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 2019  febbraio 07 Giovedì calendario

Biografia di John Grisham

John Grisham (John Ray Grisham Jr.), nato a Jonesboro (Arkansas, Stati Uniti) l’8 febbraio 1955 (64 anni). Scrittore. Circa 300 milioni di copie vendute in tutto il mondo. «Se i miei libri hanno spesso come protagonisti gli avvocati, è perché conosco bene i meccanismi di questo mondo e li so utilizzare. E, se a volte sono “cattivi”, è anche perché nessuno leggerebbe avidamente le avventure di un avvocato buono» • Per parte paterna, cugino di quinto grado dell’ex presidente statunitense Bill Clinton • Umili origini. «“Sono nato in una piantagione di cotone dell’Arkansas, dove la vita era un inferno: la stessa che per più di un secolo, nel Sud, avevano condotto gli schiavi neri. Già a quattro anni lavoravo nei campi con nonni e genitori, tutto il giorno sotto il sole: con una mano staccavo i fiocchi di cotone dalle capsule – involucri taglienti, la mano sanguinava –, con l’altra trascinavo un sacco dove mettere il raccolto. La mamma sognava di scappare; papà accettava qualunque lavoro in più per sfamare i cinque figli. Finché non fu assunto come muratore: dodici ore al giorno, sette giorni su sette. E ogni estate dovevamo cambiare località, dall’Arkansas al Mississippi alla Louisiana… Il che significò lasciare la fattoria: la svolta più importante della mia vita. Avevo sette anni”. Vita sradicata, pochi amici? “Sì, ma molti libri delle biblioteche circolanti: mia madre, che odiava la tv, ce li leggeva sempre ad alta voce. E un’insegnante di liceo mi fece scoprire Steinbeck: lo divoravo di nascosto dai compagni di scuola, più sportivi che studiosi. […] Sono stato allevato nel razzismo: a scuola, in chiesa, a casa. Che i neri fossero diversi, da tenere alla larga, lo si dava per scontato. Una volta ho anche curiosato in un raduno del Ku Klux Klan: idioti incappucciati che bruciavano una croce. Finché da un giorno all’altro non è stata imposta l’integrazione: avevo 15-16 anni quando in classe sono arrivati i neri. Una rivoluzione: dubbi, timori… Ma il seme era stato piantato. Al college ho avuto amici di colore, in tribunale numerosi clienti”» (Antonella Barina). «Com’era da bambino? “Obbediente. Sono cresciuto in una famiglia battista severa, ma i miei genitori erano molto affettuosi. Eravamo senza soldi, ma noi bambini non lo sapevamo: ci divertivamo e basta. Da adolescente, gli anni ’60 hanno cambiato le cose: eravamo combattuti tra i nostri valori e la voglia di ribellarci alla guerra e alla classe dirigente, ma avevamo troppo rispetto per la nostra famiglia per farlo apertamente”» (Margherita Corsi). «Mi sono guadagnato la mia prima vera busta paga fissa innaffiando cespugli di rose in un vivaio a un dollaro l’ora. Ero entrato da poco nell’adolescenza, eppure il proprietario del vivaio vide in me alcune potenzialità e mi promosse al rango di addetto alle recinzioni. Così, per 1,50 dollari l’ora, iniziai a lavorare come un adulto in una squadra preposta a installare chilometri e chilometri di recinzione metallica. […] In seguito, nell’estate dei miei sedici anni, trovai lavoro presso un idraulico. Mi intrufolavo sotto gli edifici, strisciando con una pala in mano in spazi angusti e bui alla ricerca delle condutture interrate, e scavavo fino a quando non individuavo il guasto. A quel punto strisciavo indietro per riferire quello che avevo trovato. Giurai a me stesso che mi sarei trovato un bel lavoro d’ufficio, da svolgere alla scrivania. […] Nell’immediato, però, non mi aspettava una scrivania. Mio padre lavorava con macchinari pesanti nel settore delle costruzioni, e tramite un amico di un suo amico l’estate seguente trovai un posto in una squadra di operai addetti a stendere l’asfalto lungo le autostrade. Era luglio, mese in cui il Mississippi diventa una sauna, e alla temperatura già alta andavano a sommarsi almeno