Corriere della Sera, 8 febbraio 2019
Il mistero di Annamaria Franzoni
L’ultima volta che la vidi in libertà era appena uscita di prigione. L’avvocato Carlo Federico Grosso, che si era appassionato alla vicenda, era riuscito a vincere la sua battaglia presso il Tribunale del riesame. Annamaria Franzoni mi accolse in una località segreta, era il residence Le Cascate di Lillaz, la frazione sotto Cogne. Mi apparve come una specie di Erinni. «Ho dei missili da lanciare a tutti» mi disse. «Adesso mi vendicherò di ogni ingiustizia». Era furiosa e al tempo stesso amorevole, con suo marito Stefano, con le sorelle più piccole, così felici del suo ritorno a casa. «Siediti, che ti racconto quel che ho passato in carcere» disse mentre preparava un tè, come fosse una qualunque casalinga, e non la donna che stava ossessionando da mesi l’Italia intera, accusata del più atroce dei crimini, l’omicidio del suo secondo figlio, il piccolo Samuele, che aveva appena tre anni.
Ancora oggi qualche conoscente mi pone l’inevitabile domanda. «Chi è davvero Annamaria Franzoni?». Fino al 2007, fino alla condanna definitiva, avevano sempre chiesto un’altra cosa. «Ma è stata lei?». Alla seconda domanda hanno risposto i giudici. Quel giorno, il 30 gennaio 2002, il telefonino suonò verso le 15. «C’è una mamma che ha ammazzato il suo bambino dalle parti di Aosta, una storia già finita. Puoi fare un salto?». Rimasi via, tra Cogne e Monteacuto Vallese, la casa dei Franzoni, per 96 giorni consecutivi. Il delitto del piccolo Samuele divenne ben presto una sorta di macabro gioco collettivo, una distrazione di massa italiana. Un giorno Bruno Vespa raccontò che la puntata più vista nella storia del suo Porta a Porta non fu quella sull’undici settembre o su qualunque elezione. Fu lo speciale su Cogne.
Ai funerali di Samuele, Stefano Lorenzi, il marito, sembrava una statua. C’era un moscone fastidioso che continuava a posarsi sul suo orecchio destro. Lui non se ne accorgeva neppure. Stringeva forte le mani di Annamaria, che singhiozzava e ad ogni persona che le si faceva incontro ripeteva la stessa frase. «Non sono stata io, lo giuro». Fuggiti da una Cogne che sentivano ostile, si rifugiarono nella casa di famiglia, sull’Appennino bolognese. Ogni sera i Franzoni, padre, madre e undici figli, sedevano su delle panche intorno a un tavolo di legno che sembrava quello di un convento. Quando Annamaria cominciava a parlare, calava il silenzio. «Avanti» diceva Giorgio Franzoni, il patriarca. «Raccontaci cosa è successo». Annotava ogni parola, facendo rivivere a tutti la verità della bimba come fosse una lezione da mandare a memoria.
I Franzoni sono sempre stati una famiglia unita. «Un contesto familiare coeso» scrissero i giudici che le concessero la semilibertà nel 2014. Quel «contesto» così scandagliato, così ossessivamente studiato negli anni in cui l’Italia si divideva tra innocentisti e colpevolisti, è diventato il rifugio definitivo. La morte di Samuele ebbe l’effetto di riportare indietro Annamaria e il marito Stefano, restituì la «bimba» alla sfera di influenza esercitata dal padre. Lui decideva, sempre in buona fede, sempre con una visione calvinista del mondo, anche quando imponeva scelte disastrose come la cacciata dell’avvocato Grosso, che aveva demolito la prima ordinanza di arresto. Oggi Stefano Lorenzi lavora per l’azienda del suocero, come gli altri Franzoni.
Quel giorno, a Le Cascate di Lillaz, Annamaria mi guardò smarrita. Era appena uscita, non sapeva nulla di quel che si muoveva intorno a lei. Qualcosa era cambiato. Franzoni pretendeva che i giornali pubblicassero le sue tesi difensive, piegava e ripiegava pigiamini da bambino sul tavolo, disegnando traiettorie di caduta del sangue di suo nipote. Era stato illuminato dal «Tao», l’avvocato Carlo Taormina. Aveva deciso di inventarsi una nuova strategia, facendo diventare Annamaria un personaggio ancora più pubblico di quanto già non fosse. La condanna forse sarebbe arrivata comunque, l’inevitabile reazione di rigetto degli italiani forse le sarebbe stata risparmiata. Non la rividi più, se non in tribunale. Negli ultimi anni ha sempre taciuto, e con lei la sua famiglia. Nessuno può dire davvero chi sia Annamaria Franzoni. Ma dovremmo sapere tutti che si è guadagnata una nuova vita. E con quella, anche il diritto a essere dimenticata.