavoro».
I vostri coetanei stranieri sono più forti atleticamente?
«Non sempre vince chi è più grosso, la Spagna lo ha dimostrato».
Sono più determinati e più animati dalla voglia di riscatto sociale?
«Alcune cose dipendono da dove vieni, da come cresci. Ma io, nelle Under, vedevo più che altro diversità di esperienza. Nella Francia c’era Mbappé già titolare nel club, ma mica solo lui. Invece noi eravamo in 2-3 con 3-4 convocazioni in prima squadra. Però la tendenza sta cambiando».
Gattuso ha allenato in Primavera: questo aiuta?
«Sa darci gli stimoli giusti: il Milan gioca bene. Allenarti per migliorare è l’unico modo per convincerlo a farti giocare di più».
De Vecchi dice che con lei gli allenamenti durerebbero 8 ore.
«I 3 anni con lui sono stati fondamentali. Se perdevo in partitella, mi lasciava sfogare con i tiri in porta. Più che migliorare su un aspetto specifico, io voglio scoprire sempre qualcosa di nuovo di me, allargare gli orizzonti. Per le difficoltà mi abbatto due secondi. Poi guardo avanti».
Ai gol: coi 2 al Bayern nella tournée cinese e con quello al Crotone in campionato evitò la cessione, in Coppa Italia nel derby rilanciò la squadra.
«In Cina iniziai a sperare di restare al Milan. Pensavo: Montella non mi conosce più di tanto, se riesco a farmi vedere, bene, altrimenti parto, l’importante è giocare. Le doppiette hanno una spiegazione: non mi accontento mai».
Aforisma: è il pallone che cerca Cutrone. Che cos’è il gol?
«È tutto. Anche il gol di un compagno, l’assist. Però solo se si vince. Io in area cerco il pallone, a volte c’incontriamo».
L’allenatore mette un bimbo in difesa, lui si accovaccia per protesta.
«Io, a 5 anni. Strappavo i fili d’erba. Gli altri bambini si arrabbiarono».
Un bambino segna in pallonetto da metà campo: lo nota un osservatore del Milan.
«Io, a 7 anni, Parediense-Maglianico: avevo visto il portiere fuori».
Patrick contro Christopher.
«Mio fratello, 3 anni più grande, oggi portiere in Svizzera, allora all’Olginatese. Amichevole con la Primavera del Milan. Vinse lui».
Patrick e la famiglia.
«Siamo unitissimi. Ai miei genitori dico tutto. La mia fidanzata si chiama Francesca. Ho tanti parenti anche a Campobasso, per parte di papà. Ci vado d’estate».
Papà è avvocato: Patrick e la scuola.
«Mi piaceva. Maturità al liceo scientifico-sportivo, materia preferita chimica».
Patrick e gli altri sport.
«Mi piacciono tutti. Gioco a tennis col mio amico Andrea, appassionatissimo».
Patrick e Parè.
«Il mio paese in collina. Speciale. Gli amici, tanti, oltre a quelli del calcio, Locatelli, Calabria, Donnarumma. Le chiacchiere in gelateria. Ha chiuso, peccato, ci troviamo in piazza. E peccato che i bambini escano meno. Ho preso casa a Como, per me è la città. Adoro il lago».
Patrick e gli idoli.
«Chi fa tanti gol. Morata, Inzaghi, Van Persie, Suarez. Però anche Maldini. Una volta venne a prendere suo figlio Christian: gli tesi il foglietto per l’autografo, non riuscivo a parlare».
Che cosa la emoziona di più?
«La mia famiglia: a loro darei il mondo. A loro dedico ogni gol».