altri 40 gradi dovuti all’asfalto appena steso. […] Avevo diciassette anni quell’estate e imparai molte cose, anche se buona parte di quello che appresi non potrebbe essere ripetuto in compagnia di persone beneducate. Un venerdì sera accompagnai i miei nuovi amici asfaltisti in un locale notturno di infimo ordine per festeggiare la fine di un’altra dura settimana di lavoro. Non appena scoppiò una rissa e sentii dei colpi di arma da fuoco mi precipitai in bagno, chiusi a chiave la porta e sgusciai fuori dalla finestra. Rimasi nascosto nella boscaglia per un’ora mentre la polizia si portava via alcuni degli avventori, tutti redneck, uomini del sud. Tornando a casa in autostop, mi resi conto che non ero fatto per le costruzioni e iniziai a pensare seriamente al college. La mia carriera si trascinò fino al momento in cui la mia attenzione fu attratta dalla vendita al dettaglio: si svolgeva al chiuso, era un mestiere pulito e c’era l’aria condizionata. Cercai lavoro presso un centro commerciale, da Sears, ma l’unico posto libero disponibile era nel reparto di biancheria intima maschile. Fu avvilente. Cercai di andarmene, ma mi offrirono un aumento. Chiaramente, non doveva essere facile trovare qualcuno per quella mansione. Chiesi di essere trasferito al reparto giocattoli, poi agli elettrodomestici, ma i miei superiori risposero sempre di no, dandomi altri aumenti. Divenni scortese con i clienti. Sears ha i clienti più gentili del mondo, ma la cosa non faceva differenza per me. Ero sgarbato e scontroso. […] Mi fecero rapporto. Chiesi di occuparmi della tosatura dei prati circostanti. Risposero ancora di no, e a quel punto non mi offrirono un aumento. Alla fine me ne andai. A metà college, e ancora incerto e alla deriva, decisi che volevo diventare un avvocato tributarista di grande successo. Il mio piano prevedeva di barcamenarmi fino al giorno in cui avrei potuto iscrivermi al primo corso di diritto tributario. Rimasi sconcertato dalla complessità e dalla follia della materia e superai l’esame a stento. Più o meno nello stesso periodo, frequentai alcuni corsi che prevedevano la simulazione di processi e cause giudiziarie. L’aula di tribunale mi piacque. Alla mia mente si prospettò un nuovo progetto. Sarei ritornato nella mia città natale, avrei appeso la targa fuori dal mio studio e avrei fatto l’avvocato. Il codice tributario finì alle ortiche nell’arco di una notte. Era il 1981; nella mia contea all’epoca non era previsto il difensore pubblico. Mi offrii volontario in tutte le cause che riuscii a trovare nelle quali erano coinvolte persone indigenti. Quella era sicuramente la strada più veloce per arrivare in tribunale, e così imparai rapidamente il mestiere. Quando il mio studio legale iniziò a incontrare difficoltà per mancanza di cause ben pagate e remunerative – essendo la difesa degli indigenti tutt’altro che redditizia –, decisi, ancora una volta, di dedicarmi a un’altra carriera poco retribuita. Nel 1983 fui eletto e ottenni un seggio alla Camera nella legislatura del Mississippi. Lo stipendio era di 8.000 dollari, una cifra superiore a quella guadagnata durante il mio intero primo anno di avvocatura. Ogni anno – da gennaio a fine marzo – mi recai al Campidoglio statale di Jackson, perdendo tempo prezioso, ma ascoltando anche storie molto interessanti. Presi molti appunti, senza saperne la ragione, ma con la sensazione che un giorno quelle storie avrebbero potuto tornarmi utili. Al pari della maggior parte degli avvocati dei piccoli centri urbani, sognavo continuamente di essere coinvolto in qualche causa importante, e nel 1984 finalmente se ne presentò una, pur non essendo una causa nella quale fossi impegnato in prima persona. Al solito, bighellonavo in tribunale facendo credere di essere molto impegnato. In realtà seguivo un processo nel quale era coinvolta una bambina, prima picchiata e poi violentata. La sua testimonianza