Corriere della Sera, 8 febbraio 2019
Le bici da 50 mila euro del signor Ernesto
«Ho imparato a saldare il ferro nel 1945 alle officine ciclistiche Fumagalli di Milano: avevo 13 anni e la licenza elementare in tasca. Apprendistato a pagamento: al padrone ogni settimana davo due chili di farina procurati dai miei genitori, contadini in Brianza. Mi piaceva assemblare il ferro, mi piaceva montare le ruote, non mi piaceva la vita in fabbrica così chiesi al titolare se potevo portarmi il lavoro a casa. Lui era perplesso ma quando vide che ero in grado di montare 25 bici in una settimana in un garage di 10 metri quadrati cambiò idea. Non volevo essere pagato in denaro: come stipendio ricevevo pezzi di ricambio, che usavo per costruire e sistemare le bici dei miei clienti personali».
Il mancato contadino ed operaio Ernesto Colnago ha celebrato ieri i suoi 87 anni al Royal Naval College di Londra con 250 ospiti arrivati da tutta Europa. In un’epoca in cui il mercato delle biciclette fa numeri da capogiro ed è gestito da multinazionali e fondi d’investimento, Ernesto da Cambiago resta il più famoso costruttore artigiano di biciclette del mondo. Lui che ha trasformato la saldatura dell’acciaio in arte, inventato cento modi per congiungere i tre tubi che formano il telaio della bici, osato per primo (con la spinta e l’aiuto di Enzo Ferrari) il lancio di una bici in carbonio, materiale che negli anni Novanta era usato solo per la Formula 1 perché giudicato troppo fragile per essere usato per pedalare. «Quando ne costruii tre esemplari per la Mapei che doveva disputare la Parigi-Roubaix – spiega – mi presero per folle. Dissero che i corridori si sarebbero schiantati sul pavé, che ci sarebbero stati feriti e forse peggio. La notte prima della gara non dormii ma quando vidi i miei ragazzi uscire in testa dalla Foresta di Arenberg capii che la rivoluzione era scoppiata. Di Roubaix ne ho vinte cinque».
Ad abbracciare Colnago a Londra arriva l’idolo sportivo di Gran Bretagna, Sir Bradley Wiggins, l’uomo che ha vinto otto ori olimpici e un Tour. «Mai avuto la fortuna di correre su una bici Colnago – spiega Wiggins —, ma ho fatto carte false per cercarne una d’epoca per la mia collezione personale. Quando l’ho trovata ero pazzo di gioia». «Ancora oggi – racconta Colnago – passo dieci ore al giorno nel laboratorio di Cambiago. I colossi americani e asiatici sfornano milioni di bici, noi produciamo poche migliaia di telai di altissimo livello per chi vuole il meglio del meglio. E per comprarli c’è la fila, dal Giappone agli Usa». Nella sua officina, a libro paga, ci sono ancora due saldatori: soppiantato prima dall’alluminio e poi dal carbonio, il vecchio acciaio è tornato di gran moda. A Londra Colnago si è concesso il lusso di costruire e portare la «87», un pezzo unico. Una bici vecchio stile, laminata in un bagno d’oro a 24 carati. Messa in vendita a 50 mila euro (cinque volte il prezzo di un modello di altissima gamma) ha immediatamente trovato un acquirente.
«La bici – spiega Colnago avvolto in un’aura da guru del suo mondo – è un triangolo di metallo con due ruote che puoi mettere assieme in un numero infinito di modi. Quello che fa la differenza tra le nostre e il modello industriale, anche di alta gamma, è l’amore che ci metti dentro, è la storia, è Eddy Merckx che a fine carriera è venuto a fare apprendistato da saldatore nella mia bottega, sono le mille corse che ho seguito in ammiraglia tifando i corridori. Il mio made in Italy nasce da cuore, polvere, fango, cadute. E milioni di chilometri pedalati».