la Repubblica, 7 febbraio 2019
Pinuccio Tatarella, il ministro dell’armonia
In un’epoca di machismo della politica, di muscoli e insulti, di bianco/nero senza sfumature, cadono i 20 anni dalla morte di Pinuccio Tatarella che fu esattamente il contrario di tutto questo, al punto che gli diedero il soprannome di “ministro dell’armonia”. Tatarella morì a Torino l’8 febbraio 1999 per conseguenza di un intervento al fegato. Aveva 64 anni ed era, assieme a Gianfranco Fini, con caratteristiche umane e politiche diverse ma complementari, il motore della destra post-missina e di governo. Non il numero due di Alleanza Nazionale ma, come amava definirsi, il «numero uno bis». Una perdita che ha pesato non poco nell’implosione di quel mondo erede di Almirante ma che è stata avvertita ben oltre lo steccato della destra.
"Pinuccio”, come lo chiamavano tutti, pugliese di nascita, era un avversario rispettato (stimato anche dall’iperselettivo D’Alema con il quale lavorò, nel 1997, in Bicamerale). La Camera gli renderà omaggio domani ospitando il suo ricordo ufficiale nella Sala della Lupa, alla presenza del presidente della Repubblica che è stato suo «estimatore ed amico».
Lezione di dialogo e bon ton che andrebbe spiegata a chi crede nel muro contro muro. Il Tatarella missino (vicepresidente del consiglio e ministro delle Poste e Telecomunicazioni con Berlusconi nel 1994) e il Mattarella democristiano.
«Eravamo su due fronti opposti in maniera chiara e inequivocabile – ha ricordato il capo dello Stato – ma ci fidavamo l’uno dell’altro».
Il segreto: fidarsi. Al punto da lavorare assieme e scrivere assieme le regole per il nuovo sistema politico. Era il 1993.
Nacque il Mattarellum ("Pinuccio” si astenne, An votò contro) e poco dopo ecco il Tatarellum (sistema per le Regionali), sempre scritto a quattro mani. A raccontarlo, di questi tempi poco armonici, sembra impossibile. È sempre Mattarella a ricordare in un discorso di qualche anno fa: «Condividevo con Tatarella l’idea che in politica ci sono interlocutori non avversari, la convinzione che la mediazione, lungi dall’essere debolezza, sia l’atteggiamento più intelligente, produttivo e saggio per la vita politica». Mediazione, quella del ministro dell’armonia, che non escludeva interventi «durissimi» in aula. Convinzioni nette: «Il 65 per cento degli italiani sono di destra», giurava Tatarella, fervente bipolarista, alla ricerca di «un grande partito democratico popolare di massa e di destra». Quando nacque il Polo lui voleva già andare «oltre».
Epoca di maggioritario, pentastellati non ancora pervenuti. Tatarella immaginava allora l’alternanza destra/sinistra: «Il centro non è un valore, è una zattera, è un traghetto che va dalla riva destra a quella sinistra: ospita passeggeri quando una delle due rive è debole, rimane senza passeggeri quando tutte e due le rive sono forti».
Fascista? Anticomunista, precisava. Il primo missino vicepresidente del consiglio, cui il futuro premier belga Di Rupo non volle stringere la mano.
Il suo studio alla Camera era di un disordine incredibile, con i libri a faccia in giù e pile di giornali. Da lì partiva la regia del Polo al governo, interrotta solo dalle incursioni al Caffè Giolitti per procurarsi i babà al rhum.
Dice Luciano Violante che, con Gianni Letta e Roberto Maroni, lo ricorderà alla Camera: «Era un uomo “vertical” ma sapeva costruire il dialogo con gli avversari e ha sempre difeso il Parlamento, anche quando ha fatto parte del governo». Storie di 20 anni fa.