fu agghiacciante, chiara, straziante e molto coinvolgente. Tutti i giurati piansero. Ricordo di aver fissato l’accusato, e di aver desiderato avere in mano una pistola. E così nacque una storia. Diventare scrittore non è stato un sogno coltivato dai tempi dell’infanzia. Né ricordo di aver desiderato scrivere quando ero studente. Non ero sicuro su come iniziare. Nelle settimane seguenti rifinii la scaletta della trama e delineai i miei personaggi. Una sera, in cima al primo foglio di un bloc-notes, scrissi: “Capitolo Uno”. Finii il romanzo – Il momento di uccidere – tre anni dopo». «“Quel primo manoscritto è stato respinto da 28 editori”. Non si è scoraggiato? “Sapevo di scrittori respinti a oltranza prima di svettare. E nell’89 ho trovato un agente, poi una piccola casa editrice: cinquemila copie. Ero raggiante, anche se nessuno comprava il libro, e ho iniziato a scrivere Il socio. La Paramount ha acquistato i diritti cinematografici prima che venisse pubblicato, e, una volta in libreria, è stato 47 settimane nei top ten del New York Times. Allora ho lasciato per sempre lo studio di avvocato, dove la vita era grama: a Memphis c’erano più legali che clienti. Solo scrittura. In un’escalation di vendite. Anche se credo di non aver mai più raggiunto la qualità di Il momento di uccidere”» (Barina). «Ho avuto anche fortuna, dato che in quel periodo il mercato editoriale era alla ricerca di nuovi talenti. Stephen King era in auge da ormai quindici anni, Tom Clancy da dieci, e altri autori di bestseller straordinari quali Michael Crichton e Robert Ludlum erano da parecchio tempo sulla cresta dell´onda. Per l´industria editoriale è fondamentale scoprire ogni due o tre anni una nuova superstar. Nei primi anni Novanta erano tutti – dagli editori ai librai agli stessi lettori – alla ricerca di un nome nuovo, per cui quando uscì Il socio il momento non avrebbe potuto essere più propizio. Oggi, vedendo le cose in prospettiva, mi rendo conto che la chiave è stata la mia ambizione, unita alla disciplina necessaria per produrre un libro all´anno» (a Eduardo Lago). «Non avevo mai lavorato così duramente in tutta la vita, né avevo immaginato che scrivere potesse essere una tale fatica. Era più difficile che stendere l’asfalto, e talvolta era più avvilente che vendere biancheria intima. In ogni caso, era remunerativo. […] Scrivere è tuttora il lavoro più complesso che abbia mai svolto. Ma ne vale sicuramente la pena». Nel corso degli anni Grisham ha scritto oltre quaranta libri, per lo più ascrivibili al genere del «giallo giudiziario», declinato anche, a partire dal 2010, nei sei titoli della serie per ragazzi incentrata sui casi di Theodore Boone, aspirante avvocato adolescente. Da ultimo, nel 2018, ha pubblicato La resa dei conti (Mondadori). «Il maestro del legal thriller cambia genere, ma non troppo. La resa dei conti è un romanzo che attinge alla letteratura sudista, e ai melodrammi alla Tennessee Williams. […] Ne La resa dei conti, uno dei romanzi più ambiziosi di Grisham, riecheggiano pagine di Harper Lee (Il buio oltre la siepe); e si torna in quella Clanton, Mississippi, in cui l’autore aveva ambientato uno dei suoi primi successi, Il momento di uccidere, trent’anni fa. “Forse Faulkner ne aveva già sentito parlare. Forse l’avrebbe usata in un romanzo”» (Riccardo De Palo). «Un romanzo che si muove attraverso i decenni – il 1946 e il 1942, poi il 1925 – con spietata bravura. Un romanzo che si apre con un delitto senza senso del quale l’autore darà la spiegazione soltanto all’ultima pagina, non prima di fermare la storia per aprire una lunga, spaventosa parentesi nella sezione centrale ambientata durante uno dei momenti più bui della Seconda guerra mondiale. Per poi chiudere il racconto prendendo il lettore alla gola, e illuminando finalmente il motivo del delitto. Una tragedia sudista: un romanzo gotico, un romanzo di guerra e un legal thriller che vengono ricamati, insieme, sullo stesso tessuto. […] Come si mescola Tennessee Williams, la marcia della morte di Bataan (gli 80 mila soldati americani e filippini catturati e costretti dai giapponesi nel 1942 a una spaventosa marcia a tappe forzate nella giungla, crimine di guerra che portò al processo e all’esecuzione, a guerra finita, del suo ideatore) e un delitto senza senso compiuto, nel 1946, da uno stimato eroe di guerra? “Partendo da una storia, vera, che ho sentito tantissimi anni fa, quando ancora facevo l’avvocato e il politico locale in Mississippi: un uomo facoltoso, buono, stimato da tutti, un gentleman, nel 1930 uccise un suo amico a sangue freddo. Senza rivelarne mai il motivo. Mi è rimasta in testa per tutti questi anni quella storia”. […] Il motivo per il quale ha aspettato tanto a dare corpo a quella storia colpisce per l’umiltà del romanziere: “Mi sentivo intimidito. Un delitto inaspettato, un colpevole – reo confesso – assurdo, la guerra, e un episodio della guerra nel quale noi americani siamo stati sconfitti, una pagina spaventosa e oscura, che non rincuora per nulla i lettori patriottici come, per esempio, il successo decisivo del D-Day. No, qui c’è una marcia crudele e senza fine con i prigionieri americani che muoiono uno dopo l’altro, bastonati, torturati. Tutto vero, tutto realmente successo, documentato. Dovevo sentirmi tecnicamente all’altezza di rendere giustizia a questa pagina di storia. Non avrei potuto farlo all’inizio della carriera: non ero abbastanza sicuro dei miei mezzi”» (Matteo Persivale) • Numerose, e generalmente assai fortunate, le trasposizioni cinematografiche dei libri di Grisham: tra le più note, oltre a Il socio di Sydney Pollack (1993), Il rapporto Pelican di Alan J. Pakula (1993), Il cliente di Joel Schumacher (1994), L’uomo della pioggia di Francis Ford Coppola (1997) e La giuria di Gary Fleder (1993), tutti ispirati agli omonimi romanzi. Negli ultimi anni Grisham ha però collaborato soprattutto con la televisione: è del 2018 la serie televisiva The Innocent Man (Netflix), «una docuserie tratta da Innocente. Una storia vera, il romanzo del 2006 dove Grisham raccontava un fatto realmente accaduto (la condanna a morte per omicidio di un ragazzo dell’Oklahoma, scagionato dalla prova del Dna dopo 11 anni di carcere) per far riflettere gli americani su un tema che gli sta a cuore: l’abolizione della pena capitale. […] “Negli ultimi 15 anni è stato difficile fare film tratti dai miei libri. L’industria è cambiata, Hollywood preferisce investire ne L’uomo ragno, non ci sono i soldi per adattare romanzi come i miei. Un paio di anni fa il regista della serie mi ha contattato, e sono stato contento. Mi piace che le mie storie raggiungano un pubblico più grande”» (Corsi) • Sposato dal 1981 con Renee Jones, due figli • Grande appassionato di baseball, sport su cui ha incentrato il romanzo Calico Joe (2012). «Era la mia passione da bambino: sognavo di diventare un campione, ma non avevo la stoffa. E allora mi sfogavo con gli altri sport da ragazzi poveri: pallacanestro e football americano. I ricchi erano sui campi da tennis e da golf» • «Grisham […] è nato e cresciuto in Arkansas e vive da anni in Virginia: sudista sì, ma il Mississippi è stato soltanto una parte della sua vita, sudista “eretico” in tanti modi, dalla letteratura (“A Faulkner ho sempre preferito Steinbeck, che mi abbaglia con il nitore della prosa e mi emoziona con l’umanità dei personaggi”) alla politica (è democratico in un Sud repubblicano, progressista che ritiene Donald Trump “un quotidiano imbarazzo” e del quale cerca, con la moglie Renee compagna di una vita, di non pronunciare nemmeno il nome, un po’ come se si trattasse del Voldemort di Harry Potter)» (Persivale). «“Le ingiustizie sociali mi appassionano da sempre – afferma lo scrittore –, e ancora adesso ce ne solo alcune che mi tengono sveglio la notte. So che per altri scrittori non è così, ma per me è impossibile occuparmi di un tema senza andare in profondità. Finisco così per confrontarmi con il funzionamento del sistema giudiziario statunitense, nel quale un organismo ammirevole come la Corte suprema convive con una serie di contraddizioni e storture ormai intollerabili. Nelle carceri americane, in questo istante, ci sono migliaia di innocenti che non riescono a tornare in libertà. E poi c’è la pena di morte, assurda sul piano giuridico e costosissima su quello amministrativo: dibattimenti che si protraggono fino a vent’anni, apparati di sicurezza molto onerosi per gestire i cosiddetti ‘bracci della morte’… Al di là di ogni altra considerazione, l’abolizione delle pena capitale si tradurrebbe in un immediato vantaggio economico per l’intero Paese”. […] Grisham non nasconde la sua militanza di democratico (“E dire che una volta criticavo Obama…”, si lascia sfuggire), ma è molto riservato in materia religiosa: “Preferisco tenere per me le mie convinzioni – sostiene –. Anche da lettore, non gradisco che un autore mi faccia la predica”» (Alessandro Zaccuri). «La sua famiglia era molto religiosa. Regole severe? “Ferree, direi. Sono cresciuto a stenti e preghiera. Con un senso morale fin troppo forte. Come reazione sono fuggito al college per divertirmi. Birra, ragazze, baseball. Ma mi sono laureato in Legge e ho ritrovato le mie radici: per dieci anni, da avvocato, ho difeso gente umile che subiva soprusi. Anche tanti neri”» (Barina) • «Lei dedica una parte dei suoi guadagni alla fondazione “The Innocence Project”. Ci spieghi di cosa si tratta. “Ci sono migliaia di innocenti nelle carceri americane, e oggi abbiamo uno strumento straordinario per liberarli: le analisi del Dna. Attraverso The Innocence Project noi scegliamo una dozzina di casi all’anno (purtroppo non possiamo fare di più), e otteniamo la revisione dei processi sulla base delle nuove analisi scientifiche. Abbiamo vinto 311 volte, 311 detenuti liberati [nel frattempo il numero è salito a 362 – ndr]: sembrano tanti, e invece sono appena la punta dell’iceberg. È gratificante soprattutto quando sono condannati alla pena capitale. […] Ma è frustrante pensare alle altre migliaia che rimangono dentro, per delitti che non hanno commesso. Anche qui la razza conta: molti dei detenuti che vengono liberati grazie a The Innocence Project sono ragazzi neri e poveri, guarda caso”. Un altro suo intervento che suscitò clamore fu su Guantánamo. […] “Io avevo creduto a Obama, quando promise che avrebbe chiuso Guantánamo: questa è stata una delle delusioni del presidente. Io mi sono preso a cuore in particolare la sorte di un algerino, Nabil: 12 anni di carcere duro, con violenze e torture, non una sola incriminazione. Sembra incredibile che il nostro governo possa fare cose talmente orrende”» (Federico Rampini) • Nell’ottobre 2014 destarono scalpore alcune sue dichiarazioni rilasciate al Daily Telegraph in tema di pedopornografia. «Grisham comincia col dire che negli Stati Uniti si esagera a mettere la gente dietro le sbarre, notando che l’America, con il 5 per cento della popolazione mondiale, ha il 25 per cento dei detenuti mondiali, qualcosa come 2 milioni e 200 mila persone in prigione. […] Ma poi aggiunge che tra le vittime di questa situazione ci sono uomini che guardano pedopornografia online. “Oggi le nostre carceri sono piene di uomini della mia età, uomini bianchi di 60 anni che non hanno mai fatto male a nessuno e che non toccherebbero mai un bambino”. La giustizia, a suo parere, non fa distinzione tra autentici pedofili e coloro che, accidentalmente o meno, scaricano dalla rete contenuti pedopornografici. “Una sera vanno online, cominciano a navigare, probabilmente hanno bevuto troppo, premono il tasto sbagliato, si spingono troppo in là e finiscono in un sito di pedopornografia”, continua Grisham. “Un mio buon amico ha fatto tre anni di prigione per avere guardato un sito. Qualche giorno dopo gli bussano alla porta ed è l’Fbi che lo arresta per quello”. […] Una differenziazione che ha attirato […] un’ondata di critiche da parte di organizzazioni per la difesa dei minori. […] Una polemica così forte che […] ha costretto lo scrittore a scusarsi attraverso il suo sito internet: “I miei commenti non intendevano in alcun modo esprimere compassione verso chi è condannato per crimini sessuali su bambini. Non riesco a pensare ad altro di più deprecabile. Mi rammarico di aver fatto quei commenti e mi scuso con tutti”» (Enrico Franceschini) • «Ho un’intera collezione di ritagli di giornale, che riguardano principalmente la sfera giudiziaria. A volte me ne servo per la trama principale, ma può capitare che mi limiti a isolare anche un solo dettaglio». «“Comincio un nuovo romanzo ogni primo di gennaio e sei mesi dopo lo consegno, poi mi prendo una pausa e in autunno cerco qualcosa di nuovo da scrivere. Ma non lavoro tanto: quando sono a casa scrivo 3-4 ore al giorno, circa duemila parole. Ho un ufficio vicino a casa: è il mio rifugio fra le 7 e le 10 del mattino, quando c’è silenzio. Siamo solo io, un buon caffè e la tastiera. Amo ancora farlo tutti i giorni”. […] Chi è la prima persona che legge le sue bozze? “Mostro l’idea a Renee. Se le piace vado avanti, altrimenti lascio perdere. Poi scrivo duecento pagine, le do la prima metà e ne riparliamo. Poi legge tutti i capitoli, mi dà le sue note e faccio le modifiche. Alla fine mando la bozza completa al mio agente”» (Corsi) • «Leggo di tutto: Michael Connelly, Ian McEwan, John le Carré, classici come Twain, Steinbeck, Dickens. Mi piace molto Andrea Camilleri. Amo sedermi sul portico con una tazza di caffè o un bicchiere di vino e il sigaro». «Usa i social media? “Non mi interessano e non ho tempo. Se ne occupano le case editrici. Ci sono talmente tante buone storie che non ho bisogno di Facebook, Twitter o Instagram per trovarle”» (Corsi) • «Afferma senza equivoci che i suoi libri non sono letteratura, ma intrattenimento di qualità» (Lago). «Grisham appartiene all’esclusivo trio di autori capaci di vendere due milioni di copie alla prima tiratura (gli altri sono Tom Clancy e J.K. Rowling)» (Rampini). «Stephen King, che da parecchio tempo riesce a pubblicare anche due libri in un anno, ha fatto un’osservazione molto interessante: quando uno scrittore arriva a questo punto, i critici rinunciano a occuparsi di lui: è una grande vittoria. Quando l’autore rimane a tu per tu con i suoi lettori, la critica diventa irrilevante». «Io nel mio Paese sono un brand, sono “quello dei legal thriller”. Poco importa che abbia scritto di baseball, di football, storie per ragazzi, che abbia ambientato due libri in Italia, che considero il mio Paese d’adozione e nel quale mi sento sempre a casa. In sostanza, non mi preoccupo dei critici, e sinceramente neanche dei lettori: mi preoccupo della storia che voglio raccontare. E comunque quando un libro esce io sto già lavorando a quello successivo. La mia preoccupazione è quella: il prossimo libro» • «Molto americano del Sud, né urbano né tantomeno newyorkese. Una persona estremamente onesta nel disporsi rispetto alla vita e agli altri. Intelligenza complessa: basti guardare la tortuosità dei suoi meccanismi letterari. Una mentalità scacchistica, che prevede sempre una mossa in più dell’avversario» (Gian Arturo Ferrari) • «In fondo, sono rimasto quello che ero prima di iniziare la mia carriera di scrittore: un bravo ragazzo nato da una famiglia povera, cresciuto nel Mississippi, nel profondo Sud, che ha avuto una vita dura. In fatto di valori morali rimango molto conservatore, anche se politicamente e socialmente sono liberale e democratico. Ho le mie convinzioni religiose e sono tremendamente geloso della mia intimità. Non mi piacciono i cambiamenti. […] Sono quello che si dice un uomo semplice».